La cosmesi nei secoli. Parte prima

«Non esistono donne brutte, ma solo donne pigre», era solita dire Helena Rubinstein. In italiano la parola “trucco” indica comunemente l’applicazione di cosmetici per migliorare l’estetica del viso. I Francesi lo chiamano maquillage, gli Inglesi make-up, cioè “applicare sopra”. Derivato dal greco kósmos, “ordine”, si usa anche il termine “cosmesi”, che significa mettere in ordine, sistemare, abbellire. 

Thutmose, Busto di Nefertiti, scultura in pietra calcarea, 1345 a.C. ca.  

Il trucco, definito in vari modi come abito del viso e maschera usa e getta, nel corso dei secoli ha avuto ammiratori e nemici. Tra i primi Ovidio che scrive addirittura un poemetto sull’arte di farsi belle e nell’Ars amatoria osserva: «Le cure e il trucco dan bellezza al viso;/ ma trascurato sfiorirà il tuo volto, /fosse pur quello dell’idalia dea». Gli fa eco Charles Baudelaire col suo Elogio del trucco: «La donna ha tutto il diritto di crearsi un’immagine magica e soprannaturale e compie il suo dovere quando fa così; è necessario che sappia affascinare l’uomo… il trucco non abbellisce mai la bruttezza, ma arricchisce sempre la bellezza». Per altri invece è il sorriso, e non l’artificio o la finzione, il più bel trucco per una donna.  

Disegno raffigurante donna egizia intenta a truccarsi 

«Dio vi ha dato una faccia e voi ve ne create un’altra»: sono le parole che Amleto rivolge a Ofelia nella tragedia di Shakespeare. A detta di Giacomo Casanova «una donna è molto più bella quando esce dalle braccia di Morfeo che dopo un’accurata toilette». E per Lessing, un autorevolissimo scrittore tedesco del Settecento, «chi è bella senza orpelli è doppiamente bella». 

«La cosmesi è probabilmente antica quanto l’umanità», scrive il sociologo tedesco René König. Nella preistoria gli uomini cominciano a truccarsi prima delle donne, come fanno ancora oggi presso alcune tribù in Africa, in Amazzonia e Oceania. 

L’arte della cosmesi nasce sulle rive del Nilo. Nell’Egitto dei faraoni si truccano tutti, uomini, donne e perfino i bambini. Per enfatizzare e rendere più profondo lo sguardo le egizie ingrandiscono e allungano gli occhi dando loro la tipica forma a mandorla o a farfalla con il kohl, un composto formato da ocra, malachite, cenere, piombo, ossido di rame, mandorle bruciate, o con l’antimonio, ne colorano la linea inferiore con la malachite dal colore verde intenso, pitturano di blu le palpebre, e di nero ciglia e sopracciglia con il carbone, applicato con un bastoncino di legno o d’avorio, dipingono le guance e le labbra con cinabro e carminio, oppure con una pasta a base di polvere di ocra rossa mescolata a oli, grassi, resine e acqua, e anche con ossido di ferro misto a terra. 

Contenitore circolare usato presumibilmente per i cosmetici, Egitto, 1539-1292 a.C. 

Le donne portano spesso in testa un cono di cera e grasso profumato che, sciogliendosi lentamente al calore ambientale, inonda tutto il corpo di una delicata fragranza.  Cleopatra utilizza un rossetto ricavato dai pigmenti dei coleotteri e delle formiche, e anche squame di pesci rossi o sangue, non si sa di quali animali. 

In Mesopotamia, a Ur, la città più antica del mondo, sono state trovate creme e rossetti nella tomba di una regina. Babilonia è la capitale mondiale del lusso, il maggior centro di importazione ed esportazione di belletti ed essenze profumate. Le donne sumere, assire e babilonesi hanno gli occhi pesantemente cerchiati di nero con polvere di antimonio e le sopracciglia che si uniscono al centro.  

In Palestina le antenate di Gesù curano moltissimo il corpo. Dal Libro di Ester sappiamo che una fanciulla viene presentata come aspirante sposa al re Assuero soltanto dopo essere stata profumata per sei mesi con olio di mirra e per altri sei mesi con aromi e cosmetici vari. Un anno… il trucco più lungo di tutti i tempi! Giobbe chiama “vaso di antimonio” una donna che si trucca troppo gli occhi. 

