Concorso Sulle vie della parità, VIII edizione 2020/21
Sezione B, Narrazioni. Le donne nella memoria. La memoria delle donne
Incipit 2 di Emanuela Canepa
Il professore di Storia è seduto alla cattedra a scrivere e non mi vede arrivare. Quando gli rivolgo la parola solleva la testa di scatto.
È il primo a cui faccio la domanda.
Capisco subito che l’ho messo in difficoltà perché aggrotta le sopracciglia e mi fissa con astio. So cosa sta facendo. Anche mio nonno, che ha insegnato quarant’anni, usa la stessa strategia. Se non è in grado di dare una risposta, cerca di insinuare l’idea che la sua esitazione dipenda dalla stupidità dell’interlocutore. Lo fa con me, con mia madre e con mia sorella. Con mio fratello, mai. Con mio fratello accetta il confronto.
Io però ho deciso che non mi faccio incastrare. Non abbasso lo sguardo, gli occhi avvitati ai suoi. Del resto, io sono in piedi, lui seduto. La gerarchia dei dislivelli gioca a mio favore. Ho fatto una domanda sul passato e non mi muovo da qui fino a quando non ottengo una risposta. Se la risposta non arriva, lui dovrà tornare a casa sapendo che è colpa sua. E maledirmi come la sputasentenze che gli ha rovinato la giornata.
Eppure, la domanda è molto semplice, come anche la risposta. Ma il suo orgoglio di maschio gli impedisce di pronunciare quelle parole, non davanti alla classe e non dopo che io, con la mia domanda, l’ho sfidato. Allora mi chiede di sedermi, si alza e inizia a parlare. Racconta la Resistenza, racconta dei partigiani, racconta di come la Costituente fosse fortemente influenzata da questi. Cerca di motivare la presenza di sole 21 donne su 556 come la semplice conseguenza dell’assenza delle donne dal movimento partigiano. Non posso accettarlo, lo interrompo. La sua mascella si indurisce sensibilmente, mi fulmina con lo sguardo. Non abbasso gli occhi, gli ricordo che le donne non furono assenti dal movimento partigiano. Una mia compagna mi interrompe. Dice che furono poche eccezioni, sembra dare ragione al professore. Non ci posso credere, non mi aspettavo che una ragazza potesse schierarsi con lui. Si alza un altro ragazzo, cita Anna Maria Levi. Il professore riprende la parola, si scusa, rettifica il discorso, spiega che intendeva una partecipazione attiva e motivata da ideali. Con un sorrisino ironico derubrica la partecipazione femminile nella Resistenza al ruolo di comparsa. Questa volta lo interrompe la bidella, la porta è aperta, deve aver sentito il discorso. Sembra voglia fargli notare come si sbagli. Non la lascia finire, dice che deve spiegare. Inizia a parlare del Medioevo. Non posso fare altro che sedermi, la bidella esce. Prima ci guardiamo per un attimo negli occhi, decidiamo che non ci arrenderemo.
Non ascolto nulla della sua spiegazione, continuo a pensare alle sue parole e a quelle della mia compagna. Non ci posso credere, non me lo aspettavo. Essendo abituata a mio nonno, non avevo mai pensato arrivasse una risposta sincera, ma speravo… non lo so, speravo che in qualche modo riuscisse a dare comunque una risposta. Ma ci avrei riprovato, era appena diventata una questione personale. La settimana prossima proverò con un’altra domanda e quella dopo con un’altra ancora. Il professore arriverà ad odiarmi forse, ma non mi fermerò finché non avrò una risposta che mi soddisfi.
A pranzo decido di raccontare a mia madre, alle mie sorelle e a mio fratello ciò che è successo a scuola. Per tutto il tempo del racconto sento lo sguardo di mio nonno addosso. So che non approva, aspetto il momento in cui esploderà. Non esplode, ma a un certo punto si alza e se ne va. Anche oggi sparecchieremo noi, d’altronde è normale, per lui.
