“Qui ad Istanbul era quasi impossibile per una donna mettere piede fuori dalla sua casa mentre io stavo gestendo la mia farmacia”.
Siamo nel 1700 e parliamo di Salomea Pilsztynowa, la protagonista del secondo incontro sulle autobiografie femminili, Autobiographics: Gender, Life Narrative, and Self-Representation, gentilmente illustrato da Paulina Dominik, dottoranda presso la Graduate School of Global Intellectual History della Freie — and Hum — boldt Universität di Berlino, in video conferenza con personalità di tutto il mondo.
Salomea Pilsztynowa fu una donna che andò contro i suoi tempi e le sue origini. Nella prima metà del XVIII secolo la donna polacca ideale era una madre premurosa, casalinga frugale e moglie devota. Il luogo fisico per le donne era la casa o altrimenti la chiesa. Pilsztynowa, sebbene si sia sposata tre volte e abbia avuto tre figli, scelse di non dedicare la sua vita solo a crescere i bambini e ad essere una buona madre e moglie, come imposto dalle norme sociali del XVIII secolo, ma preferì diventare una medica di successo.
Nata nel Commonwealth polacco-lituano nel 1718 (attuale Bielorussia), si sposò alla tenera età di soli 14 anni con il medico oculista luterano, Jakub Halpir. Trasferitasi a Istanbul in cerca di fama nell’élite ottomana, Pilsztynowa imparò il mestiere di medica durante l’affiancamento a suo marito, specializzandosi in oftamologia e riuscendo infine a creare il proprio studio medico, sebbene il suo essere donna cristiana alimentasse la concorrenza in un paese islamico, con medici uomini, principalmente musulmani ed ebrei.

È importante sottolineare che la vita di Pilsztynowa ad oggi ci è nota grazie al suo libro di memorie intitolato “Echo of the Journey and Adventures of My Life” (Eco del viaggio e delle avventure della mia vita), pubblicato nel 1760 a Istanbul. Il libro rappresenta una testimonianza di vita femminile del XVIII secolo fuori dal comune, che per molti anni non ha attirato molto interesse da parte dagli storici. Solo in quest’ultimo decennio le memorie di Pilsztynowa hanno suscitato una crescente attenzione degli storici della letteratura, soprattutto in Polonia e sono state rivalutate, dato il loro valore come eccezionale documento dell’io, scritto da una donna indipendente del XVIII secolo.
Come lei stessa ha dichiarato più volte, questo libro era destinato all’intrattenimento delle persone buone e, soprattutto, scritto per rispondere all’accusa che le era stata mossa di essere una donna polacca che aveva lasciato marito e figli per vivere in terre straniere. La sua decisione finale di emigrare definitivamente è spiegata in un paragrafo particolarmente commovente verso la fine del diario:
“Dato che ora condivido con voi le mie esperienze di vita, spero che ogni lettore abbia ormai capito che la mia vita è stata spesso in pericolo e che sono stata alternativamente ricca e povera secondo le mie mutevoli circostanze. Avranno capito che ho ricevuto ben poco dai miei mariti, dal mio amante, dai miei figli e dai miei servi. Ha senso che io torni in Polonia nel 1760 all’età di 42 anni? Se decidessi di tornare, al massimo mi strapperebbero, Dio non voglia, quello che ho”
Concentrandosi sulle sue memorie, è possibile notare che il libro di Pilsztynowa narra gli alti e bassi della sua vita personale e della sua carriera di medica, suddividendosi in sette capitoli che trattano diverse tematiche. Tra queste è possibile trovare argomenti inerenti ai suoi viaggi, riflessioni sull’Islam e sul Corano e sulle relazioni tra gli ebrei e i cristiani. È da notare come l’autrice si riferisca a sé stessa — oculista autodidatta, moglie, madre, viaggiatrice, donna indipendente e imprenditrice — collocandosi a tutti gli effetti sul piano che meritava. Salomea sentiva maggiore libertà quando era fuori dalla sua società, anzi, si sentiva più emancipata e rifletteva su quanto fosse meglio essere una medica nella Istanbul del XVIII secolo, rispetto alla posizione del proprio marito e di altri medici maschi del suo tempo e luogo.
Pilsztynowa si adattò rapidamente alle nuove condizioni di vita ad Istanbul, forse anche per il fatto che e grazie alla sua professione medica, conquistò il rispetto del suo entourage. La sua esperienza di oculista le aprì molte porte delle case aristocratiche, le permise di avere un trattamento speciale nelle corti reali e di sentirsi a suo agio ovunque. Grazie alla sua intraprendenza e alle sue capacità, fu in grado di guadagnarsi la vita ed imparare le lingue, almeno ad un livello che le permettesse di comunicare abbastanza bene per esercitare la sua professione.
“Ero molto popolare tra i pazienti. Non solo ero un medico di successo, ma mi avvicinavo ai pazienti con gentilezza. Anche se all’epoca ero ancora molto giovane — avrò avuto non più di 17 anni — ero adornata con braccialetti e collane d’oro e anelli incassati da diamanti. Ero arricchita dai miei pazienti”. È in questa particolare citazione che si nota un senso molto forte della propria professionalità e del suo grande successo, tanto da essere adorata e tenuta in grande considerazione dagli ottomani, che la riempivano di denaro e regali costosi.