Esempio di Ricostruzione del trucco nell’Antichità 

L’amore per unguenti e belletti non è da meno in India. Il Kamasutra elenca piante e fiori da cui si ricavano miracolose pomate e unguenti, insieme a polvere di ossa di cammello bruciate, che viene stesa sulle palpebre insieme all’immancabile antimonio. «Le ancelle le hanno dipinto il volto con vaghe tinte allo spuntar del giorno, ma il sudore bagna le guance alla mia bella. Sulla faccia dello zafferano non resta più traccia… e stilla dal suo piede il rosso della lacca che lo tinge», leggiamo in un antico testo. 

In Cina, anche se Confucio giudica immorale il trucco, le dame di corte non sanno rinunciarvi. Nella Ballata di Magnolia una signora «davanti allo specchio / si tinge lievemente la fronte di giallo». Le donne radono a zero le sopracciglia, si schiariscono il viso con la polvere di riso, enfatizzano le guance con il rosa o il rosso.  

Anche nel millenario impero del Sol Levante le donne amano il volto talmente bianco di cipria che sembra quasi trasparente. Murasaki Shikibu annota che per le dame di corte le sopracciglia devono essere lunghe e sottili, gli occhi piccoli, di forma allungata e con la coda verso il basso piuttosto che rivolta verso l’alto, il naso schiacciato, le labbra sottili, le guance paffute e il collo corto e in carne. Le fanciulle imparano all’età di otto o nove anni come rendere le sopracciglia adeguate al modello prescritto e apprendono come incipriarsi il viso già all’età di sette anni. 

«Due, tre volte al giorno si trucca e si profuma. / Sempre pettinatissima la chioma / sciolta e di fiorite ghirlande adorna. / Una tal donna è tutta uno spettacolo / ma per chi l’ha sposata è un grosso guaio. /A meno che non sia principe o re». Scrive Semònide di Samo nel VII secolo avanti Cristo. 

Nella raffinata Atene le donne amano moltissimo i profumi e la cura del corpo. Accentuano il colorito candido del viso con un pigmento, la biacca o bianco di piombo, truccano gli occhi di nero con il kohl, colorano le palpebre in blu o verde con pigmenti vegetali, scuriscono le ciglia e le sopracciglia con il carbone o con l’antimonio, esaltano le guance usando vari tipi di fard: il minio, ossido di piombo; la polvere di alcanna, un colorante rosso che si estrae dalle radici di un arbusto spinoso; oppure un pigmento ricavato dal corpo essiccato di un insetto, la cocciniglia del carminio; il succo di more, fragole e barbabietole ed estratti di alghe. Per le labbra usano argilla rossa o un estratto di licheni, applicato con un apposito pennellino. 

Come le greche, le etrusche usano ombretti e matite per gli occhi, distribuiscono polvere di malachite sulle palpebre e colorano di rosso vivo le labbra. Le romane dei primi secoli non si truccano. Al contrario, nella Roma imperiale si fa abuso di cosmetici e trattamenti estetici. Le patrizie usano come maschere di bellezza composti a base di corna di cervi, escrementi di uccelli marini, come l’alcione, la placenta, lo sterco e l’urina dei vitelli, delle mucche, dei tori, degli asini e delle pecore, ingredienti sapientemente mescolati a olio, grasso d’oca, succo di basilico, semi di origano, biancospino, zolfo, miele e aceto. Si utilizzano anche farina di fave, molliche di pane inzuppate nel latte, burro, grasso di lana di pecora non lavata e sterco di coccodrillo, raccomandato quest’ultimo dal grande medico Galeno. Sbiancano il viso con gesso, biacca mista a miele e cerussa. Anneriscono occhi, ciglia e sopracciglia con la fuliggine, una polvere che si deposita nei camini, il nero di seppia simile all’inchiostro, carbone e polvere di antimonio, colorano d’azzurro le palpebre e a volte anche le tempie con ombretti ricavati dalla malachite e dall’azzurrite, disegnano in blu le vene del viso, del collo e delle braccia, tingono di rosso le guance e le labbra con il purpurissum, che è il cinabro, solfuro di mercurio, oppure con feccia di vino, succo di alghe, polvere di minio, ocra e terra rossa. Si diffonde anche la moda di piccoli nei neri artificiali. 

Per un viso luminoso Metrodora, autrice di un trattato di medicina, consiglia «amido, vecce nere, fior di farina di frumento col bianco di un uovo, sciroppo di orzo insieme al miele». 

Il trucco è talmente esagerato da attirarsi le pungenti battute di un acuto osservatore come Marziale. «Fabella si spalma tutta la faccia di creta e ha paura di uscire quando piove; Sabella si intonaca tutto il viso di cerussa, e ha paura di uscire quando c’è il sole». Che dire poi di Taide? «Per celar coi profumi il suo fetore / quando nuda ella viene a farsi il bagno / usa creta disciolta nell’aceto / e fave grosse e dense a non finire». Il viso è così artificiosamente alterato che i mariti stentano a riconoscere le loro mogli: «In cento ampolle sta la tua bellezza / ma il viso che durante il giorno mostri / non è quello che dorme insieme a te». 

