Carissime lettrici e carissimi lettori,
La violenza. Il vocabolario ci fornisce del termine la spiegazione esatta: «una forza impetuosa e incontrollata oppure un’azione volontaria, esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà». La violenza si manifesta in vari aspetti. Può essere fisica, psicologica, sessuale, verbale o economica, nonché ideologica. È privata, domestica, assistita (la violenza assistita, che non è purtroppo rara, si manifesta quando i bambini e le bambine sono presenti a violenze commesse da adulti) o sociale e di gruppo verso o contro un altro gruppo, ma anche verso un oggetto o un luogo.
La violenza appartiene sicuramente alla sfera dei reati, compreso quello di istigazione alla violenza. «È violenza – detta ancora il dizionario – ogni atto o comportamento che faccia uso della forza fisica (con o senza l’impiego di armi o di altri mezzi di offesa) per recare danno ad altri nella persona o nei suoi beni o diritti, quindi anche per imprese delittuose (uccisioni, ferimenti, sevizie, stupri, sequestri di persone, rapine): ottenere, carpire, costringere con la violenza; ricorrere, o fare ricorso, alla violenza; atto di violenza».
Un atto di violenza, dunque, a tutti gli effetti, quello che è accaduto sabato scorso con l’assalto e la distruzione interna della sede nazionale della Cgil, il sindacato più grande tra i confederali, ed è violenza l’assalto al pronto soccorso del policlinico Umberto I dove alcune persone si sono recate sfasciando porte e aggredendo e ferendo, secondo le cronache, due infermieri e due poliziotti per “liberare” un manifestante ferito e portato lì per essere curato. La situazione è delle più inquietanti e certamente da non sottovalutare. Gli ingredienti ci sono tutti, come per una torta, ma quello che ne viene fuori di dolce non ha proprio nulla. Ci sembra, invece, una chiara provocazione allo Stato e alla democrazia. Il sindacato, al di là di ogni opinione ideologica, sempre attenendoci al significato dato dal vocabolario è «un’associazione di lavoratori costituita per la tutela di interessi professionali collettivi». Sempre di seguito sul dizionario si legge: «Il sindacalismo è la dottrina e prassi politico-economica, di varia matrice ideologica e culturale, finalizzata all’organizzazione dei lavoratori in sindacato. Nato in seno al movimento operaio e affermatosi progressivamente in tutti i paesi sviluppati a partire dalla prima fase della loro industrializzazione moderna, il sindacalismo si è variamente configurato, nelle diverse aree geografiche, sulla base delle differenti situazioni politico-economiche». Dunque, ufficialmente il sindacato è, lo ripetiamo, al di là delle ideologie, un organo e un corpo intermedio della società, fondamentale in democrazia e espressione di questa. Un assalto al palazzo di un sindacato ha per questo, secondo noi, un significato grave, non solo verso il Governo, ma verso la società democratica.
Ieri, il 15 ottobre, è arrivata la giornata in cui si era segnato l’avvio dell’obbligatorietà del green pass, domani e lunedì, 17 e 18 ottobre, nelle città in cui si svolgono i ballottaggi, si sceglierà il sindaco, purtroppo declinato esclusivamente al maschile.
Un commosso omaggio oggi lo dedichiamo a Irene Giacobbe, scomparsa improvvisamente questa settimana (il 13 ottobre). Una persona, una donna che sentiamo molto vicina, con una mente e un cuore immensi. Sulla pagina Facebook dell’associazione GiULia (Giornaliste unite libere e autonome), la ricordano con una bella foto e poche frasi intense: «Irene Giacobbe ci ha lasciate. Improvvisamente. Un grande dolore per tutte noi. Lei, che lascia un segno profondo nella storia delle donne e del femminismo romano, a lungo presidente di Affi, tra le fondatrici della Casa Internazionale delle Donne, presidente di Power and gender, sulla sua pagina social aveva scritto solo socia di GiULiA e Amo la vita intorno a me in ogni forma. Scrivo di donne e per le donne, leggo e racconto, amo le sfide verso il futuro». Una persona così si può solo amare. Tra l’altro ora saranno donati, per una volontà più volte da Irene espressa, anche i suoi organi, e continuerà così a “seminare” del bene e del buono, dando ancora una volta un segno di generosità e di partecipazione umana! La salutiamo con il cuore! Le tante amiche e amici che vorranno la potranno ricordare domani, alle 11.00, nella “sua” Casa internazionale delle donne, a Roma, in via della Lungara.
Proprio su Giulia.Globalist.it si leggono, a proposito di giornaliste, alcune notizie che mettono timore verso un mondo che sembra non abbia nessuna intensione di “femminilizzarsi”, nel senso non certo di dominio delle donne (cadremmo nella stessa trappola), ma di trovare la volontà di scrollarsi di dosso il modello maschilista e maschile imperante (di cui il femminismo e, oggi anche l’ecofemminismo, più attento alla cura dell’ambiente e della natura, è il contrasto). In un’indagine fatta su dieci quotidiani nazionali nella settimana che va dal 4 al 9 ottobre (cioè dall’ultimo giorno utile per le elezioni comunali nei luoghi dove si è votato al sabato successivo) in prima pagina per due giorni (lunedì e martedì) non c’è stato nessun articolo a firma femminile. Per tutta la settimana poi i giornalisti hanno superato le colleghe donne con 432 articoli contro 127 al femminile. Gli editoriali al maschile sono stati 68 contro i 33 firmati da donne. Il dato sulle interviste è il più eclatante: 104 uomini rispetto a 28 donne.
