
La guerra di Spagna è l’ultima battaglia del proletariato europeo. Persa questa, tramontano tutte le speranze rivoluzionarie. Nel 1968 i ragazzi e le ragazze dei movimenti che puntano a rendere più libero lo stile di vita ma non riescono a sovvertire la struttura economica e sociale. Bonjour camarade, saluta Mika con affetto la generazione del maggio francese. Eppure pochi di quei giovani tra le barricate conoscono davvero la sua esperienza, i partiti comunisti d’Europa hanno raccontato una guerra di Spagna che non ha niente a che vedere con quella che Mika ha vissuto. Le speranze non sono le stesse di quando lei era giovane e la lotta degli anni Sessanta non ha la stessa portata di allora, ma a Mika piace vedere nelle strade questo nuovo entusiasmo: erano anni, se non decenni, che non lo percepiva nell’aria. Ride con tenerezza nel constatare quanto le ragazze che popolano i cortei siano inesperte, uscite dall’università piene di bei sogni ma senza la minima idea di come si cavi un sampietrino dal selciato. Eppure in parte si rivede in loro: i lacrimogeni dei Crs, la polizia antisommossa della Repubblica gollista, le ricordano di quando erano lei e Hipo a fuggire dalle camicie brune a Berlino, della trappola di Ruvin Andrelevicius, che allora si chiamava Jan Well, della traversata clandestina dei Pirenei mentre era accusata di tradimento e addirittura di aver cospirato con Franco. Veder arrestare e picchiare dei ragazzini accusati di essere violenti per non essere stati con le braccia incrociate davanti alla violenza dello Stato in divisa le ricorda gli spari e poi le accuse che il Poum aveva subito da parte delle Brigate Internazionali, anche se la portata non è la stessa: chissà, forse la stampa francese si aspettava che i giovani reagissero alla violenza della polizia con la stessa indifferenza con cui il Fronte Popolare francese stette a guardare la fine del suo fratello spagnolo.

A trent’anni dalla guerra di Spagna la partecipazione politica delle donne forse non è ancora del tutto scontata ma di certo è molto meno difficoltosa di allora. Le ragazze nelle manifestazioni e con i megafoni in mano sono talmente tante che nessun giornalista di buon senso chiederebbe mai cose del tipo «come fate a prendere ordini da una donna?», come si sentiva spesso nelle conversazioni nelle trincee intorno a Madrid.
Quando la polizia assalta il Quartiere Latino e va a caccia di studenti nei luoghi in cui lei e Hipo abitavano insieme prima di assistere a Berlino alla più grande tragedia europea, i suoi capelli ormai bianchi riescono a confondere e distrarre les flics, che di certo la Storia non l’hanno studiata e non la possono riconoscere, né come veterana della Guerra civile spagnola né come amica dei rivoluzionari. «Visto Hipo? Riesco ancora a fregarli!» dice divertita tra sé commentando la stupidità degli uomini in divisa mentre sistema il ritratto del marito sul comodino, tornata a casa con l’aiuto degli addetti alla repressione che non avevano capito né chi lei fosse né cose stesse facendo in mezzo alle barricate.
Quando i Paesi liberaldemocratici d’Europa regalano uno Stato al popolo ebraico in una terra già abitata da genti diverse che da lì dovranno essere cacciate, Mika non si esprime in materia; ma lei, ebrea almeno di origini, non visiterà mai quel nuovo Stato. Forse, da comunista e da ebrea, sa cosa vuol dire dover fuggire da un esercito ostile, le è successo in Spagna con gli stalinisti e in Francia con i nazisti. Forse si sta chiedendo dov’erano queste democrazie così evolute quando si poteva arginare la catastrofe per la quale ora vorrebbero farsi perdonare, quando Gran Bretagna e Francia decisero di non ostacolare Hitler in Austria e in Cecoslovacchia o quando Stalin gli restituì centinaia di comunisti tedeschi rifugiati in Urss come segno di amicizia dopo la firma del patto di non aggressione. O forse si sta chiedendo dove sia il riconoscimento per le altre vittime del nazismo: nessuno ricorda gli anarchici né gli omosessuali né i Rom, l’unico popolo che non ha mai fatto una guerra, eppure ovunque disprezzato.

Quando alla morte di Franco, nel 1975, sta per essere pubblicato il diario di Mika redatto durante la guerra di Spagna, un’amica parigina ne fa leggere alcuni passi a un giornalista francese, ora reporter per la Reuters, che aveva lavorato durante quella guerra. Il giornalista ricorda in particolare di aver intervistato una donna non spagnola nell’albergo in cui alloggiava. Roger Klein rimane profondamente amareggiato leggendo di quanto Mika avesse frainteso il suo invito a rimanere nel suo albergo, invece di girare per una città sotto assedio e controllata dalla polizia stalinista, la notte in cui fu arrestata. Nonostante l’ostilità iniziale della donna, incontrarsi dopo quasi quarant’anni, tramite amici comuni, è un’occasione per chiarire che lui non aveva le intenzioni “disoneste” (parole di lui) o “frivole” (parole di lei) che gli attribuiva, ma voleva proteggerla da un rischio che in effetti era lì dietro l’angolo. Forse il fraintendimento si spiega alla luce di quanto rara fosse la presenza femminile nell’esercito e quindi di quanto attente dovessero stare costantemente quelle poche donne, abituate a un trattamento tutt’altro che disinteressato da parte degli uomini, soprattutto stranieri. Ma resta il fatto che Mika vivrebbe qualunque avvicinamento a persone dell’altro sesso come un tradimento verso il suo Hipólito, anche se lui non è più fisicamente accanto a lei.
Intanto il mondo va avanti e il blocco socialista si sgretola. Mika ormai anziana vende la nuda proprietà della casa di Périgny in cui ha passato gli ultimi anni e si stabilisce in una casa di riposo ad Alésia. Qui riceve la visita affettuosa di Roger Klein, con cui nel frattempo ha stretto amicizia. Quando l’età e il deterioramento del corpo rendono impossibile a lui qualunque secondo fine e a lei qualunque “tradimento” del marito, Roger rinnova la proposta di passare la notte insieme, che stavolta lei accetta di buon grado con una risata. Stavolta è un gesto di puro affetto non fraintendibile, anche perché nessuno dei due è più perseguitato.
Sono le donne spagnole molto più giovani di lei, combattenti ai suoi ordini cinquantacinque anni prima, a benedire il corpo della loro comandante, nonostante lei fosse atea, dopo il funerale a Père Lachaise nel luglio del 1992. Poi, di nascosto e in barba alla legge francese, le sue ceneri sono sparse nella Senna dagli stessi amici che l’hanno fatta riconciliare con Roger e che ora la riconsegnano al suo amato Hipólito.

Negli ultimi anni, in assenza dell’Unione Sovietica e dei partiti comunisti un tempo forti in Europa occidentale, la storiografia sta timidamente iniziando a ricostruire le vicende della guerra di Spagna chiamando le cose con il loro nome: una targa in catalano definisce Andreu Nin, membro del Poum e amico di Mika, asasinat per l’estalinism.
Oggi una stradina di Getafe, vicino Madrid, onora la comandante con il suo nome di nascita, paseo Mika Feldman.
Parte prima: Mika. Giovinezza di una rivoluzionaria, https://wordpress.com/post/vitaminevaganti.com/21820
Parte seconda: Mika. In difesa della Spagna libera, https://wordpress.com/post/vitaminevaganti.com/21841
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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.