«Bix è bello, sa farsi amare, è sensibile, educato, gioca il tennis e il polo, sport raffinati, sa eseguire al pianoforte tutti i successi della stagione. Ha tutto per piacere, perché le porte di quei santuari [le case della ristretta cerchia della Davenport che realmente conta] si spalanchino davanti a lui. E così i Beiderbecke si impegnano a fargli frequentare le scuole giuste, a curare il suo abbigliamento, a prepararlo a quel futuro che avvertono ormai possibile.
Poi di colpo l’imprevedibile, il richiamo di una misteriosa divinità, dal fiume, dal cielo, dalle città lontane, oltre l’immensa prateria. E tutto muta in quella casa, ogni progetto, ogni certezza. […] fino alla sera di quel terribile 6 agosto dell’anno 1931. Fino alla notte in cui quella corsa si interruppe».
Così scrive Pupi Avati, grande appassionato di jazz e regista, che nel 1991 girò il film Bix. Una ipotesi leggendaria, con Bryant Weeks nel ruolo principale, unico film “credibile” su questo grande quanto sventurato musicista (non lo è Chimere, diretto da Michael Curtiz e basato sul romanzo di Dorothy Baker, Young man with the horn, ispirato alla vita di Beiderbecke e pubblicato nel 1939). Pupi Avati firma infatti la prefazione a un bel volumetto intitolato a Bix, uscito per Stampa Alternativa nel 1991, a cura di Aldo Lastella.
«Di Bix Beiderbecke ci restano un mazzo di fotografie, qualche decina di registrazioni e un mito… È il mito di un piccolo grande uomo vissuto ventotto anni, che ha suonato professionalmente per sei anni ed è stato grande, grandissimo, per due anni. È la leggenda di un giovane e buon borghese che volta le spalle alla sicurezza economica, alla famiglia, a un’esistenza senza scosse e rigidamente programmata, spinto da un misterioso fuoco interiore… È il romanzo di un Orfeo moderno che scende nell’inferno dell’alcol senza fare più ritorno». Così, efficacemente, Aldo Lastella nelle prime pagine del libro.