Con lo stesso giornale online celebriamo di nuovo il premio Nobel per la pace dato alla giornalista filippina, tenace oppositrice del regime di Rodrigo Duerte, senza dimenticare l’altro premiato, il russo Dmitrij Andreevič Muratov, che ci rimanda ad Anna Politkovskaja anche lei giornalista della Nòvaja gazèta, uccisa da ignoti (ma il mandante è tacitamente noto!) il 7 ottobre del 2006 con vari colpi di pistola davanti all’ascensore di casa.
Le donne continuano a morire di morte violenta, per quello che sono, cioè per essere donne e spesso per non aver guardato con attenzione l’uomo che raccontava di amarle e rispettarle, o per quello che fanno. Muoiono a casa (il femminicidio non abbassa mai i numeri della sua frequenza) davanti spesso ai figli e alle figlie (sopra parlavamo di violenza assistita). Muoiono suicidandosi, ma solo apparentemente, come è successo alla giovanissima Martina Rossi che è caduta dal balcone di un albergo di Palma di Maiorca: un volo di sei piani per sfuggire a un tentativo di stupro che dopo dieci anni di processo (era il 2011!) solo in questi giorni è stato riconosciuto come tale, ma certo non comminando ai ragazzi colpevoli una condanna esemplare. Una cosa simile, un’istigazione al suicidio, deve essere accaduta qualche giorno fa a Dora Lagreca, una ragazza di 30 anni precipitata dal balcone, a Potenza nella notte tra l’8 e il 9 ottobre scorsi, mentre era in pieno corso un litigio con il fidanzato.
Non solo in Italia. Un’atleta bravissima, di appena 25 anni, Agnes Tirop, kenyota, è stata trovata morta nella sua cucina, a Iten, appunto in Kenya, nella contea di Elgeyo Marakwet. É stata uccisa da una serie di coltellate all’addome, molto probabilmente per mano del marito che per ora non si trova. Agnes Tirop era un’atleta “in ascesa” come l’hanno definita. Era salita sul podio dei diecimila metri nel 2017 a Londra e poi nel 2019 a Doha, piazzandosi tra le migliori del mondo nell’atletica leggera. A Tokyo era arrivata quarta nei cinquemila metri. E il mese scorso, in Germania, aveva battuto il record mondiale dei dieci chilometri femminili su strada. Sei anni fa, nel 2015, aveva anche vinto il mondiale di Cross Country, in sella alla mountain bike: «Stiamo ancora lavorando per scoprire ulteriori dettagli sulla sua scomparsa – ha fatto sapere l’Athletics Kenya –. Il nostro Paese ha perso un gioiello, una dei giganti dell’atletica in più rapida ascesa sulla scena internazionale, grazie alle sue accattivanti prestazioni in pista».
Parlare, continuare a parlare di questi omicidi (suicidi compresi, se visti in questa ottica di istigazione a farlo) è importante. Non è solo cronaca nera, è una realtà tragica vissuta, con delle precise cause, dalla parte femminile del mondo. Spesso anche chi compie scelte sessuali diverse subisce umiliazioni, viene deriso/a o violentato/a, quando addirittura non ucciso/a. Non possiamo sottovalutare la portata di questi episodi. Non sono solo violenza, ma lettura di una situazione sociale. Triste è l’episodio di scherno al modello gay in copertina su Playboy da parte di Mauro Corona nella puntata di martedì scorso a Cartabianca: «Non han messo uno normale», davvero poco corretto!
Come mi incoraggiava sempre Piera Degli Esposti, che dobbiamo ricordare per la sua grandezza artistica (lo sollecitavano al festival del cinema di Venezia e martedì 19 ottobre a Roma (h. 21 Auditorium via della Conciliazione), sarà proiettato Anima Bella di Dario Albertini), finiamo in bellezza e armonia commentando il bel gesto di affetto di Jolanda Renga che ha difeso con tatto e gentilezza, a soli 17 anni, la riservatezza della mamma, Ambra Angiolini, contro il gossip imperante di una televisione a volte sciatta.
Oggi vi propongo una breve, ma intensa composizione di un poeta curdo, Abdulla Goran, nato nel 1904 a Halabja, città nel Kurdistan iracheno, morto nel 1962. È definito il poeta della moderna letteratura curda, perché Goran, attraverso la sua opera poetica e letteraria, è riuscito a eliminare dalla sua poesia l’impronta araba, fin lì dominante, dando alla sua produzione poetica «una nuova struttura compositiva, un nuovo respiro, sia per forma che per ritmo, utilizzando un linguaggio diretto senza edulcorazioni, schermi o escamotage semantici, con contenuti calati e aderenti alla realtà, alla cultura, e alla tradizione del popolo Curdo». Forse ve l’avevo già proposta in passato, ma comunque mi è sembrata, in questo periodo così pieno di conflitti, bello e giusto (ri)proporla, proprio per la sua portata partigiana.
