Chi è alla guida della Uno bianca non conosce le curve della Porrettana. Le percorre con cautela perché deve fare attenzione al bivio con via san Silvestro. Lì deve girare a sinistra, superare il ponte sulla ferrovia, poi un altro ponte, poi al bivio successivo girare a sinistra e salire su per la montagna per un paio di chilometri.
Pensando che sarebbe stata più corta, non si è fermata alla stazione di servizio a Sasso Marconi, ed ora sente il bisogno impellente di vuotare la vescica e bere un caffè.
In quest’ordine.
Laura finalmente vede la piccola fattoria in cima al viottolo «e come ci salgo fino lì?»
Si ferma completamente, ingrana la prima, e piano piano, sbuffando fumo nero, il motore diesel si spinge fino al piazzale davanti a quella che dovrebbe essere una stalla.
Angela appare subito sulla porta del casale. Eccola lì, con i lati della bocca che si piegano in modo quasi inverosimile verso gli occhi, che basterebbe guardare solo quelli per indovinare l’ampio sorriso
È felice di vederla.
Si abbracciano. Quanto tempo!
L’espansività di Angela come al solito attraversa i muri della riservatezza di Laura.
La prende per mano e la tira in casa come fosse una bambina «Vieni vieni, che ti ho preparato da mangiare».
«Per carità, dimmi prima dov’è il bagno».
Indica una piccola porta dietro alla cucina. Il bagno è stato ricavato nello spazio della dispensa. Vecchi sanitari lindi e maioliche colorate.
Sulla tavola tovaglia a quadrotti e piatti di coccio con una zuppa fumante. «Appena ho visto l’auto salire ho messo subito a scaldare la zuppa».
«Ma neanche serviva, fa molto caldo».
«Questa va mangiata calda». Si siedono una di fronte all’altra e cominciano a mangiare. Sono entrambe affamate perché non parlano e nessuna delle due fa domande, restano in silenzio mentre ripuliscono i piatti.
«Buona! Ce n’è ancora?»
«Ma certo! Non preferisci mangiare dell’altro, del formaggio… scusa ma non ho carne, non ne mangio più».
«Non preoccuparti, anch’io preferisco evitarla. E niente formaggio, mi va bene altra minestra, se ce n’è».
Durante il caffè chiacchierano del viaggio di Laura: è qui perché domani ha un concorso all’università di Bologna. Non conosce questa parte di Italia, ha percorso diverse volte l’autostrada diretta verso nord, ma non si è mai fermata.
«Dopo ti porto a fare un giro…»
…
Arrivai nel primo pomeriggio. Mi offrì una zuppa meravigliosa e mi lasciò riposare dal viaggio.
Poi mi fece salire sulla sua 500 e cominciò a scarrozzarmi su e giù per gli Appennini, qui ad assaggiare il miele, là ad acquistare caprini. Ci invitarono a cena e mangiammo prodotti biologici sotto una siepe di gelsomino, contendendoli alle zanzare che ronzavano intorno.
Tornando a casa, improvvisamente la 500 sembrò impazzire e, invece di seguire una curva entrò dritta nella boscaglia. Proseguì per alcuni metri, poi si spensero il motore e le luci.
«Guarda» disse Angela, e rimase in silenzio.
Una paura infantile si impossessò di me: persa nell’oscurità, percepivo tra gli alberi presenze di creature magiche e temevo che lei mi chiedesse di scendere dall’auto lasciandomi in balìa di esseri sconosciuti.
Quando penso ad Angela mi sento di nuovo una bambina impaurita seduta accanto a lei nel bosco, finché i miei occhi nel buio cominciano a vedere milioni di lucciole che sciamano intorno a noi, raccontandoci storie di fate e folletti in una incantata notte d’estate.
Questo racconto è nato negli anni ‘90 in ricordo dell’ultima sera trascorsa con un’amica, quando ancora non sapevamo che una malattia ci avrebbe in pochi mesi privati della sua capacità di comunicare lo stupore delle piccole cose.
***
Articolo di Rosalba Mengoni

Laureata in scienze storiche, si è occupata della diffusione della conoscenza del patrimonio culturale del territorio di Fiumicino, soprattutto nelle scuole e della sua accessibilità alle persone disabili. Collaboratrice tecnica all’ISEM – Istituto di storia dell’Europa Mediterranea del CNR, è nel comitato di redazione di RiME – Rivista Mediterranea, gestisce Isemblog e cura il periodico Bibliografia Mediterranea sullo stesso blog.