Giovenale aggiunge: «È ripugnante il viso di una matrona, gonfio di pomate e di mollica di pane, tutto un effluvio nauseante di unguenti di Poppea, dove si appiccicano le labbra del povero marito… Finalmente svela il suo volto: tolto il primo strato d’intonaco, ecco, ora sappiamo chi è; poi si spalma tutta con il latte d’asina. Io domando: è una faccia questa, così trasformata in maschera, viziata da tanti impiastri, tutta untuosa per gli impacchi di farina bollente, o non è piuttosto una ferita aperta?». 

Le terme sono frequentatissime. Ci si lava in vasche di acqua profumata con oli, essenze e vini speziati, il corpo è levigato con la pietra pomice. I giovani romani si depilano spesso e volentieri, soprattutto per igiene, utilizzando cere a base di pece e rudimentali pinzette. Un nome per tutti: Giulio Cesare, sempre accuratamente depilato.  

«Che ci possiamo aspettare di buono da una gioventù spalmata di resina dalla testa ai piedi? Che cosa più possiamo sperare da tutto un popolo di maschi che sfoggia gambe lisce e depilate?», impreca Giovenale. Nessuno supera le stravaganze di Elagabalo, l’imperatore adolescente più vizioso della storia, regnante dal 218 al 222: si veste da donna e alla maniera delle donne si trucca occhi e labbra, e indossa parrucche per prostituirsi con donne e uomini nel regale palazzo o nei bordelli. 

La bellissima imperatrice bizantina Teodora riproduce sul suo viso il sofisticato make-up delle ultime teste coronate d’Occidente. Il kohl conferisce all’occhio uno sguardo magico e misterioso. La seguono le sue dame di corte e, secoli dopo, un’altra basilissa, Irene. 

Miniatura raffigurante una donna medievale che si dedica alla cosmesi del viso, 1100 ca.

Nei lunghi secoli del Medioevo la Chiesa condanna i cosmetici e i trattamenti destinati alla bellezza del corpo ritenendoli strumenti diabolici, e vuole il viso della donna semplice e naturale. «Vid’io venir da lo specchio / la donna sua sanza ‘l viso dipinto»: così Dante fa dire nel Paradiso al suo trisavolo Cacciaguida riguardo a una gentildonna fiorentina del XII secolo. Sul finire del Duecento ricompare la lisciatura, come viene chiamato il trucco, e con la biacca viene di moda un rossetto molto dannoso, il bambagello. Cecco Angiolieri ci presenta la moglie tutta intenta alla toeletta mattutina, affascinante da far girar la testa agli uomini a operazione conclusa. 

«Quando mie donn’esce la man’ del letto 
che non s’ha post’ancor del fattibello, 
non ha nel mondo sì laido vasello, 
che, lungo lei, non paresse un diletto; 
così ha ‘l viso di bellezze netto; 
infin ch’ella non cerne al burattello 
biacca, allume scagliuol e bambagello: 
par a veder un segno maladetto! 
Ma rifassi d’un liscio smisurato, 
Che non è om che la veggia ‘n chell’ora, 
ch’ella nol faccia di sé ‘nnamorato». 

 
Nel XIV secolo i cosmetici sono di nuovo diffusissimi, soprattutto a Firenze. Franco Sacchetti vede nelle dame e donzelle della sua città le maestre insuperabili dell’arte del trucco. 

«Chi sono questi moderni dipintori e correttori? Sono le donne fiorentine. E fu mai dipintore, che sul nero, o del nero facesse bianco, se non costoro? E’ nascerà molte volte una fanciulla, e forse le più, che paiono scarafaggi; strofina di qua, ingessa di là, mettila al sole, e’ fannole diventar più bianche che ’l cecero. Serà una figura pallida e gialla, con artificiati colori la fanno in forma di rosa. Quella che per difetto, o per tempo, pare secca, fanno divenire fiorita e verde».   

