Carissime lettrici e carissimi lettori,
noi, come il pendolo, lottiamo sempre tra un estremo e l’altro. Tra la vita, presa dalla nascita, e la morte, presa dalla vita. Un attacco duro questa volta perché duri sono stati gli accadimenti. Durissimi. Se si considera che a morire sono stati dei ragazzi, ambedue giovanissimi nonostante il decennio di differenza che anagraficamente li divideva. Entrambi sicuramente, leggendo il loro volto fermato negli scatti fotografici, credenti nel futuro che non avranno più. Orlando Merenda e Camara Fantamadi non sono però gli unici ragazzi morti e che sostanzialmente possiamo nominare come uccisi in questo inizio di stagione tra la speranza dei vaccini e la paura assalente delle varianti del virus.
Orlando aveva 18 anni. Ufficialmente è morto suicida, gettandosi sotto la forza mostruosa di un treno, che ha cancellato il dispiacere di questo ragazzino preso d’assalto sulla sua pagina social: in un feroce ossimoro si è mostrata così poco socializzante per lui che si era confessato gay. A ucciderlo, spingendolo idealmente sui binari, tra le stazioni di Torino Lingotto e Moncalieri, sono stati i tanti che lo hanno sbeffeggiato, che lo hanno odiato e allontanato e addirittura non creduto. Si mette in evidenza con la fine tragica di questo ragazzino tutta la forza e l’urgente necessità di una legge che protegga le vittime e punisca esemplarmente i colpevoli ri-educandoli ad una civiltà, ma soprattutto a un’umanità mai considerata. Un odio ottuso, come è stato definito quello contro Orlando, un misero rancore che non si è fermato neppure dopo quel gesto estremo visto che qualcuno ha continuato a scrivere: «morte ai gay»,! La Procura di Torino ha aperto una inchiesta su questa nuova terribile pagina di omofobia, perché, tra l’altro, il giovane Orlando aveva detto in famiglia di avere paura di alcune persone e degli effetti della sua confessione. È morto di disamore, come in un romanzo russo (ah la preveggenza universale dell’arte!), in una domenica italiana appena dopo l’ora di pranzo senza ancora una legge discussa e approvata, oltre le ingerenze di altri Stati e, beffardamente, di alti interessi.
Camara Fantamadi aveva 27 anni. È morto ammazzato dal caldo e dalla fatica di una giornata passata al lavoro nei campi intorno a Brindisi, in una Puglia rovente. L’ha ucciso il caldo che è stato più micidiale di quello della sua Africa, del Mali dove Camara era nato e da dove veniva per cercare la vita migliore. Ma l’hanno ucciso anche coloro che hanno permesso, e non per la prima volta, che si lavorasse senza sosta per raccogliere più frutti del lavoro che così diventa amaro e micidiale. È morto dopo la fatica sopportata sotto al sole delle ore più calde del giorno pedalando verso una casa provvisoria, praticamente non rifugio, come dovrebbe essere.
Tra le giovanissime vittime (femminile plurale, non a caso) di femminicidio c’è, o meglio, si conta (perché i numeri sono crudelmente reali). Chiara Gualzetti aveva appena sedici anni ed è stata uccisa con una barbarie e una predeterminazione che fanno venire i brividi, da un coetaneo. Un minorenne anche lui, un ragazzino di cui lei, ragazzina, si fidava tanto da seguirlo da casa, dove lui era andato addirittura a prenderla, fino ai margini di quel boschetto a un chilometro e passa più in là, vicino all’abbazia di Monteveglio, nel territorio intorno a Bologna. I genitori di Chiara amavano la figlia a tal punto, amaro scherzo del caso, che per lei, per darle, lì, un futuro più sereno e sicuro, si erano trasferiti al nord da Napoli durante l’ondata di guerra fra bande camorriste. Ma per Chiara il futuro non c’è più, uccisa dalle coltellate di un maschio, come tante sue consorelle più grandi di lei.
Invece ancora non si trova il corpo esile di Saman Abbas, cercato ormai da quasi due mesi nelle campagne di Novellara, a Reggio Emilia. Non si trova ancora la giovanissima pakistana che non ha obbedito a chissà quale ottusità di una tradizione fatta di ferree leggi non scritte e di tradimenti d’amori che dovrebbero essere ancestrali. Sono stati messi in campo metodi di ricerca all’avanguardia, ma il «lavoro fatto bene» indicato da quello che dovrebbe essere stato l’assassino/femminicida di Saman ha ancora motivo di essere terribilmente valido.
Non appartiene alla morte, ai delitti premeditati e alla giovinezza stroncata questa ultima storia che mi ha colpita e che voglio raccontarvi perché nella tristezza dell’accadimento si sente un profumo che sa di bello, di umano. Una donna di quasi novant’anni qualche giorno fa vagava affamata per le strade di Torino. Era andata in banca e non aveva trovato nulla sul suo conto corrente. È scoppiata a piangere, per strada, credo sia normale…Dei poliziotti, maschi, si sono fermati per capire le cause della sua forte malinconia e l’hanno accompagnata a casa dove hanno constatato il frigo e gli armadi vuoti di qualsiasi tipo di cibo. Come in una favola (sì ci siamo ritornate a raccontarle anche oggi!) le hanno chiesto cosa desiderasse mangiare e la signora, quasi centenaria, ha avuto in dono il suo pollo con le patate al forno!
