Da quando la pandemia da Coronavirus ha avuto inizio, sono stati molti i libri che ho avuto modo di leggere, da titoli noti che mi aspettavano da tempo a volumi che ho scoperto strada facendo e fatto miei. Tra questi ce n’è stato uno in particolare al quale mi sono avvicinata inizialmente per, se così si può dire, debito d’affetto, ma che poi mi sono ritrovata a divorare letteralmente in due serate, durante le vacanze natalizie. Sto parlando di Il futuro in una stanza. Dialogo letterario dentro e oltre la pandemia, scritto da Daniele Maria Pegorari e Valeria Mirta Maria Traversi, edito da Stilo Editrice nel settembre del 2020. Il debito d’affetto è dovuto al fatto che Daniele è stato il professore relatore di tesi magistrale ai tempi della mia laurea in Filologia moderna, presso l’Università degli Studi di Foggia: da allora sono trascorsi quattordici anni e la distanza allieva/professore si è colmata. Oggi Daniele, i suoi libri e le sue innumerevoli iniziative culturali rappresentano per me un’amicizia che coltivo con gratitudine e benevolenza, anche se a distanza. Pegorari è, infatti, professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università degli Studi di Bari, città dove vive insieme all’altra autrice del libro, nonché sua consorte, Valeria Traversi, docente di Lettere nella scuola secondaria e appassionata studiosa di letteratura.
Ho trovato sin da subito peculiare e originale la scrittura a quattro mani da parte di una coppia che non si esime dal mettersi a nudo con una delicatezza e un’intimità dal tono sobrio ma profondo. Il libro consta, infatti, di sei capitoli, dedicati rispettivamente alle parole pandemia, distanza, silenzio, scienza, natura, tempo, ognuna delle quali è raccontata prima dalla voce di Daniele e poi da quella di Valeria, secondo il proprio punto di vista e la propria sensibilità, in un dialogo continuo e costante fatto di riflessioni, aneddoti, citazioni, tutte intessute con i fili della loro memoria letteraria innanzitutto, ma anche musicale, cinematografica, artistica. Ogni parola è scandagliata e riportata alle personali sensazioni suscitate in Pegorari e Traversi alla luce dell’esperienza della pandemia e del confinamento primaverile dello scorso anno, che ci ha viste tutte e tutti costretti in casa, a fare i conti con il tempo che scorreva e con le modalità migliori per riempirlo e non lasciarlo cadere nel vuoto di minuti che passavano senza fine. Nell’Epilogo è descritta la nascita del progetto di scrittura condivisa:
«Daniele — Come un arto che si spezza: questa è stata la sensazione avvertita da me e da te all’inizio di marzo 2020. […] e non è ancora possibile capire in quali dosi questa svolta conterrà infelicità inemendabili e possibilità palingenetiche. Ma – ora me ne avvedo – questo libro ci ha restituito una parte della nostra giovinezza, per un po’ ci ha trasformato in due giovani boccacciani, ha reso il nostro appartamento “un palagio con bello e gran cortile nel mezzo” e il nostro balcone “una montagnetta” da cui guardare la città sospesa. Scrivendolo, tu, Filomena, e io, Filostrato vinto d’amore, non abbiamo forse dichiarato la nostra innamorata appartenenza a una concezione umanistica del tempo? […]
Valeria: […] Ricordo benissimo il dopopranzo di ormai due mesi fa in cui non mi hai chiesto di scrivere questo libro, ma mi hai detto che lo avremmo fatto: un progetto di vita in tempo di sospensione e di paure. […] Non so se davvero ci abbia restituito una parte della giovinezza, ma certamente mi ha fatto vivere dove e come mi piace – tra le parole – e mi ha confermato una volta di più il valore intrinseco e unico della letteratura» (p. 150). E prevalentemente di letteratura si nutre questo dialogo, perché la letteratura prefigura «ciò che quasi sempre diventa reale, prima o poi. Ed è per questo che una biblioteca è una riserva in cui cercare ‘istruzioni per l’uso della vita’, a patto di non prendere romanzi e poesie alla lettera […] ma di sapere come funzionano i procedimenti metaforici» (p. 14).
