Equilibrio. Senso dell’equilibrio.
Parola bellissima, accattivante, vincente.
Qualcosa che assomiglia a una lusinga, o a un richiamo delle sirene.
Una carezza sospirata.
Calma e serenità.
Il senso dell’equilibrio. E-Q-U-I-L-I-B-R-I-O.
Scandito così sembra uno spot pubblicitario. O uno slogan. Forse lo slogan di una pubblicità progresso, di quelle che ogni tanto passano in TV, quelle con una grafica scintillante e pulita.
Il Senso Dell’Equilibrio: una promessa appariscente, scritta con le luci al neon, come quelle usate per attirare i clienti nei night.
Ricorda un pò quelle pubblicità che aggrediscono gli spettatori sommergendoli, a tratti soffocandoli, di una felicità (facilità?) confezionata su misura, ad arte.
Slogan e immagini che violentano, proiettando gli spettatori e le spettatrici in un mondo altro, incantato, senza più ombre, né mezzi-toni. Un mondo dove i grigi scompaiono per lasciar posto a granitiche certezze sfavillanti.
Un mondo dal sapore magico, ma equilibrato.
Sugli schermi scorrono immagini chiare e definite, tutte pericolosamente simili fra loro.
Una giovane donna alta, bionda e magra, abbracciata a un giovane uomo su un immenso prato verde su cui giocano due bambini piccoli, un maschio e una femmina (ovviamente come la mamma anche la figlia è alta, bella, magra, bionda — e con i ciuffetti alti). E, perché no, anche un cane. O forse un gatto, non fa differenza (il Potere del Grande Senso di Equilibrio non bada troppo ai dettagli).
Immagini che vengono mandate giù come pasticche, una dietro l’altra, ognuna per un motivo apparentemente coerente, lineare e giusto. Tutte prescritte con regolare ricetta medica (è importante ribadirlo…).
Concetti in pillole, o meglio “concetti-pillole” che assumi per il tuo bene, dicono. Che dovrebbero farti stare meglio, dicono. Dovrebbero mostrarti la realtà da un’angolatura di privilegio (ma poi è davvero così?). O quantomeno dovrebbero colorarla un po’, questa realtà, eliminando i grigi a favore dei colori accesi.
Concetti-pillole che talvolta possono dare effetti collaterali (questo accade in particolare con alcuni soggetti difficili): si sciolgono nello stomaco (il corpo le metabolizza bene, dicono) e inviano al cervello schegge aguzze come il vetro, frammenti spezzati e impazziti di idee, che assumono contorni ambigui, si ingigantiscono e contraggono, ruotano sarcasticamente, fino a confondersi (e a confonderti).
Idee-proiettili che si muovono in tondo in quell’oceano di indifferenza e di vuoto che ti assale e talvolta ti fa perdere il senso del sé, del qui e ora, del vero.
Immagini che nuotano nella tua testa, ognuna secondo il suo stile, fino ad uscire anche di là, perché le pareti di certe teste sono molto sottili, e non ce la fanno a contenere tutto, non troppo tutto almeno.
Immagini che assumono forme a tratti orrende e spaventose, a tratti grottesche.
La bocca della biondina si dilata sempre più, i denti diventano duri e aguzzi, famelici. Ora la sua bocca sembra occupare l’intero schermo, e al suo interno inizia a nuotare tutto il resto, alla rinfusa: la fede nuziale (sempre scintillante), i bambini, i giocattoli, il bel marito e il prato verde dell’Ikea. Appare persino lei stessa, con le sue protesi di silicone che prima venivano sapientemente nascoste.
La donna: un feticcio fra i feticci.
E allora, tu spettatore difficile (alias: non equilibrato) provi a rallentare, a riflettere, a mettere ordine, ad afferrare, inseguire, correndo fino allo sfinimento; provi a capire, cercando di avvalerti di quel poco di razionalità che ancora possiedi.
Provi a prendere fra le dita, a tentare di assaporare il sapore di quel senso di equilibrio così scintillante, impacchettato e infiocchettato, dall’aria tanto desiderabile.
Vorresti intingerci le mani dentro, tuffartici sopra, sporcarti tutta la faccia come fanno i bambini con l’argilla… ma nulla.
Tutto inutile, ogni sforzo risulta vano. Il senso di equilibrio ti frega, ti sfugge, scappa via, e mentre fugge forse ti fa anche la linguaccia. Eh sì il Senso Di Equilibrio può essere molto dispettoso con alcune persone, può prenderci gusto a farsi inseguire e a sfuggire, agendo come il gatto col topo.
Sceglie le sue vittime con cura lui: talvolta può divenire quasi crudele. Ed arrivare, nel bel mezzo di quella tempesta di emozioni e sensazioni che scorrono in loop, a farti credere che si tratti in realtà di una grande beffa.
Che la pubblicità intrappolata nella pillola della felicità-equilibrio non sia altro che una messa in scena. Certo, una messa in scena ben architettata, dagli ingranaggi ben oleati, che va avanti da chissà quanto tempo. Sempre in loop.
Forse dall’origine della vita dello spettatore malcapitato di turno, forse da quando è stata inventata la pubblicità progresso da assumere in pillole almeno tre volte al giorno, forse da quando è entrata la televisione nelle case delle persone, forse da ancora prima, ancora molto, molto prima.