Che vengano questi vistosi sprazzi di un mondo di bene dove, come ha scritto per me l’amatissima e stimata Piera Degli Esposti riguardo alle donne che lasciano la loro casa «per mettere radici in altre radici», si può essere «grandi guerriere (e guerrieri, n.d.r.) senza armi con la forza alimentata dalla compassione». Ecco la compassione è l’insegnamento suggerito, nel suo significato originario e ancestrale (del greco συμπάϑεια): sentimento di pietà verso chi è infelice, verso i suoi dolori, le sue disgrazie, i suoi difetti; partecipazione alle sofferenze altrui.
Allora possiamo continuare così con un’altra bella storia, non raccontata abbastanza seppure accaduta ad aprile. Una storia bella e importante per le donne. Perché Giuliana Baldinucci, una professoressa di matematica in pensione, nonostante i 73 anni si è messa in cammino da Gubbio, dove vive, per arrivare a Roma. Ha camminato da sola per duecento chilometri per raccogliere fondi in favore dei centri antiviolenza, per i diritti delle donne. Solidarietà e compassione. Tra strade di campagna e borghi, sui tracciati della Via Francigena e della Via di Francesco, nel suo zaino ha portato una guida, un sacco a pelo e il certificato vaccinale della prima dose anti-Covid: «Ho scoperto il piacere di camminare durante il lockdown – ha detto in un’intervista -. Amo le sfide e ho deciso di dare un significato ai miei passi. Ora chiedo a chi mi segue di dare un contributo all’associazione Libera…mente donna’, che gestisce i centri antiviolenza di Perugia e Terni».
Veniamo al numero odierno di Vitaminevaganti. La donna di Calendaria questa settimana è la portoghese Amalia Rodrigues, La regina del fado, vissuto come “il destino”, dall’origine latina della parola: fatum, fato, fatalismo, melanconia, saudade. Accompagnate/i poi da Graziella Priulla in Il nome delle nostre paure affrontiamo il tema degli stereotipi di genere che caratterizzano la società e la scuola con un accenno agli attacchi al disegno di legge Zan. Ricordando Jean de La Fontaine invece ci offre l’occasione di approfondire la distinzione tra favola e fiaba.
L’Intervista a Ornella Urpis, cofondatrice di Port Art Women ci farà scoprire l’impresa pensata da due donne, distanti nello spazio, ma vicine nel comune sentire: la realizzazione di una comunità democratica nelle arti figurative destinata alle donne.
La tesi di questa settimana è Toponomastica femminile: percorsi per una geografia di genere tra i banchi di scuola, un’interessantissima ricerca, che valorizza il percorso della nostra associazione, sull’importanza dell’identità di genere nella progettazione didattica.
La Valle d’Aosta di Eleonora Charrère ci porta a incontrare una “donna del vino” che ha saputo portare nella produzione e nella commercializzazione dei vini valdostani, apprezzati fin dai tempi dei romani, uno sguardo femminile importante. Restiamo in Val d’Aosta, con un percorso ad anello in Val d’Ayas, indicato per preparare l’allenamento ai cammini veri e propri che, per questioni climatiche, trovano le loro condizioni ottimali in autunno e in primavera. L’articolo che ce ne parla è Prepararsi ai cammini 1.
Di Egitto si parla in due articoli: La donna nell’antico Egitto, in cui scopriremo che lungo le rive del Nilo donne e uomini erano uguali davanti alla legge, con qualche diversità soltanto nella valutazione dell’adulterio e Un salto nella millenaria civiltà egizia, che ci dà un quadro di una civiltà meravigliosa, tra le più longeve della storia, percorrendone le varie epoche.
Le medaglie al valore delle donne si occupa dei pochissimi riconoscimenti dati alle donne, tra cui le Medaglie al valor militare con cui furono insignite donne che furono stuprate e torturate dai nazifascisti.
Non solo un «punto di vista» è il bellissimo racconto che ha vinto il primo premio ex aequo per le classi terze della Sezione Narrazioni del Concorso Sulle vie della parità. Potrete leggerlo nella nostra rubrica Juvenilia.
Stranger di Keren David è il primo dei due libri che recensiamo in questo numero, un “giallo psicologico” con due protagoniste femminili che vivono in epoche diverse. L’altro, Lasciami andare, madre, di Helga Schneider è un plot struggente, a metà tra una pièce teatrale e una seduta di analisi, che cerca di dare parole al dolore di una figlia che vuole capire una madre difficile da accettare. Completa il numero la rassegna “poetica”, che aspettiamo ogni mese come un appuntamento tutto da godere, delle iniziative di Toponomastica femminile di giugno.
L’estate è ormai entrata a far parte della nostra vita giornaliera con l’afa, l’umidità, ma anche le belle giornate da passare all’aria aperta della quale abbiamo tanto avuto bisogno e che speriamo non vengano di nuovo a mancare, perché l’attenzione è sempre la migliore alleata contro l’azzardo.
Parliamo dell’estate con un grande poeta francese Jean Arthur Rimbaud (1854-1891) scomparso a Marsiglia 130 anni fa. Quando Arthur Rimbaud scrisse questi versi aveva 16 anni.
SENSAZIONE
(Arthur Rimbaud)
Le sere azzurre d’estate, andrò per i sentieri,
Punzecchiato dal grano, a calpestare erba fina:
Trasognato, ne sentirò la freschezza ai piedi.
Lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.
Non parlerò, non penserò a niente:
Ma l’amore infinito mi salirà nell’anima,
E andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro,
Nella Natura, – felice come con una donna.
Buona lettura a tutte e a tutti
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.