Sophie Scholl

Sophie Magdalena Scholl nasce a Forchtenberg, nel Sud della Germania, il 9 maggio 1923, nella neonata e già agonizzante Repubblica di Weimar. La sua famiglia è fedele ai valori luterani e il padre Robert, ex sindaco della città, ha idee democratiche. Il 1923 è anche l’anno di fondazione del Partito nazional socialista dei lavoratori tedeschi, una piccola e marginale formazione politica che unisce il nazionalismo militarista (che si scaglia in particolare contro la Francia, principale fautrice delle pesantissime condizioni di pace imposte alla Germania dopo la Prima guerra mondiale), vaghi richiami alle idee socialiste (pur essendo ferocemente antibolscevica e velatamente simpatizzante dell’alta borghesia industriale), una fobia isterica verso la “razza” ebraica (ritenuta responsabile dell’impoverimento della Germania in seguito ai Trattati di Versailles) e un generico, esasperato razzismo nei confronti di tutti i popoli considerati “inferiori”, in particolare slavi, rom e balcanici. 

Il nazionalsocialismo cresce in fretta, nelle urne e nelle strade. Sophie è troppo giovane per partecipare ai rapidi cambiamenti in corso nel suo Paese: non segue le elezioni del 1932 e del 1933, con cui la Germania affossa la socialdemocrazia e abbandona il sogno di seguire la Russia nell’impervio sentiero bolscevico per sprofondare nel cratere nazionalsocialista in un contesto di povertà e violenza sempre più diffuse. Dopo aver cavalcato la disperazione e la miseria del popolo tedesco, e seguendo l’esempio italiano del 1922, un Adolf Hitler esagitato e aggressivo viene nominato cancelliere con oltre il 44% dei voti su un programma di conquista di «spazio vitale per il popolo tedesco» e di «costruzione del Terzo Reich». Tutti i partiti diversi da quello nazionalsocialista vengono sciolti e dichiarati fuori legge. La Repubblica di Weimar muore in fretta, insieme a tutti i suoi diritti umani, civili e politici. I militari sono ovunque e l’aria è tesissima.

Per una bambina di dieci anni, che non si rende conto della gravità della situazione, le parate scolastiche in divisa bruna sono qualcosa di divertente e la piccola Sophie, insieme al fratello Hans, vi partecipa con iniziale entusiasmo, nonostante la contrarietà dei genitori che però non vi si oppongono mai apertamente, aspettando che i figli crescano e capiscano da soli. La famiglia Scholl non si impone mai sulle scelte del figlio e della figlia, ma non manca nemmeno di trasmettere i valori cristiani di solidarietà universale e rispetto incondizionato, incompatibili con le tesi sulla supremazia ariana. 

Passano gli anni. L’espansione della Germania nazista fa tremare l’Europa. Austria e Cecoslovacchia vengono annesse alla Germania, poi tocca alla Polonia e scoppia la guerra. La Germania sta vincendo e le promesse di “guerra lampo” fatte da Hitler sembrano avverarsi. Vengono occupate l’Ungheria, il Belgio, i Paesi Bassi, la Grecia; la Francia ben presto cade e la svastica sventola sull’Arco di Trionfo di Parigi, simbolo della grandiosità francese, sotto cui sfilano le armate di Hitler per sfregio verso la nazione che, rialzatasi dopo la sconfitta di Sedan, si è vendicata a Versailles. 

Iniziano a circolare timide voci di atrocità commesse dai soldati del Reich contro i “nemici del popolo” deportati e reclusi in luoghi lontani, poco visibili dalle città della borghesia tedesca. Si parla di bambini chiusi in massa nelle camere a gas e sterminati. Sophie e Hans credono a quelle voci, nonostante la propaganda della scuola sia fortemente negazionista. Su questo punto gli insegnamenti dei genitori sono stati chiari ed efficaci: è vero che la Germania è stata trattata ingiustamente dai trattati di pace del 1919, ma non esistono persone né razze inferiori. L’altro importante insegnamento della famiglia è che delle azioni personali bisognerà rendere conto un giorno a Dio, e tutti i giorni alla nostra coscienza, prima che allo Stato. 

Hans e Sophie Scholl

Tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942 Hitler dà il via a un’impresa militare sconsiderata (oltre che poco “utile”), la cosiddetta Operazione Barbarossa, meglio nota come campagna di Russia: violando il patto di non aggressione stretto con Stalin (patto Ribbentrop-Molotov), l’esercito tedesco e quello italiano invadono l’Unione Sovietica spingendosi fino a Stalingrado (attuale Volgograd). Qui vengono respinti da una determinatissima resistenza da parte dell’Armata Rossa. La battaglia di Stalingrado segna la svolta nella guerra, il perno che fa cambiare senso alla rotazione della Storia. L’avanzata dell’Armata Rossa arriverà fino a Berlino, innalzando la bandiera rossa laddove prima sventolava la croce uncinata. Tra i combattenti tedeschi mandati ad assediare Stalingrado durante il rigidissimo inverno russo vi è anche il fidanzato di Sophie, Friedrich “Fritz” Hartnagel. Per il matrimonio aspettano la fine della guerra. Lui le scrive spesso. Le ultime lettere raccontano la disfatta tedesca, l’inefficienza e l’impreparazione delle truppe italiane, i morti per freddo e per fame. 