Bix nasce il 10 marzo 1903 a Davenport, nello Iowa, una cittadina sulla riva destra del Mississippi; la comunità di Davenport era sostanzialmente di provenienza tedesca — come quella della sua famiglia — o scandinava, moralista e puritana: la passione musicale di Bix viene ritenuta poco consona alla dignità del “clan”; si racconta che in una delle rare visite alla famiglia, il musicista trovò in un armadio, ancora chiusi nelle buste in cui li aveva spediti, tutti i dischi che aveva inciso e orgogliosamente inviato.
Comincia ben presto a dare segni di irrequietezza, preferendo le passeggiate sulla riva del fiume alla scuola; a dodici anni cerca di imbarcarsi clandestinamente su uno dei grandi battelli a ruote che fanno rotta lungo il Mississippi e, scoperto, cerca di offrirsi, pur conoscendo solo i primi rudimenti del pianoforte, come suonatore dell’organo a canne presente sul battello.
Nel gennaio 1919 prende in prestito da un compagno di scuola una vecchia cornetta annerita dal tempo; è l’inizio di una vera e propria ossessione: i genitori lo trovano a qualsiasi ora del giorno e della notte davanti al grammofono mentre cerca di impadronirsi della tecnica per riprodurre le note emesse da Nick La Rocca, il leader — di origini italiane — della celebre Original Dixieland Jazz Band.
Si dedica anche al pianoforte, con progressi tali da permettergli di entrare a far parte di un’orchestrina studentesca che si esibisce alle feste del venerdì pomeriggio nella palestra della scuola; ha anche occasione di ascoltare un giovanissimo Louis Armstrong, allora membro dell’orchestra di Fate Marable, sulla nave Capitol, approdata a Davenport.
In autunno compra per trentacinque dollari, pagabili ratealmente, una cornetta semi-nuova marca Conn Victor da un altro giovanissimo musicista passato al saxofono. Nell’estate del 1920 arriva il primo vero e proprio ingaggio, nella Novelty Orchestra guidata dal pianista Neal Buckley, che si esibisce con un certo successo nelle sale da ballo dei dintorni di Davenport; i problemi per Bix arrivano quando un funzionario del sindacato dei musicisti pretende che i membri dell’orchestra, per suonare in un locale di livello più alto, ottengano la tessera necessaria per esibirsi professionalmente, sottoponendosi a un esame di idoneità; tutti superano quell’esame tranne Bix, incapace di districarsi nella partitura che gli è presentata; è il 21 dicembre 1920.
Musicista autodidatta, in difficoltà nel leggere uno spartito musicale e contemporaneamente attratto dai grandi compositori europei — Stravinskij, Ravel, Debussy — per lui inizia una forma di depressione procuratagli proprio dalla scarsa padronanza della grammatica musicale.
Nel frattempo, i genitori di Bix, preoccupati per l’indisciplina e il pessimo rendimento scolastico del figlio, decidono di mandarlo all’Accademia di Lake Forest, una severa istituzione a breve distanza da Chicago; ma i risultati di questa decisione non sono certo quelli auspicati dalla famiglia: nell’anno passato lì, prima di venire espulso, il ragazzo fa amicizia con un gruppo di giovani appassionati di jazz. Per di più, Chicago, dove i musicisti bianchi stanno creando uno stile particolare, diverso da quello delle orchestre formate da musicisti di colore, diventa per Bix un polo di attrazione irresistibile.
Frequenta il Friar’s Inn, un locale gestito e frequentato dalla malavita organizzata, dove è di casa l’ancora sconosciuto Al Capone e dove si esibiscono i New Orleans Rhytm Kings, la band capeggiata dal più agguerrito concorrente di Domenico “Nick” La Rocca, il trombettista Paul Mares.
Per frequentare i locali e i musicisti le fughe notturne dal dormitorio della scuola si fanno sempre più frequenti, senza contare che, al ritorno, Bix è spesso ubriaco: l’espulsione è inevitabile. Il ragazzo raduna le sue cose e il 22 maggio 1922, appena diciottenne, si trasferisce prima a Chicago, poi a New York
Senza lavoro e senza denaro torna a casa, dove il padre gli impone, in modo ultimativo data l’evidente intenzione di non proseguire gli studi, di impiegarsi nell’azienda di commercio di carbone e legname dove lui stesso lavora. Non dura molto: poche settimane dopo gli arriva un’offerta da Chicago. Appena arrivato, col denaro che gli ha dato la madre Bix acquista una cornetta Martin nuova di zecca al posto della vecchia e consunta Conn Victor. Anche il padre, ormai, si è messo il cuore in pace e per diverso tempo Bix fa la spola tra Chicago e Davenport; i genitori trovano pure il modo di fargli superare l’esame per la tessera sindacale, facendo di lui, ufficialmente, un musicista professionista.
Data al novembre 1923 il primo ingaggio importante: il clarinettista Jimmy Hartwell lo invita a unirsi alla sua band, impegnata con un contratto allo Stockton Club di Hamilton, nell’Ohio, un locale metà bisca clandestina, metà spaccio illegale di alcolici, oltre che sala da ballo; l’orchestra si esibisce dalle nove di sera alle tre del mattino e l’ingaggio dura fino a che la polizia non chiude definitivamente la sala. La band, però, si è fatta un nome e le proposte di lavoro non mancano.

Il 18 febbraio del 1924 i Wolverines — questo è il nome che si sono dati da uno dei brani in repertorio, Wolverine blues composto da Jelly Roll Morton — entrano per la prima volta in uno studio di registrazione. Il risultato è un 78 giri consegnato alla storia: sulle due facciate Jazz me blues e Fidgety feet. La fama dell’orchestra si espande fino ad arrivare a New York, dove è ingaggiata da un importante locale di Broadway, il Cinderella Room.
A quell’epoca lo stile di Bix è già formato: quello che esce dalla sua cornetta è un timbro rotondo, puro e morbido, deliziosamente calmo e centrato, con un vibrato pieno di relax; un approccio diametralmente opposto, per fare un esempio, allo slancio e alla tensione di Louis Armstrong. In Beiderbecke idee e tecnica si combinano in una equazione perfetta: ogni nota, a prescindere dalle relazioni ritmiche, armoniche e melodiche, è bella in sé.

La stella del gruppo è diventata lui e questo determina la fine dell’avventura dei Wolverines: gli arriva un’offerta da Jean Goldkette, un pianista di origine francese che ha messo in piedi una grossa organizzazione che ha alle sue dipendenze numerose orchestre da ballo che portano il suo “marchio”. Goldkette decide di formare una specie di “super orchestra” da utilizzare per una serie di registrazioni per la prestigiosa casa discografica Victor: Bix è un eccellente improvvisatore ma non sa leggere la musica: dopo alcuni concerti e un paio di registrazioni di prova, che resteranno a lungo inedite, viene estromesso dall’orchestra con la promessa che sarà ripreso a lacune colmate.
Per quasi un anno Bix resta praticamente senza lavoro e si barcamena facendosi ospitare da amici e colleghi: tra questi il trombettista, altra star del jazz bianco di quegli anni, Loring “Red” Nichols, che divide con lui una stanza d’albergo a New York. Nel giugno 1925 Goldkette lo richiama per offrirgli un posto in una delle sue orchestre minori, affidata al sassofonista Frankie Trumbauer; questi, che aveva delle ambizioni, ottiene un contratto a titolo personale, una scrittura all’Arcadia Ball di Saint Louis e forma un proprio ensamble, portando Bix con sé: è l’8 settembre 1925.

