Editoriale. METAMORFOSI

Il tempo e la marea non aspettano l’umanità (Il sogno del pescatore, film)

Carissime lettrici e carissimi lettori,

un giorno, di tanto tempo fa, iniziano proprio così tutte le fiabe, un marinaio, precisamente un mozzo, uscito dalla penna (più o meno elettronica) di uno scrittore, Alessandro Frezza, ci spiegava quello che per noi era allora il presente e ci incoraggiava a vivere e pensare al futuro. L’uomo del mare quietava il nostro spavento di fronte al periodo di restrizioni casalinghe che, in quel tempo che speriamo passato per sempre, non sapevamo quanto sarebbe durato né come l’avremo vissuto. Il saggio protagonista del racconto Il Capitano e il mozzo allora ci consigliava: «Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l’attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L’attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente». Ci parlava così il mozzo, personaggio di fantasia, legato però alla realtà vera, rimasto bloccato su una nave a causa di un’epidemia a Port Avril. Ci diceva parole di saggezza e di speranza, suggerendoci un viatico di forza. Così iniziava l’editoriale numero 55 di Vitaminevaganti. Era il 28 marzo 2020.

Oggi un altro uomo del mare, non un mozzo, ma un pescatore, ci fa da guida, come Virgilio per l’impaurito poeta fiorentino, e ci fa ritornare alle fiabe.

Michael Packard è un pescatore di aragoste statunitense, e qualche giorno fa era in immersione a largo di Herring Cove nello Stato americano del Massachussets. Lui, Michael, involontariamente, ci porta davvero nel ventre di una balena, trenta secondi di paura reale, ma metaforicamente interessanti per noi che la vita nelle viscere del grande cetaceo l’abbiamo vissuta nei libri l e di riflesso nelle immagini dell’arte e dei film. Da lì dentro ci hanno parlato, raccontandoci della vita e della morte, innumerevoli personaggi protagonisti dei testi scritti, a cominciare, appunto, dalle Sacre Scritture.

Giona, il totem delle tradizioni americane e celtiche, Luciano di Samotracia, il Barone di Munchhausen, Il soldatino di piombo, per tanti versi anche Moby Dick, e soprattutto il burattino più famoso del mondo, Pinocchio, che nel ventre di un grosso pesce (in effetti Collodi non nomina la balena) ritrova il suo padre-creatore, finalmente un uomo che si impegna a mettere al mondo, accudire e proteggere la propria creatura.

Le fiabe, dunque, non sono scomparse del tutto. Noi questo lo sapevamo già. Di fiabe, di favole (saltando le rigide differenze dettate da Vladimir Propper e dalle sue ricerche), di sogni e di speranze ne abbiamo bisogno, in fondo come sempre. Questo periodo che ci ha allontanato dal presenzialismo ottuso, dal perenne rumore cittadino, dai “convenevoli d’uso” di compagnie e gestualità connesse (baci e abbracci) spesso mal sopportate, ci ha riportato a sognare, forse anche perché abbiamo avuto più tempo.

Abbiamo necessità di fiabe e di sogni, seppure abbiamo ancora, lo abbiamo detto, il bisogno di cura. La nostra mente così ha potuto giocare un passo ulteriore e sta riuscendo a compiere il passaggio: dal timore del male all’azzardo, sempre fruttifero, del sogno. Abbiamo trovato un valido movente per la ripresa che sembra ci sarà, nonostante i paurosi aggiornamenti delle varianti.

Il pescatore statunitense, che questa volta è personaggio reale, non più eroe di carta come Antonio Faeti, l’illustre storico bolognese della letteratura per l’infanzia, ama chiamare tutti quelli che, attraverso le storie di fantasia, ci formano per la vita. Il pescatore Michael Packardci ha dato con la sua avventura questa coincidenza: entrare nell’antro della non vita e ragionare di questa per poterla cambiare, rinascendo. Come un novello Giona, Michael, cinquantasettenne americano, duplica nella realtà tutti gli eroi di carta che abbiamo letto. Il caso e/o la necessità hanno decretato una cabalistica coincidenza dei numeri: Giona rimane tre giorni nel ventre del mammifero, annunciando i tre giorni della resurrezione alla vita del Cristo. Per Michael, nella realtà saranno trenta secondi e poi verrà sputato fuori, come gli altri che già conoscevamo.

La conclusione di un ciclo ci proietta nel futuro. Ci induce al cambiamento. La sperata (seppure ancora non determinata) fine del virus coronato, quel re perfido che ci ha trascinati/e in guerra facendoci incontrare faccia a faccia con la paura più brutta: quella della partita da giocare con la morte, come in un film di Ingmar Bergman, Il settimo sigillo.

