Nel mese di aprile la maggior parte delle testate giornalistiche italiane ed internazionali ha dato spazio alla vittoria di Rachael Blackmore, la prima fantina a vincere il Grand National in Inghilterra, una spettacolare corsa di cavalli che si articola per circa 7 chilometri tra pista e salti.

Tuttavia se a vincere fosse stato un uomo, come nei 182 anni precedenti (il Grand National infatti si corre dal 1839) nessuno ne avrebbe parlato e avrebbe saputo di questa celebre corsa di cavalli. E nessuno avrebbe conosciuto la storia di Rachael e i suoi sforzi per emergere in un ambiente (quello dell’ippica) che non ha ancora raggiunto del tutto la parità di genere.
Per questi motivi ho deciso di dedicare questo articolo non a Rachael Blackmore, ormai ben nota per la sua impresa, ma ad alcune fantine che non sono state oggetto di risonanza mediatica nonostante abbiano nella loro vita ottenuto ugualmente grandi successi.

anni ‘70
Inizierei con Diane Crump, americana classe 1948, la prima donna ad aver corso in una gara ippica a livello professionistico insieme agli uomini. La storia di Diane è avvincente perché ha dovuto affrontare una vera e propria battaglia per poter correre e svolgere quindi la sua professione. Il 7 febbraio del 1969 infatti, giorno del suo debutto, entra nell’ ippodromo scortata dalla polizia a causa di una folla inferocita e indignata per la sua presenza. Le gridano oscenità, insulti e cattiverie come: «torna in cucina e prepara la cena». Ma Diane ignora qualsiasi offesa e debutta, sancendo una piccola vittoria per le donne dell’ippica. Due settimane dopo è la prima donna a vincere una corsa in America. Nonostante i numerosi infortuni fisici conta nel suo palmares 235 vittorie e la prima partecipazione femminile al Kentucky Derby. Ritirata dalle corse negli anni Novanta, oggi lavora come allenatrice di cavalli, annoverando anche qui numerose soddisfazioni.

Non è possibile poi non raccontare di Julie Krone, un vero e proprio fenomeno dell’ippica. Lei è l’unica donna ad aver mai vinto tutte e tre le corse della Triple Crown (1993), la gara annuale più importante che si svolge in America. Tra le sue — numerose — vittorie si annovera anche quella ai Belmont Stakes (1993), nota come ‘la prova dei campioni’ per la sua difficoltà estrema. Visti i suoi successi Julie è stata pure la prima donna a essere inserita nel National Women’s Hall of Fame.
La prima donna a vincere una corsa in Inghilterra è stata invece Meriel Tuffnel, fantina che ha affrontato una malattia congenita oltre che le piste dell’ippodromo. A lei si deve la fondazione della Lady Jockeys’ Association of Great Britain, la prima associazione femminile di fantine al mondo.
Tornando al Grand National, ricordo la figura dell’inglese Charlotte Brew, la prima donna ad essere ammessa alla corsa nel 1977, dopo l’approvazione in Gran Bretagna del Sex Discrimination Act nel 1975, legge che prevedeva tutele per le donne negli ambienti lavorativi e formativi.

Tutte queste donne non sono nomi, date, titoli, vittorie. Sono esempi e storie di vita in una realtà del passato difficile, ancora arretrata, tradizionalista e maschilista. I loro sforzi e la loro tenacia hanno permesso oggi a tante altre fantine nel mondo di svolgere il proprio lavoro con professionalità e senza troppe discriminazioni. Ed è anche grazie a queste ragazze, che hanno corso, gareggiato e vinto, che Rachael Blackmore ha potuto raggiungere il suo traguardo dopo un’egemonia maschile di 182 anni.
Donne forti, atletiche e sportive che hanno spesso rischiato la vita (sia chiaro: le corse di cavalli sono anche estremamente pericolose!) e che a fatica si stanno affermando in uno degli sport più tradizionalisti ed elitari che esistano, oltre che in un business da miliardi di dollari. In ogni caso credo che festeggeremo davvero quando la vittoria di una donna al Grand National, per quanto bella ed emozionante, sarà la normalità, e non l’evento sportivo della settimana.
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Articolo di Marta Vischi

Laureata in Lettere e filologia italiana, super sportiva, amante degli animali e appassionata di arte rinascimentale. L’equitazione come stile di vita, amo passato, presente e futuro, e spesso mi trovo a spaziare tra un antico manoscritto, una novella di Boccaccio e una Instagram story!