presumibilmente nel 1929-1930 (Melody Maker)
Inizia per Bix un periodo che avrebbe potuto essere sereno: guadagna 90 dollari la settimana (cifra tutt’altro che disprezzabile a quell’epoca), la sua fama cresce sempre più, si è anche innamorato di una ragazza di Saint Louis, Ruth Schaffner; malgrado ciò il suo demone oscuro lo porta a bere smodatamente, al punto da trascurare anche l’aspetto e l’igiene personale, sulla quale nascono molte dicerie. Una nota positiva è l’amicizia con Joe Guston, prima tromba della Saint Louis Symphony, che lo aiuta nella lettura del pentagramma dandogli numerose e proficue lezioni.
Nell’agosto 1926, Goldkette chiama Bix e Tram (con questo “nickname” il sassofonista Trumbauer è ormai noto tra appassionati e colleghi) nella sua orchestra principale per un tour sulla costa est degli Stati Uniti, che si rivela trionfale grazie anche alla presenza di diversi grandi talenti: tra questi il violinista Giuseppe “Joe” Venuti e il chitarrista Eddie Lang (vero nome Salvatore Massaro), due italo-americani già famosissimi, e il contrabbassista di New Orleans Steve Brown, il primo vero fuoriclasse del suo strumento in ambito jazzistico. Inoltre, molti arrangiamenti sono affidati a Bill Challis, un giovane pieno di idee innovative in grado di fornire un ulteriore elemento di richiamo. Il 6 ottobre 1926, al Roseland Ballroom di New York, traboccante di pubblico, si tiene una sfida tra l’orchestra “bianca” di Goldkette e quella “nera” di Fletcher Henderson, a sua volta zeppa di musicisti famosi, dal trombettista Rex Stewart al “padre” del sax tenore, Coleman Hawkins. Solo per quella sera al pianoforte si siede un’altra celebrità dello show business, il pianista e cantante Fats Waller. Tra la sorpresa generale, i “bianchi” vincono la sfida e lo stesso Henderson resta colpito al punto da inserire nel suo repertorio, negli anni successivi, alcuni brani registrati da Bix, perfino riproponendo nota per nota vari suoi “assoli”.

di autore non noto scattata presumibilmente nel 1926
Il 4 febbraio 1927 inizia una serie di registrazioni per la Okeh, che appaiono sotto il nome di Frankie Trumbauer & his Orchestra oppure di Bix Beiderebecke & his Gang, che rappresentano il culmine dell’arte del tormentato suonatore di cornetta, in particolare Singin’the blues; molti però sono i brani indimenticabili, da Clarinet Marmalade a Ostrich walk, da Riverboat Shuffle a I’m coming Virginia.
Il 18 settembre l’orchestra di Goldkette si esibisce per l’ultima volta al Roseland Ballroom: il sodalizio viene sciolto per difficoltà finanziarie ormai insormontabili. Bix e Tram, insieme a Steve Brown, vengono reclutati dal band leader Paul Whiteman, uno degli artisti più famosi dell’epoca, che vende milioni di dischi, conteso da tutte le sale da concerto e da ballo degli Stati Uniti. Whiteman è chiamato “The King of Jazz”: in realtà la sua orchestra passa disinvoltamente dalle canzoni popolari alle arie di Rossini, solo a volte eseguendo brani di sapore jazzistico; George Gershwin lo ha voluto per eseguire la prima assoluta della celebre Rhapsody in blue, il 24 febbraio 1924 alla Aeolian Hall di New York.
Verso la fine di ottobre, i due partono verso Indianapolis, per raggiungere Whiteman; il 18 novembre Bix registra per la prima volta con la nuova orchestra: ci sono i fratelli Jimmy e Tommy Dorsey, il bassista Steve Brown e al piano Hoagy Carmichael — il compositore della celeberrima Stardust — che suona e canta una sua nuova composizione, Washboard blues. Da quel momento l’attività di Bix nei concerti e nelle incisioni diventa frenetica, specie nel 1928, quando Whiteman, deciso a lasciare la Victor e a firmare un contratto faraonico con la Columbia, è costretto dalla vecchia etichetta a un vero e proprio tour de force. In quel periodo Bix è uno dei jazzisti meglio pagati negli Stati Uniti: 200 dollari la settimana, più 67.50 per ogni brano registrato.
«Beiderbecke vantava una coerenza e una integrità artistiche che non lo abbandonarono mai, neanche quando venne sempre più circondato da orchestre e arrangiamenti commerciali. I numerosi dischi con Whiteman e con i gruppi di Trumbauer lo confermano: egli non fu mai meno che notevole, specie in confronto a ciò che lo circondava». Così scrive Gunther Schuller nel suo eccellente Il jazz. Il periodo classico, che data al 1968 ma è pubblicato in Italia da EDT solo nel 1996.