Di rilevante importanza nella vita e nella formazione di Salomea fu il periodo trascorso nell’Harem del sultano di Costantinopoli, Mustafa III.
Quando era in preda alla disperazione, trovò nell’Harem imperiale e nelle donne musulmane, la consolazione, la solidarietà e la disponibilità a individuare una soluzione ai suoi problemi e ai momenti difficili. Nel suo libro di memorie ci dà conto di una delle esperienze più dolorose della sua maternità, quando suo figlio adolescente Stanislav, durante il suo mandato come medico di assunzione imperiale, dopo essersi recato a Istanbul insieme alla delegazione diplomatica polacca, decise di tornare nel Commonwealth polacco-lituano, nonostante tutte le suppliche di sua madre di rimanere a suo fianco. A tal proposito Salomea scrive:
“Ero sconvolta e col cuore spezzato. Andai all’Harem imperiale ma non potevo dire una parola perché ero in lacrime. Mi chiesero il motivo della mia tristezza e disperazione. Ho spiegato loro che mio figlio stava lasciando Istanbul senza nemmeno salutarmi. Le signore mi abbracciarono per consolarmi e la seconda moglie del Sultano, che era bella come un angelo e non parlava quasi mai, mi regalò due splendide sciarpe ricamate d’oro. Mi disse: «Dalle a tuo figlio e digli che sono un mio regalo. Forse si deciderà a non lasciarti.» Le dame e i nani corsero nella stanza del Sultano e gli dissero che il loro medico stava piangendo e gli spiegarono il motivo della mia miseria. Il sultano incaricò immediatamente uno dei suoi cortigiani di portarmi dal capo dei bostanci. Mi ricevette calorosamente e promise di mandare uno dei suoi dignitari a nome del Sultano all’inviato per chiedergli di far rimanere mio figlio a Istanbul”.
Un aspetto particolare e decisamente interessante nella formazione di Salomea Pilsztynowa era l’affiancamento della scienza alla magia e alle maledizioni. Per Pilsztynowa, infatti, non era raro attribuire i propri problemi di salute alla magia nera che si supponeva fosse stata esercitata contro di lei dalla concorrenza con i medici ebrei della capitale ottomana.
Il suo approccio alla medicina, infatti, non era privo di superstizioni religiose popolari, alle quali spesso si rifece in numerose occasioni nel suo diario.
Pilsztynowa si riteneva inoltre testimone di miracoli e ogni volta che otteneva un successo nella cura di un/una paziente, attribuiva i meriti alla Provvidenza divina.
Questo genere di episodi, tendenti all’esagerazione e all’esoterismo, talvolta possono indurre a mettere in dubbio alcuni elementi del carattere di Pilsztynowa. Per questo motivo, pertanto, l’accuratezza biografica delle sue memorie è contestata e alcuni ricercatori preferiscono trattarla più come un’opera di fiction che come un’autobiografia reale.
Paulina Dominik ha concluso questo fantastico approfondimento sul memoir di Salomea Pilsztynowa, aiutandoci a conoscere una testimonianza insolita della vita di una donna del XVIII secolo e le sue esperienze oltre che ad osservare il microcosmo storico in cui è vissuta.

Echo of the Journey and Adventures of My Life” (1760), pubblicato nel 2017
Eco del viaggio e delle avventure della mia vita è una magnifica prova della capacità dell’autrice di adattarsi alle condizioni nuove e sconosciute, attraversando il processo di sfida verso i ruoli tradizionali assegnati alla donna dalla società del XVIII secolo.
Una viaggiatrice che si sosteneva offrendo cure mediche, una diarista con aspirazioni letterarie ed etnografiche, una donna indipendente che lottava per i suoi diritti, sembra essere un prototipo delle donne liberate del XIX secolo. Nonostante le difficoltà familiari, i problemi finanziari, le difficoltà linguistiche, Pilsztynowa riuscì a rendere sicuro un mondo che a prima vista le sembrava estraneo e sconosciuto e il suo libro di memorie rappresenta una sorprendente testimonianza di questo processo.
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Articolo di Dalila Ferrari

Nata in Brasile, ha origini italiane e si laurea in Lingue e Mediazione Linguistico Culturale a Roma Tre con una tesi sulla comunicazione nei paesi arabi. A breve intraprenderà una magistrale in Comunicazione. Si interessa di viaggi, cucina e ambiente. Al momento si occupa della gestione di alcuni social media, copywriter e supporto per customer service.