Arriva la settimana dopo, entro in classe e il professore di Storia è già dentro. Appena mi vede camminare verso la cattedra aggrotta le sopracciglia. Sa che sto per metterlo di nuovo in difficoltà. Poi sorride, crede di aver trovato la soluzione, deve averci pensato tutta la settimana. Mi invita a fargli qualsiasi domanda alla fine della sua ora, garantisce che mi darà tutte le risposte che vorrò. So cosa sta facendo, vuole evitare che la nostra conversazione avvenga davanti alla classe, ancora una volta vuole salvaguardare il suo onore. Non lo ascolto, pongo la mia domanda ad alta voce, lo fisso negli occhi. La classe segue incuriosita, sanno che anche questa volta ci sarà uno scontro. Il professore si toglie gli occhiali e si alza. Questa volta non mi siedo. Gli ho chiesto perché le donne siano così poco considerate nella storia e pretendo una risposta. Sta in silenzio a lungo, si è reso conto che l’ho messo ancora all’angolo. Questa volta però sono tanti i compagni e le compagne che lo incitano a rispondere. Biascica qualche parola sul ruolo delle donne nelle culture antiche. Lo incalzo: Mileva Maric, Nilde Lotti, Tina Anselmi. Un mio compagno abruzzese cita Anna Nenna D’Antonio. Il suo sguardo è così astioso che non credevo fosse possibile. Il tono si fa irritato, dichiara di non poterci fare nulla se poche donne hanno compiuto atti importanti nella storia. Quelle parole scatenano una cascata. Tutti iniziano a gridare nomi di donne che hanno fatto la storia. È difficile distinguerle tutte, alcune non le conosco neanche io. Sento Fanula Papazgolu, Olympe de Gouges, Luisa Spagnoli, Marie Curie, Adele Bei, Elisabetta Conci, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Giuseppina Panzica, Costanza D’Altavilla. Il professore continua a guardarci con un sorriso ironico che sembra una sfida e questo mi fa trovare le parole giuste. Gli faccio notare come solo il 35% dei parlamentari sia oggi donna, gli ripeto alcuni dei nomi che avevamo già fatto. Il suo sguardo è tornato impassibile, riduce le mie obiezioni a millantazioni di un’estremista. Fa sembrare tutto normale, sembra quasi che non veda il mondo ingiusto in cui viviamo. La classe si spacca, una piccola parte continua a difendere il professore. A un certo punto, mi rendo conto che è cambiato qualcosa. Il suo sguardo cambia improvvisamente, il tono si abbassa. È stato sconfitto dalla realtà. Leggo nei suoi occhi il dolore di un orgoglio ferito, non riesce a guardarmi negli occhi. Ha smesso di parlare da qualche minuto ormai, quando dalla sua bocca escono parole che ormai non mi aspettavo più. Riconosce che una bieca visione unilaterale abbia influenzato ed influenzi ancora le menti e le azioni di tante persone. Risponde alle mie domande, vedo il tentativo di guardare ai fatti con occhi diversi, con i miei occhi. Non si scusa, continua quasi a parlarne come fosse un fenomeno normale ma nelle sue parole fa capolino l’idea del “punto di vista”. Dal corridoio incrocio lo sguardo della bidella e capisco che oggi abbiamo ottenuto una prima vittoria. Oggi a casa, toccherà a mio nonno. Questa volta non gli permetterò di alzarsi.
Il racconto è stato scritto da Andrea Rau, allievo della classe III B del Liceo Scientifico Matteo Raeli di Noto, sotto la guida delle referenti del progetto, prof.a Corrada Di Mauro e prof.a Venera Parisi.
La Giuria gli ha conferito il Primo premio ex aequo per le Classi Terze con la seguente motivazione:
«Forse la prima domanda posta al professore poteva essere subito resa esplicita (ci si chiede infatti se la scelta dell’insegnante di parlare della Resistenza sia la risposta a una domanda specifica oppure no), ma il racconto, coerente sia con il tema proposto che con l’incipit scelto, appare fresco e spontaneo, e rivela un atteggiamento di positiva fiducia nella capacità delle persone di evolversi e cambiare. L’espressione si presenta generalmente adeguata, corretta e scorrevole».
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Articolo di Loretta Junck

Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile. curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).