Forse dall’origine delle origini, o dalla notte dei tempi che sia.
Ma sapere da quanto tempo è irrilevante.
Ciò che conta è capire cosa sia il senso dell’equilibrio.
Il dubbio che il Senso dell’Equilibrio non esista, o meglio che sia uno specchio per le allodole, è difficile da digerire. Il dubbio, misto a paura, rimane là, sottotono, pronto a invalidare ogni ulteriore tentativo di venire a capo della questione.
Si insinua fra le viscere.
È un dubbio subdolo, che sembra impedire che venga assaporata quella fetta di “Equilibrio” che la pubblicità sembrava promettere a tutti (ma proprio a tutti-tutti!).
Quel dubbio rischia di congelare alcune persone nel perenne stato di soggetti-non equilibrati. Condizione molto dolorosa, che può durare anche in eterno.
Il senso di equilibrio.
L’ordine che con la sua spada scintillante vince contro il caos.
Il dionisiaco sconfitto dall’apollineo. O forse, invece, il disordine che viene infine accolto nell’ordine, fino ad assumerne alcune vitali caratteristiche, fino a modificare, se non tradire, parte della sua ontologia.
Nel celeberrimo verso della canzone Sally, Vasco Rossi mette in relazione l’equilibrio alla follia, ovvero lo descrive come qualcosa che sta «sopra alla follia», fugace come «un brivido che vola via».
Ecco ancora il dubbio: esiste davvero l’equilibrio? Si può davvero toccare?
O forse meglio immaginarlo come un “senso”, e non come qualcosa di concreto e reale. Ma qualcosa che sta a metà fra la realtà la finzione, fra l’illusione e la fenomenologia.
Di certo il termine “equilibrio” non sfigura mai. Su questo, dubbi non esistono. Il suo impiego linguistico nobilita qualsiasi persona o cosa accompagni. Basta, infatti, apporre l’aggettivo “equilibrato”, per fare (o far fare) bella figura.
Essere percepiti come equilibrati può donare la chiave di ogni porta, anche le più inaccessibili. Può far crollare ogni resistenza e accordare qualsiasi fiducia, anche le più improbabili.
Equilibrato-equivale-vincente.
Una donna o un uomo equilibrati (ma chi è poi questa persona?). Un pensiero equilibrato. Un termine equilibrato. Un look equilibrato. Una famiglia equilibrata. Una società equilibrata. Una dirigente o un dirigente equilibrato.
Uno stato equilibrato (o uno Stato equilibrato).
Il senso di equilibrio conferisce rispettabilità.
Il milieu della rispettabilità, quella sociale. Quella che fa fare bella figura.
Il concetto di equilibrio fa pensare immediatamente a qualcosa di rassicurante.
Pertiene al logos.
É il logos.
Tutti gareggiano e lottano per ottenere il loro piccolo angoletto accanto a tale divinità. Alcuni si accontentano anche di un tugurio posto ai suoi piedi, pur di venerarla.
Graficamente assomiglia, perché no, a una forma geometrica che presenta la stessa lunghezza per ogni lato.
Alla purezza divisibile di un numero pari.
Il senso dell’equilibrio non tradisce. Almeno apparentemente.
É il vessillo della società borghese.
Il senso di equilibrio promette e mantiene. Da’ sicurezza e stabilità.
In cambio chiede poco: rinunciare alle impennate caotiche tipiche di una mente instabile, a quei voli pindarici davvero molto poco efficienti, che mal si adattano alla severa dignità di una persona per bene, di un uomo o di una donna rispettabili e integrati. Le persone attive e produttive non si perdono nell’inutilità della fantasia. Chi desidera essere una risorsa per la società non può non essere stabile, forte, preciso. In una parola, equilibrato.
Inoltre… su cosa si fonda la giustizia, se non su questo prezioso “senso”?
Il senso di equilibrio è il motore primo della società efficiente.
Qui da noi non c’è posto, dunque, per i non-equilibrati. Per quelli come noi.
La nostra categoria rischia di mettere a rischio un intero e ben collaudato sistema, e perciò deve essere emarginata.
Non c’è neanche spazio per la pietas in una società efficiente ed equilibrata.
«No time for losers» cantava Freddy Mercury.
Qua c’è posto solo per gli equilibrati, alcuni anche un po’ equilibristi, forse.
Equilibrio. Senso dell’equilibrio.
Parola bellissima, accattivante. Vincente.
***
Articolo di Nilowfer Awan Ahamede

Nata a Roma nel 1994, dopo la maturità classica si è laureata in “arti e scienze dello spettacolo” presso l’università La Sapienza. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale di “fashion studies”. Si interessa di fotografia e ha vinto alcuni concorsi del settore artistico.
Gran bel pezzo, mi piace molto. Però ce n’è anche un altro, di equilibrio, e non è quello delle belle immagini pubblicitarie, né quello rassicurante, né quello che ti fa sempre vincente. È quello che uno, o una, cerca per tutta la vita e lo trova magari in zona cesarini, sapendo che è instabile e basta un colpo di vento un po’ forte per comprometterlo. Per sempre? No, perché poi ti ci metti di nuovo, a ritrovarlo, e magari ci riesci, per un altro po’. E poi, che duri per sempre, non c’è niente.
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