Alida Valli, la prima diva italiana di fama internazionale

Baronessa Alida Maria Laura Altenburger Von Marckenstein und Frauenberg: forse non è esistita altra attrice dal nome così lungo e altisonante, nobildonna di origine, ma grande donna anche nella vita privata e nella carriera, come vedremo. Per brevità e semplicità i tre cognomi confluirono nel più comune “Valli”, forse preso casualmente dall’elenco del telefono. 

Locandina del film Noi vivi, 1954

Era nata a Pola il 31 maggio 1921 e se ne celebra dunque il centenario; morì il 22 aprile 2006 a Roma ed è sepolta al cimitero del Verano. La madre era una pianista istriana, Silvia Obrekar, il padre Gino un uomo colto, professore di filosofia e critico musicale. Alida frequentò il Centro sperimentale di cinematografia e già dal 1936, ancora ragazzina, comparve nei primi film. Diventò prestissimo molto nota, interpretando pellicole di successo come Mille lire al mese (1938) ― in cui era inserita l’omonima canzone destinata alla celebrità ― e Ore 9: lezione di chimica (1941). Oltre alla partecipazione a opere leggere e spensierate, quelle dette “dei telefoni bianchi”, tipiche del periodo fascista, seppe dare prova di doti drammatiche appena ventenne in Manon Lescaut e, soprattutto, nel bellissimo ruolo di Luisa, in Piccolo mondo antico diretto da Mario Soldati, che le fruttò la Coppa Volpi al Festival di Venezia. Fu anche l’occasione del debutto sul grande schermo di un attore destinato a un brillante futuro, Massimo Serato, mentre si distinse una caratterista di valore: Ada Dondini, nel ruolo della zia marchesa, ostile alle nozze fra i due innamorati. Proprio in quell’anno, il 1941, morì a Alida il fidanzato aviatore in un combattimento aereo in Africa. Nel 1942 interpretò due film che fecero epoca, che però non piacquero al regime e ne subirono la censura; si tratta di Noi vivi e Addio Kira! diretti da Goffredo Alessandrini, tratti da un unico romanzo ambientato in Unione Sovietica. Dopo l’armistizio l’attrice non seguì i set che si erano trasferiti a Salò e nei dintorni, sul lago di Garda; scelse a suo rischio di rimanere a Roma dove in quell’anno così difficile per le sorti italiane riuscì a lasciare una traccia indelebile di sé nel cuore del pubblico: fu protagonista infatti della pellicola Stasera niente di nuovo di Mario Mattoli in cui canta Ma l’amore no, un successo senza tempo di Galdieri-D’Anzi che accompagnò con le sue note l’ultima fase della guerra, grazie alle continue esecuzioni radiofoniche (da vedere e ascoltare su YouTube).  

Locandina del film The Paradine case, 1947

Dal 1944 iniziò il suo periodo americano: dopo il matrimonio con il compositore Oscar de Mejo da cui ebbe due figli, Carlo futuro attore, e Larry futuro musicista, rientrò brevemente in Italia per essere di nuovo scritturata da Soldati in Eugenia Grandet (Nastro d’argento come migliore attrice). Non ne abbiamo ancora parlato, ma è il momento di ricordare che Alida era molto bella, di una bellezza aristocratica, raffinata, poco appariscente; era lontana dal tipo mediterraneo e si capisce perché negli Usa ne volevano fare una nuova Ingrid Bergman: volto affilato, occhi azzurri, lineamenti delicati, capelli chiari, fisico snello, portamento elegante, che tuttavia la bravura sapeva adattare e trasformare secondo i ruoli. A Hollywood la attendevano successi indimenticabili, mai prima riservati ad una attrice italiana; si deve citare innanzitutto Il caso Paradine (1947) di Alfred Hitchcock, a fianco di Gregory Peck; inizialmente il ruolo era stato destinato alla diva per eccellenza: Greta Garbo, Valli arrivò a riprese avviate e la parte le veniva suggerita di scena in scena, per mancanza di tempo. L’esito del film fu controverso, non è forse il capolavoro del grandissimo regista, ma è pur sempre un’opera affascinante, in buona parte girata all’interno di un’aula di tribunale. Storia di tradimenti, gelosia, passione, morte, vede un integerrimo avvocato diventare falso e ingannatore pur di salvare colei di cui si è innamorato, ma la donna sarà ben più forte e coraggiosa, affrontando il proprio destino. Dopo Il miracolo delle campane con Frank Sinatra, fu la volta dell’avvincente noir Il terzo uomo (1949) di Carol Reed, vincitore del Grand Prix a Cannes, con Joseph Cotten e Orson Welles, girato in un superbo bianco e nero (che valse l’Oscar alla fotografia) e arricchito da una colonna sonora praticamente unica nella storia del cinema: è il celebre tema di Karas suonato con la cetra da tavolo. 