Tra le lettere di Fritz e i discorsi dei genitori, Sophie e Hans Scholl prendono coscienza e maturano. Capiscono che il vero nemico del popolo tedesco è Hitler, che manda i giovani a morire in una guerra insensata. Capiscono che le promesse di “guerra lampo” fatte dal führer erano menzogne. Capiscono che il vero bene di un popolo è la pace. Capiscono che la Germania non potrà mai vincere contro Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica. Vorrebbero che il popolo tedesco si svegliasse e reagisse.

A questo punto i due entrano nel gruppo noto come la Rosa Bianca (Weisse Rose), un’organizzazione antinazista ispirata ai valori protestanti. I componenti del gruppo sono poco numerosi, quasi tutti uomini e cristiani, non bolscevichi. La loro attività principale consiste nello scrivere volantini pacifisti da diffondere clandestinamente. Molti di questi vengono spediti per posta in varie città della Germania. 

Bisogna considerare che, nei dieci anni successivi alla presa del potere da parte di Hitler, in Germania non c’è stata nessuna forma di opposizione e anche durante gli ultimi anni della guerra è mancata una vera e propria Resistenza paragonabile a quelle italiana, francese o greca. Una volta sciolto il partito socialdemocratico (Spd) e quello comunista (Kpd), la Rosa Bianca è stata quindi quasi l’unica realtà antinazista tedesca: l’altra è il complotto contro il führer da parte di ex gerarchi hitleriani, accennato da Fred Uhlman nell’ultima pagina di L’amico ritrovato.

Sophie e Hans Scholl dopo l’arresto

Il 18 febbraio 1943 Hans e Sophie sono nell’università di Monaco per lasciare i pericolosissimi fogli agli angoli dei corridoi e delle scale dell’ateneo. Nel momento in cui gli studenti escono dalle aule, Sophie fa cadere dal ballatoio dell’ultimo piano i volantini che planano in tutto l’atrio dell’edificio. L’università è infestata di polizia, in divisa e non. I due fratelli vengono visti e arrestati immediatamente. 

A interrogare la ragazza è l’ispettore Mohr. In un primo momento Sophie riesce a far credere di essere una semplice studente di passaggio e di aver fatto cadere per sbaglio i fogli. Ma è difficile sfuggire alla rete di informatori della Gestapo. Nel giro di poche ore vengono rintracciati altri membri della Rosa Bianca e arrestato anche Christoph Prost, amico di Hans e Sophie. La polizia segreta ritrova anche i volantini spediti nelle altre città tedesche. Difficile sostenere ancora che si tratti di un errore. Durante l’interrogatorio successivo Sophie getta la maschera. Come un’esperta di geopolitica spiega la disfatta tedesca a Stalingrado e annuncia la futura sconfitta della Germania; come un’Antigone del Novecento invoca il primato di Dio e della coscienza individuale sulle leggi dello Stato, e sfida le leggi ingiuste del tiranno; come Socrate accetta stoicamente il proprio destino. Mohr vorrebbe convincerla, più che punirla: è di gente così determinata che il Reich ha bisogno per vincere la guerra. Sophie riconosce le ragioni del suo aggressivo interlocutore nell’attribuire ai Trattati di Versailles la causa dei mali della Germania, ma sottolinea comunque i crimini del nazismo e mette al primo posto i diritti individuali. Insiste nel parlare di luoghi dove i soldati tedeschi torturano e uccidono le persone “non ariane”, sfidando le risposte negazioniste dell’ispettore. 

Il processo a Sophie Scholl nel film di Marc Rothemund La Rosa Bianca (Sophie Scholl. Die letzten Tage) del 2005
Il manifesto del film Sophie Scholl. Die letzten Tage
(La Rosa Bianca)

Quattro giorni dopo l’arresto un processo arbitrario, senza diritto alla difesa, condanna a morte tutti e tre gli imputati: l’accusa è di alto tradimento. Contrariamente alla prassi, che prevede novanta giorni di attesa tra la condanna e l’esecuzione, la ghigliottina esegue la sentenza il giorno stesso, il 22 febbraio 1943. Prima di essere giustiziati, a Hans e Sophie Scholl viene permesso di rivedere i genitori. «Hai fatto bene, sono fiero di te», è l’ultima frase del padre, ormai non più giovane, e di approvazione è anche lo sguardo della madre, molto più anziana del marito. 

Il 9 maggio 1945, giorno in cui Sophie Scholl avrebbe celebrato il suo ventiduesimo compleanno, verrà firmata la resa definitiva della Germania e di conseguenza la fine della guerra europea.

Oggi a Hans e Sophie Scholl è intitolata una via all’interno del parco romano di Villa Ada e a loro è dedicato il film di Marc Rothemund La Rosa Bianca (Sophie Scholl. Die letzten Tage) del 2005.

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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

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