I ragazzi e le ragazze (quasi 540 mila candidati/e il 27% in più di quelli dello scorso anno nonostante il ritorno dell’ammissione agli esami) da mercoledì scorso stanno discutendo la loro maturità scolastica e di vita. Un esame, questo del 2021, che non doveva essere così emergenziale come quello dello scorso anno, che era stato decretato come unico, mentre tale purtroppo non si è mostrato. A ragione i ragazzi e le ragazze della scuola della Dad, della Didattica a distanza e della didattica ibrida, tra casa e scuola in presenza, non si sentono studenti di serie B. Sono orgogliosi e orgogliose di presentare e di esporre i loro elaborati, non più tesine, ma porta aperta verso lo studio universitario e il lavoro.

Scholé è la parola greca, poi passata al latino, Schola, che inizialmente indicava l‘ozio, l’occupare piacevolmente il tempo libero. Solo in un secondo momento la parola scuola è stata ad indicare la discussione e la lezione, nonché il luogo in cui questa veniva tenuta.

Alessandro D’Avenia, scrittore, sceneggiatore ma soprattutto insegnante, durante una bella trasmissione dedicata alle parole (Le parole per dirlo, che era in onda su Rai 3 la domenica mattina) definisce il concetto di scuola: «L’atto fondativo della scuola occidentale è la definizione che ne ha dato Socrate e che troviamo in uno dei suoi Dialoghi. Socrate risponde all’alunno Alcibiade che gli diceva di trovare troppo difficile il concetto da applicare, il conoscere sé stesso. Il filosofo condannato alla morte proprio per i principi giudicati corruttivi della sua docenza gli risponde che sì, è vero, è difficile, ma se non si conosce sé stessi/e non ci si può prendere cura di sé. E il sapere è orientato alla cura di sé e del mondo. Oggi – conclude D’Avenia – purtroppo quando si pensa alla parola scuola si associa il pensiero alla scuola dell’obbligo che è un concetto drasticamente lontano dall’ idea di libertà, implicita nella sua radice originale, di tempo libero per conoscere se stessi/e, appunto, libero da altre occupazioni. Tra miei insegnanti guida – ricorda – ci sono state persone come padre Pino Puglisi che mi hanno fatto cercare in me chi sarei voluto essere e come sarei voluto essere come insegnante».

«Educare significa imparare a vivere – mi ha detto un giorno un’insegnante di scuola elementare –. Capire cos’è la vita non è sapere più cose possibili. Se in questa situazione di grande emergenza si tenta di distrarre facendo i compiti, suggerire come passare il tempo, dare alla quotidianità quella parvenza di formalità, forse questo momento non servirà a un bambino, a un ragazzo, a un adolescente, a un giovane e neppure a un adulto o a un vecchio a rivedere e a riappropriarsi del senso della vita. Penso – mi diceva nel nostro colloquio – alla canzone di Gaber sulla libertà, al libro di Carlo Levi, Chi ha paura della libertà, al libro Fahrenheit 451, in un mondo apparentemente libero. Tutti abbiamo paura della libertà, non ci rendiamo conto di non essere capaci di essere liberi. Forse in questo momento che è stato così limitato da divieti c’è stata in realtà un’occasione di libertà. Libertà di usare il nostro tempo scegliendo cosa fare, cosa pensare, cosa ascoltare. Il Tempo, prima non c’era mai tempo. Adesso il tempo è cambiato, lo spazio è cambiato. È il momento per scoprirsi, per imparare a rivedere il mondo che viviamo, a connetterci con noi stessi e non solo con la rete che sicuramente è fonte inesauribile per dilatare il nostro tempo e il nostro spazio» (Eufemia Curcio).

Molto è in mano ancora alle donne. Secondo Gianni Toniolo, professore di Economia alla Luiss, commentando La prima donna che, trenta Pillole televisive e radiofoniche, piccoli documentari sulle donne che hanno intrapreso coraggiosamente per prime i lavori dei quali si sono occupati da sempre gli uomini, oggi sono ancora le donne a spingere le figlie e i figli a studiare, non i padri che guardano di più all’inserimento nel mondo del lavoro. Invece per cambiare la società bisogna portare avanti il sogno che è stato di Tullio De Mauro: «Investire sull’istruzione perché – afferma con dolore Toniolo – è da troppo tempo che si trascura la scuola, l’istruzione, che è l’asse portante della società e punta, costruisce il futuro. Diamoci da fare per l’istruzione! Deve suonare come un appello».