Va sfatato il luogo comune che Bix “soffrisse” nel lavorare con l’orchestra di Paul Whiteman: è vero semmai il contrario. Non solo gode della stima e dell’affetto del suo capo orchestra, ma l’avvicinarsi a un tipo di musica “semi-sinfonica” come quella che spesso entra in repertorio appaga, almeno in parte, il suo desiderio di accostarsi in qualche modo alla musica “colta”; è diventato infine una vera e propria star, osannato da un vasto pubblico.
Il destino però è in agguato: il 20 gennaio 1929, a Cincinnati, in preda a un attacco di delirium tremens Bix distrugge totalmente il mobilio della camera d’albergo nella quale alloggia; Whiteman paga tutti i danni e lo lascia nello stesso albergo accudito da un’infermiera assoldata in loco e prosegue il tour senza di lui. Nel marzo successivo Whiteman, che vuole sinceramente bene a quel ragazzo tormentato, lo riprende nell’orchestra, ma è un calvario: spesso Bix sbaglia i suoi interventi, a volte nei concerti non è quasi in grado di suonare; diverse volte arriva senza strumento, costringendo i colleghi a provvedere in qualche modo a procurargliene uno.
È di venerdì 13 settembre di quell’anno l’ultima registrazione con l’orchestra: si tratta di una canzone di Irving Berlin, Waiting at the end of the road, titolo cupamente profetico, che vede impegnato il cantante Bing Crosby; ne vengono fatte quattro versioni, l’ultima delle quali sarà quella poi pubblicata, con un suo assolo di otto battute; a quel punto Bix non è più in grado di suonare e lascia lo studio. E anche l’orchestra, definitivamente.
Per diversi mesi lavora saltuariamente, diviso tra brevi soggiorni in famiglia a Davenport e qualche concerto o registrazione come free-lance; un amico batterista, Johnny Powell, ha raccontato che spesso andavano insieme al cinema al mattino, in compagnia di una bottiglia di gin.

Tra maggio e settembre 1930 partecipa ancora a tre sedute di registrazione, con formazioni interessanti ma raccogliticce, e non è certo il Bix dei tempi migliori; l’ultima delle tre, di lunedì 8 settembre, è a suo nome, negli studi della Victor a New York; con lui ci sono grandi musicisti, alcuni vecchi amici e compagni di strada, come Jimmy Dorsey, Joe Venuti e Eddie Lang; anche l’ultimo brano registrato porta un titolo che, a posteriori, fa rabbrividire: I’ll be a friend with pleasure.
È il canto del cigno: dei mesi successivi si sa poco o nulla. Frammentarie testimonianze affermano che il suo nutrimento era costituito ormai pressoché unicamente da tre bottiglie di gin al giorno. Uno dei musicisti fino a poco prima più conosciuti e remunerati trascorre l’ultima parte della sua vita praticamente da solo.
Il 6 agosto 1931 muore in un appartamento a New York, stroncato da una polmonite alla quale il suo fisico, gravemente minato, non regge. Ancora Pupi Avati: «Al funerale partecipò una folla strabocchevole, ma, per volere della famiglia, nessuno dei tanti musicisti che furono i veri compagni di vita di Bix».

Segnalo a chi volesse ulteriori approfondimenti, l’esauriente saggio sulla vita e la musica di Beiderbecke: Bix. Man & Legend, di Richard M. Sudhalter e Philip R. Evans, Quartet Books, Londra 1974 (312 fittissime pagine).
Chi desiderasse ascoltare la sua musica, può trovare facilmente in rete molti brani con Bix; ma chi desiderasse un approccio veramente appagante dovrebbe procurarsi la sontuosa edizione in tredici CD pubblicata dall’etichetta californiana Sunbeam, che contiene ogni nota suonata dal cornettista di Davenport, con un accurato restauro che ne restituisce pienamente il fascino nelle migliori condizioni di ascolto possibili.
In copertina: Bix in una fotografia giovanile di autore ignoto.
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Articolo di Roberto Del Piano
Bassista (elettrico) di estrazione jazz da sempre incapace di seguire le regole. Col passare degli anni questo tratto caratteriale tende progressivamente ad accentuarsi, chi vorrà avere a che fare con lui è bene sia avvertito.