Il Rinascimento riscopre il desiderio di piacere e di piacersi. «Alcune pazze femmine studiano piacere agli uomini, credendosi così lisciate, impiastrate, e dipinte di essere più gradite agli uomini… Tu non ti intonicherai né ti scialberai il viso per parermi più bella, ma solo con l’acqua terrai te lavata et netta. Una sola volta, quando doveano venire gli amici a cena in casa mia, allora la moglie mia era tutta impomiciata. La donna, madre di famiglia, conviene che sia netta e costumata… Io gli dié luogo ch’ella si lavasse le lacrime et il liscio», annota Leon Battista Alberti nel trattato Della famiglia

Le dame, dalla fronte alta, spaziosa, convessa, e le sopracciglia rasate, raffigurate spesso con un viso angelico da Madonna, si truccano gli occhi con discrezione, usano maschere e creme di bellezza a base di polvere di piombo, l’ossido di ferro e talvolta il velenosissimo solfuro di mercurio per dare un leggero tocco di rosso a guance e bocca.  

«Dolce dipinto di ligustri e rose»: così Poliziano vede il volto di Simonetta Cattaneo, la più bella ragazza di Firenze scomparsa nel 1476 ad appena ventitré anni, immortalata da Botticelli nella Primavera e nella Venere.  

Troviamo 66 ricette cosmetiche “a far bella” tra le 554 raccolte nel libro degli Experimenti dall’affascinante e combattiva Caterina Sforza, signora di Imola e Forlì nella seconda metà del XV secolo. 

«Aqua a fare la faccia bianchissima et bella et lucente et colorita: 
piglia chiara de ove et falla distillar in alambicco et con quella aqua lava la faccia che è perfectissiina a far bella et leva tutti li segni et cicatrici. 

Aqua a caciar el color palido de viso a fare colorito: 
piglia radice di mira el sole (girasole) et radila et metila in bono vino che farà bonissimo colore et bello». 

E per schiarire la carnagione consiglia: «latte di balia che allatta un maschio in cui si sarà disciolta una rondine con tutte le piume, un poco di trementina, canfora, due uova fresche e miele». 

È molto diffuso lo scòrtico, un peeling in anticipo sui tempi, consistente nel raschiare la pelle vecchia, ruvida e rugosa. «Donne se voi volete parer belle / non vi pulite tanto né lisciate / non vi levate dal volto la pelle… Lavatevi coll’acqua chiara e bella… / Chi vuol parer bella, / tenga sua faccia netta e naturale». 

Il primo rossetto a bastoncino compare sulle labbra della regina Elisabetta I d’Inghilterra: è una pasta semisolida colorata a base di cera d’api e pigmenti vegetali. Per mantenere il viso giovane si usano maschere di carne, fette di carne cruda bagnate nel latte o durante la notte si applica al viso una cotenna di lardo. 

Il trucco rimane leggero anche sul finire del Cinquecento. Solo a Venezia le dame usano un fard rosso acceso. Nel Seicento, di pari passo con il gusto barocco e con l’evoluzione dell’arte cosmetica, le donne sono truccate e spesso si preparano da sole i cosmetici. Per nascondere le rughe e gli inestetismi del viso si spalma abbondante cerone, color carne o rosa pallido, ottenuto con il piombo bianco puro. Va di moda un viso carnoso, occhi prominenti, ingranditi con la belladonna o l’atropina, sostanze che dilatano la pupilla, sopracciglia sottili e scure, una crema blu, marrone o grigia stesa sulle palpebre superiori, labbra e guance vermiglie con un rossetto ricavato dalla cera d’api. Compare anche il rossetto a bastoncino, ricavato da una pasta semisolida a base di terra rossa seccata al sole. Per la prima volta lo si usa non solo per dipingere le labbra, ma anche per modificare la forma della bocca che si preferisce piccolissima col labbro inferiore più carnoso del superiore. Si spalmano anche sostanze astringenti agli angoli della bocca per rimpicciolirla.  

Durante il XVII secolo non ci si lava: chiusi ermeticamente i rubinetti dell’acqua, è di moda la toeletta asciutta: ci si strofina viso, corpo e capelli con salviette secche. Al contrario, si eccede nell’uso dei profumi per coprire i cattivi odori che emanano dalla persona. Le dame francesi sono le più imbellettate ma anche le più maleodoranti d’Europa. Per ciglia finte usano peli di talpa anneriti con inchiostro di China. Anche gli uomini si truccano: cipria bianca per il viso e rossetto vivace per le labbra. 

***

Articolo di Florindo Di Monaco

Florindo foto 200x200

Docente di Lettere nei licei, poeta, storico, conferenziere, incentra tutta la sua opera sulla Donna, esplorando l’universo femminile nei suoi molteplici aspetti con saggi e raccolte di poesie. Tra i suoi ultimi lavori, il libro La storia è donna e le collane audiovisive di Storia universale dell’arte al femminile e di Storia universale della musica al femminile.

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