Questo numero di Vitaminevaganti si apre con una bella notizia: Calendaria 2022 è in preparazione e sarà dedicata a 62 donne europee distintesi nei diversi campi collegati ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. La donna di Calendaria è Melina Mercouri, attrice, cantante, attivista e politica, cui si deve l’istituzione delle Capitali Europee della Cultura, che lei considerava con grande lungimiranza “l’industria pesante del paese”. Un’altra iniziativa Tf è quella dei salotti casertani, il primo dei quali parla di Teresa Noce: dalla nascita della Repubblica alla tutela delle lavoratrici. L’articolo Sabina Spielrein: la malattia, la cura, la pratica psicanalitica approfondisce la vita e le teorie, scoperte quasi casualmente da Aldo Carotenuto negli scantinati dell’Istituto Psicologico di Ginevra, di una grande psicanalista, ricordata in libri e film. Per la serie Fantascienza un genere (femminile) incontriamo Kit Reed, autrice anticonvenzionale, complessa e non riconciliata.

Le Adraniti è il libro recensito da una scrittrice che abitualmente si dedica a riscoprire le biografie di donne dimenticate. Parla delle donne di Adrano e ci fa conoscere le tante figure femminili della città in provincia di Catania. Lo fa nel solco di Armanda Guiducci, una femminista visionaria da riscoprire, che è stata al centro di un panel dell’ottavo Convegno della Società italiana delle storiche, una donna che per tutta la sua vita ha dato voce alle tante donne invisibili, del mondo e nella storia. Sorellanza versus patriarcato racconta di un altro interessantissimo panel dello stesso Convegno, che si è tenuto la scorsa settimana.

Il diario femminile come spazio intimo e finestra sul mondo. Luisa Palma Mansi, nobildonna lucchese è il frutto di una ricerca approfondita della sezione Storia e Storie al Femminile dell’Istituto Storico Lucchese, che si concentra sulla riscoperta e traduzione di interessantissimi diari femminili.

Che cosa hanno in comune gli animali e l’educazione sentimentale nelle scuole? Un cucciolo a scuola per insegnare l’Educazione sentimentale: risponde l’educatrice cinofila è un’intervista, ricca di spunti e riflessioni, che ce lo spiegherà. Di scuola si parla anche in Un’esperienza didattica con Vikidia che descrive “Wikimparare con Vikidia – Ragazzi e ragazze… STEAM insieme!”, un interessantissimo progetto che ha vinto un finanziamento da parte di Wikimedia. Per chi voglia confrontarsi con la scrittura dei giovani, nella Sezione Juvenilia, Ritagli di memoria è un bellissimo racconto che ha vinto il secondo premio ex aequo nella Sezione Narrazioni del Concorso Sulle vie della parità.

Il lesbismo nella cornice filosofica contemporanea, attraverso un documentato excursus, ci guida ad approfondire la cultura lesbica dai primi del Novecento ai nostri giorni. Le recensioni di questa settimana sono Fuga per la libertà. Storia di Alda Renzi e di un salvataggio collettivo nel 1943, di Marco Severini, che parla di una donna eccezionale, capace di dare la propria vita per salvare quella degli altri e Ragazzo divora universo di Trent Dalton, che indaga sulle presumibili ragioni di un caso letterario e di un successo editoriale forse studiato a tavolino.

Come sempre ci occupiamo di alimentazione con Grani antichi, un articolo che ce ne fa scoprire i tipi, la storia e le proprietà.

Non possiamo non ricordare Deanna Milvia Frosini, artista «sobria, discreta e schiva», recentemente scomparsa senza avere sui media lo spazio che sarebbe stato riservato a un uomo.

Eccoci alla poesia. Questa volta breve, ma intensa. Di un’autrice che ho imparato ad amare profondamente e che già un’altra volta ho portato alla vostra attenzione. Emily Dickinson, la poeta statunitense tra le maggiori del XIX secolo, mette nei suoi versi tutta la forza della parola e dà fiducia al cuore. E io spero al cuore e alla mente di ogni amica e amico che, sono sicura, ascolterà questi versi.

La felicità è come la brevità –
o ad essa proporzionale,
direbbero le scuole –
il modo dell’arcobaleno –
Un velo
colorato, spiegato dopo la pioggia,
avrebbe la stessa chiarezza
non fosse la fuggevolezza –
che è alimento –

«Potesse durare»
chiedevo all’Oriente
quando la striscia curva
accendeva il mio infantile
firmamento –
e io, dalla gioia,
presi gli arcobaleni per cose usuali,
e i cieli vuoti
per eccezionali.

Buona lettura a tutte e a tutti

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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