Il dialogo tra Daniele e Valeria diventa, così, un viaggio per chi legge attraverso autori e autrici le cui parole e opere vengono accostate al momento storico vissuto e forniscono chiavi di lettura profonde, ponderate, prive di falsa retorica e di informazioni ridondanti e superflue, come ci ha abituato ormai il linguaggio massivo e spesso sciatto dei social e dei giornali mainstream, soprattutto durante questa pandemia. Si ha sin da subito la sensazione nitida di vedere i protagonisti, Valeria e Daniele, tra le stanze della loro casa, a sfogliare i libri di cui si sono nutriti nei molti anni di studio e passione per le humanae litterae: scorrendo le pagine e le parole dei protagonisti dialoganti, incontriamo Dante, Boccaccio, Manzoni, Leopardi, Camus, McCarthy, Bradbury, Celan, Levi, Bruck, Montale, Calvino, Volponi, Eco, Huxley, e tanti, tanti altri. Ma il loro intimo colloquio letterario non risparmia una trasparente critica sociale, lucida e intellettualmente onesta, senza mai perdere di vista il vero bene, che tutto il dialogo ci invita a non trascurare in un tempo di distanza e allontanamento gli uni dagli altri, ovvero l’importanza della centralità dell’essere umano in un sistema che la diffusione del Coronavirus ha ormai inesorabilmente fatto implodere:
«Daniele — Mi indigna sentire gli elogi del sistema sanitario pubblico […] dopo oltre tre decenni di ‘razionalizzazione’ (con annessa regionalizzazione) che ha prodotto due disastri in una botta sola: da una parte la drastica riduzione degli investimenti (classificati come ‘spese’), attraverso la riduzione dei posti letto e la chiusura dei reparti o interi presidi ospedalieri locali, dall’altra lo squilibrio dell’offerta nazionale dei servizi, vincolata alla capacità di drenaggio fiscale da parte delle Regioni. Il risultato generale è l’incapacità del sistema di assorbire un evento naturale (ripeto: naturale) come un virus, quantunque insidioso e letale come questo. […]
Valeria — Abbiamo impresso al mondo e alle nostre vite dei ritmi così forsennati che non riusciamo più a tollerare attese e sbagli, pretendiamo da noi stessi e dagli altri soluzioni rapide e precise avendo sacrificato le conoscenze sull’altare delle competenze e così ci siamo dimenticati che la scienza ha bisogno di tempi e di errori. […] Le nostre macchine sono sembrate a molti la soluzione dei problemi e il virus l’occasione per dimostrarne, se ce ne fosse ancora bisogno, la loro onnipotenza: non possiamo recarci sul posto di lavoro? Bene, lo facciamo da casa e diventiamo tutti più smart! Dopo la pericolosità del Covid-19, devo dire che è questo modo di pensare che mi sta facendo molta paura. Le macchine, i device, sono un palliativo, sono la ‘cassetta del pronto soccorso’, non la soluzione ai nostri problemi, perché la nostra cifra di esseri umani non è affatto la distanza, ma il contatto» (pp. 88, 93).
Sono solo degli assaggi di questo libro che merita davvero di essere letto e interiorizzato, con un sentimento di gratitudine verso Daniele e Valeria che lo hanno scritto, offrendo a chi lo riceve la possibilità di fermarsi, nel flusso incontenibile e inarrestabile degli eventi che ormai da un anno ci travolgono, e meditare con la dovuta e necessaria lentezza su quanto stiamo vivendo (come ci ricorda Lamberto Maffei nel suo Elogio della lentezza).
Ho trovato l’opera davvero edificante, in un tempo in cui tutti e tutte, nessuno escluso, rischiamo di farci fagocitare dalla narrazione che vogliono far passare come dominante, ovvero quel «sogno di una vita che scansa ogni sconfitta (compresa la morte) anche a costo di subordinarsi spontaneamente alla sfera artificiale», che invece «cela il disgusto per l’umano, l’incapacità di sopportare l’inettitudine» (p. 134-135) e, aggiungo io, il “diritto di essere fragili”, parafrasando un altro bel libro letto di recente, ovvero Disperanza di Giulio Cavalli. È stato, per me che ho letto quasi tutti i libri citati, un viaggio attraverso la letteratura, quella letteratura che salva, che profetizza, che parla al cuore dell’essere umano, che fornisce risposte laddove trova cuori nobili, “gentili”, puri, “disposti a salire a le stelle” e a non restare invischiati nel piattume a cui rischiosamente questo tempo di pandemia vuole costringerci. È un libro di resistenza e resilienza, caratteristiche che hanno tutti/e coloro che credono sia ancora possibile un nuovo umanesimo, basato su un principio di fede universale semplice, come ci suggerisce Valeria: «il principio da cui ripartire è elementare: se trattiamo bene il pianeta vivremo bene anche noi. È semplice, ragionevole, naturale… ossia l’opposto della vita che stiamo vivendo — complessa, irrazionale, artificiale — illudendoci che sia la strada per la felicità! […] Spero che questo tempo di sospensione sia servito a capire che il mondo ipertecnologico che ci siamo costruiti è quanto di più innaturale esista, non solo per le anatre e i delfini, ma anche per noi, perché siamo parte di questa natura e siamo veramente felici quanto più restiamo umani, perché siamo fatti per stare insieme, per stringerci la mano quando ci incontriamo, per abbracciarci quando vogliamo essere consolati per un dolore, o quando siamo felici per un successo […]. Chissà quando è accaduto che l’uomo ha smesso di ricordarsi di essere anche lui un elemento della natura! Dev’essere avvenuto molto tempo fa, se già Leopardi nella Ginestra sottolineava ai suoi contemporanei che per la natura uomo e formica hanno lo stesso valore» (pp. 115-118).