Io vado, madre.
Se non torno,
sarò fiore di questa montagna,
frammento di terra per un mondo
più grande di questo.
Io vado, madre.
Se non torno,
il corpo esploderà là dove si tortura
e lo spirito flagellerà,
come l’uragano, tutte le porte.
Io vado…madre…
Se non torno,
la mia anima sarà parola …
per tutti i poeti.
Abdulla Goran
Ora, sempre con il gentile aiuto di Sara Marsico, leggiamo gli argomenti presenti negli articoli di questo numero della rivista. Cominciamo, come sempre, con la donna di Calendaria. Questa volta ci presenta Magda Szabó, un’autrice ungherese tra le più tradotte al mondo, che ha scritto romanzi, poesie e drammi. Continuiamo con una storia di ribellione femminile alle regole: Angela, la disobbediente al matrimonio, che ci fa conoscere una donna della fine del Quattrocento, determinata e fiera, che in anni difficili riuscì ad affermare la propria volontà, a dispetto dei tanti ostacoli incontrati. Per la serie Fantascienza un genere (femminile) incontriamo Vonda McIntyre, che nei suoi scritti «ha proiettato la consapevolezza che un altro mondo è possibile e che nelle sue opere ha dato spazio a istanze democratiche e femministe», promuovendo i valori della non violenza, dell’ecologia e della solidarietà femminile.
La terza parte della serie su La donna romana. La moda ci parla dell’abbigliamento femminile nelle varie occasioni. Per il Teatro Filosofico potrete leggere i pensieri e le canzoni di una grande ambientalista ed economista, nell’articolo Vandana Shiva e la partecipazione delle donne alla cura della terra.
Tempi di conflitto, non solo sui social in famiglia e sui luoghi di lavoro, ma anche nella società, sono quelli che viviamo. L’articolo Un webinar sulla gestione del conflitto vuole essere un valido aiuto per imparare ad affrontarli, soprattutto quando coinvolgono le donne. Leggerlo ci farà bene. Di conflitti tra persone di lingue diverse e di difficoltà di comprendersi tratta la bella storia ambientata in Istria, raccontata nell’articolo Nives Tommasi detta Neva, prima maestra italiana in un paesino dell’Istria, dopo la riforma Gentile, con riflessioni sull’importanza della lingua come storia e memoria di un popolo, a cui non può essere impedito di parlare la lingua del territorio in cui vive. In Un lavoro inadatto a una donna si ripercorre la storia di alcuni tra i personaggi femminili più importanti nel genere giallo, tra grandi autrici e audaci investigatrici le figure si evolvono nel tempo a volte ricadendo in stereotipi a volte invece emancipandosi da essi.
L’autunno è arrivato, portandoci la voglia di leggere e rileggere, quando la temperatura fuori comincia ad essere più fresca, soprattutto verso sera e invitandoci al tepore della casa. Sono quattro i libri che recensiamo e consigliamo in questo numero: Le intrepide protagoniste del nuovo romanzo di Salvatore Niffoi: Le donne di Orolé, raccontate da una grande estimatrice dello scrittore sardo; Whiteout, una storia di sorellanza in montagna, di Anna Torretta, Eleonora Delnevo, Dorota Bankowska, tre donne che hanno saputo vedere nella fine un nuovo inizio; Noi credevamo di Anna Banti nell’articolo In questo silenzio che mi abita, ho la testa piena di parole. L’autrice dell’articolo Una bambina indomabile rilegge Mi prendo il mondo ovunque sia di Letizia Battaglia e Sabrina Pisu, ripercorre i passaggi più importanti dell’intensa vita di una fotografa «che mette spesso le donne al centro del suo lavoro, lo rivendica come una scelta creativa che nasce da un “sentimento di solidarietà”, attribuisce loro un ruolo purificatore». La solidarietà è il filo rosso di molti scritti di questa settimana. Di un audace e coraggioso esperimento ci parla l’autrice dell’articolo Un ponte per l’India, che descrive l’associazione Ponti non muri e le sue importanti iniziative di solidarietà. Per non dimenticarci che questo bellissimo valore è uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, all’articolo 2. Una prospettiva diversa della storia e come la si può insegnare è riportata nell’articolo Storia libera tutte. riflessioni intorno alla preistoria, che analizza le differenze dei ruoli maschili e femminili fin dalla comparsa delle prime società umane.
Nella sezione Juvenilia è presentato uno dei progetti marchigiani premiati nell’ambito del concorso didattico Sulle vie della parità nelle Marche, si tratta di La cura realizzato dall’Istituto di istruzione superiore Polo3 di Fano.
Chiudiamo come sempre con un articolo che ci stuzzica l’appetito, Crostini toscani della nonna Fedora, una gustosa ricetta natalizia.
Buona lettura a tutte e tutti.
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.