Alida Valli nel film Senso, 1954

Tuttavia la vita dell’attrice come la intendevano i produttori americani le andava stretta, Valli era una donna profondamente europea e convinta delle proprie scelte, così a costo di rifiutare parti imposte e di pagare una penale altissima ritornò in Italia dove fu la protagonista di uno dei primi capolavori di Visconti: Senso (1954) che le portò la Grolla d’oro e la Stella di cristallo dell’Accademia del cinema francese. Non si può qui non ricordare la contessa Livia Serpieri, uno di quei ruoli che valgono una carriera intera: tratto da una novella di Boito, il soggetto si ambienta a Venezia nel 1866, alla vigilia della Terza guerra di indipendenza, e racconta una passione tragica e insensata, inserita nel contesto storico, nel conflitto fra patrioti italiani ed esercito austriaco. 

Tre anni dopo un altro film che è fra i grandi della cinematografia italiana: Il grido di Antonioni, Gran premio della critica a Locarno; un’opera all’epoca non del tutto compresa da una parte della critica e dal pubblico che segna tuttavia il passaggio tra il neorealismo e le future sperimentazioni del regista. 

Sulla fine degli anni Cinquanta lavorò più volte su set francesi, sotto la guida di Clément, Vadim, Robert; da segnalare il bel dramma Dialoghi delle carmelitane ambientato durante la Rivoluzione francese. Compare anche in tv, nei primi sceneggiati diretti da Anton Giulio Majano (Il caso Maurizius), ma pure in serie straniere. 

La sua filmografia si arricchì continuamente per tutti gli anni Sessanta e Settanta, passando da personaggi dimessi e fragili a donne dalla forte personalità, mostrando di essere una attrice versatile in grado di scegliere in modo attento e oculato le sue partecipazioni. Ecco dunque sfilare nel ricordo 

La grande strada azzurra con Yves Montand e la regia di Gillo Pontecorvo, Edipo re di Pasolini (1962), La prima notte di quiete di Zurlini a fianco di Delon, Strategia del ragno (1970) e Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci, con cui lavorò di nuovo nel 1979 (La luna). Nel 1977, per la regia di Giuseppe Bertolucci, interpretò il primo film con Roberto Benigni: Berlinguer, ti voglio bene, mentre Dario Argento la volle nelle sue pellicole più inquietanti: Suspiria (1977) e Inferno (1980). In quel periodo fu di nuovo sugli schermi televisivi con lo sceneggiato L’eredità della priora, a cui altri seguirono per tutti gli anni Ottanta, fino alla mini serie del ’93 Delitti privati. Nel 1982 ottenne il David di Donatello come migliore attrice non protagonista nel film di Marco Tullio Giordana La caduta degli angeli ribelli, a fianco del compianto Vittorio Mezzogiorno. 

Le ultime partecipazioni furono in film diretti ancora da Giuseppe Bertolucci (Il dolce rumore della vitaL’amore probabilmente) fra 1999 e 2000, tuttavia fu sui set fino al 2002. 

In maniera discontinua, ma in varie occasioni Alida Valli calcò i palcoscenici accanto a colleghi/e di valore, misurandosi in testi di forte spessore drammatico: La casa dei Rosmer di Ibsen (1956, con ― fra gli altri ― Tino Buazzelli), Epitaffio per George Dillon di Osborne (con Volonghi e De Carmine), Uno sguardo dal ponte di Miller, in una memorabile edizione del 1967 con Raf Vallone regista e partner impareggiabile, Il dio Kurt di Moravia, Il gabbiano di Čechov, La città morta di D’Annunzio con Giulio Brogi e la regia di Aldo Trionfo (1988). 

Non le mancarono i riconoscimenti anche a livello internazionale, a concludere una carriera straordinaria: il Gamajun International Award (1990), il David di Donatello alla carriera (1991), il Leone d’oro alla carriera, a Venezia nel 1997. 

Alida Valli in età matura

In seguito la città natale la voleva celebrare, ma Alida Valli si considerava italiana e rifiutò ogni onore; tuttavia dal 2008 una sala cinematografica di Pola porta il suo nome. A Bologna le è stato intitolato un giardino, mentre una via la ricorda a La Bufalotta (Roma). Lo scorso anno è stato realizzato dal regista Mimmo Verdesca un documentario dal titolo Alida, a cui hanno partecipato attrici, attori e registi di ieri e di oggi, da Giovanna Mezzogiorno a Roberto Benigni, da Bertolucci a Argento. Un omaggio doveroso alla prima vera diva del nostro cinema, riservata nella vita quotidiana quanto grande sugli schermi. 

***

Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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