Quando un/a lettore/lettrice incontra sul suo cammino un libro che non resta “accademica” carta morta, che con lui o lei dialoga, lo/la edifica e fornisce una luce per guardare meglio nei lati bui della quotidianità, quel libro resta per sempre nella lista dei doni più belli che ha potuto ricevere dall’autore o autrice che l’ha scritto. Auspico di leggere ancora volumi che parlino direttamente al cuore come è stato per me Il futuro in una stanza, che, oltre a quanto già detto, ha pure il grande pregio di lasciarsi leggere al di là della letteratura che fa da fil rouge: sicuramente è un vantaggio conoscere le opere e le poesie citate, ma è una narrazione talmente intima e aderente alla realtà che arriva anche a chi quei libri non li conosce del tutto, ma ne intravede la forza, la bellezza e la portata profetica attraverso gli occhi e la penna di Valeria e Daniele.
Notizie biobibliografiche su autore e autrice del libro (da stiloeditrice.it):
Daniele Maria Pegorari (Bari 1970) è professore di Letteratura italiana contemporanea, Sociologia della letteratura e Letteratura italiana nell’Università degli studi “Aldo Moro” e condirettore di incroci, rivista scientifica nata nel 2000. Ha pubblicato fra l’altro tre libri su Mario Luzi (1994, 2002 e 2006), il Vocabolario dantesco della lirica italiana del Novecento (2000), due collettanee su Lino Angiuli (2006 e 2016), Critico e testimone. Storia militante della poesia italiana 1948-2008 (2009), Les barisiens. Letteratura di una capitale di periferia 1850-2010 (2010), Il codice Dante. Cruces della ‘Commedia’ e intertestualità novecentesche (2012), Umberto Eco e l’onesta finzione. Il romanzo come critica della post-realtà (2016), Scritture precarie. Editoria e lavoro nella grande crisi 2003-2017 (2018), Letteratura liquida. Sei lezioni sulla crisi della modernità (2018), Amleto o lo specchio oscuro della modernità. Tre secoli di riscritture italiane 1705-2019 (2019) e alcuni saggi dantologici, fra cui La lonza svelata: fonti classiche, cristiane e interne dell’allegoria della frode (Giornale storico della letteratura italiana, 2015). Dal 2007 è curatore scientifico di una sezione della rivista internazionale Dante ed è stato direttore artistico delle celebrazioni per il 750° anniversario della nascita di Dante (Bari, 1-30 novembre 2015).
Valeria M.M. Traversi (1974) si è laureata a Bari in Lettere nel 1998 con una tesi su Primo Levi e la letteratura della Shoah. Dopo aver conseguito il Dottorato di ricerca in Italianistica nel 2003, ha curato per i tipi di Palomar un’edizione del Dispaccio di Venere. Epistole eroiche di Pietro Michiele (2008) e l’antologia Farfalle di spine (2010). Suo interesse di studio continua a essere la tradizione novecentesca, cui ha dedicato alcuni saggi pubblicati in volumi e riviste specializzate: I rumori stridenti della scrittura. Scrivere dopo Auschwitz (1999); Suggestioni d’Africa e tradizione letteraria nel ‘Porto Sepolto’ (2003); Il ritorno a casa attraverso la letteratura: l’Istria di Pier Antonio Quarantotti Gambini (2006); “Ci ritroveremo in non so che punto”: le lettere di Montale a Irma (2007); Per dire l’orrore: Primo Levi e Dante (2008), il romanzo Io sono Clizia (2019). Insegna Materie letterarie nelle scuole secondarie.
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Articolo di Valeria Pilone

Già collaboratrice della cattedra di Letteratura italiana e lettrice madrelingua per gli e le studenti Erasmus presso l’università di Foggia, è docente di Lettere al liceo Benini di Melegnano. È appassionata lettrice e studiosa di Dante e del Novecento e nella sua scuola si dedica all’approfondimento della parità di genere, dell’antimafia e della Costituzione.