Di cucina tradizionale toscana abbiamo già parlato su Vitamine vaganti (n. 45 del 18-1-2020) e ora stiamo vedendo nel dettaglio alcune ricette tipiche, fra le tantissime, varie e diverse in ogni angolo della regione, o addirittura in ogni casa.
A proposito di secondi piatti, tralasciando quindi pappardelle, zuppe, tordelli, ribollita, farinata col cavolo nero, pappa col pomodoro, ecc. ovvero i primi più comuni sulle tavole soprattutto nel passato, possiamo citare numerose specialità: sul mare troviamo triglie alla livornese, telline, cacciucco, intorno alle aree palustri si pescavano anguille, rane, tinche, lucci, e spesso ci si cibava di cacciagione, nell’entroterra si va dal peposo ai bolliti, dall’utilizzo del maiale in ogni sua parte alla bistecca, per non parlare delle frattaglie assai rinomate, a chi piacciono, come trippa e lampredotto. Ma volevo raccontarvi la storia poco nota di un curioso miscuglio di avanzi, credo abbastanza raro altrove, che definire a km. zero è esagerato: era a m. zero! Si tratta della cioncia, un antico piatto dellaValdinievole (Pistoia) e in particolare di Pescia, dove erano diffuse le concerie delle pelli. Nel 1911 ne risultavano ben 6 e gli operai addetti a ripulire e sgrassare le pelli dei vitelli macellati dagli avanzi di carne, detti carniccio, potevano portare a casa quanto recuperato, insieme alla coda e alla testa, di cui utilizzare muso e guance. Era la loro ricompensa e, in famiglia, chi si occupava della cucina aveva imparato con l’esperienza a realizzare un piatto saporito e nutriente. Si scottava la carne a pezzetti per una mezz’ora, si scolava e poi si univano testina e coda e si rosolava in olio con un abbondante soffritto. Si bagnava con il vino rosso e si lasciava evaporare, poi si aggiungeva la salsa di pomodoro, si cuoceva ancora circa 15 minuti, quindi si allungava con il brodo, si aggiustava di sale, pepe, peperoncino (o quello che era più gradito) e si lasciava cuocere coperto, a fuoco basso, per circa tre ore.

Oggi è un piatto quasi introvabile, anche nelle trattorie, certo poco pratico per i tempi di cottura improponibili nella nostra frenetica vita quotidiana.
Vorrei allora passare a qualcosa di più diffuso e idoneo, comunque legato ad un’altra tradizione: la presenza degli animali da cortile in ogni casa dotata di un orto, di uno spazio all’aperto, anche piccolo, e di uno stanzino riparato. Questo era il piccolo regno della massaia che accudiva le galline, a cui talvolta si univano faraone, tacchini, anatre, oche e, sempre presenti, i conigli. Come si sa, si tratta di animali versatili ed economici, la cui carne bianca è preferibile a quella “rossa”; oltre alle uova dai mille utilizzi, se davvero sono ben nutriti, si possono cucinare nelle maniere più svariate, con risultati eccellenti: cappone o gallina lessa, fritto (a bocconcini), umido (alla cacciatora con olive e, spesso, polenta), arrosto morto (in bianco, nel tegame), al forno con le patate, senza dimenticare il sugo e i crostini a base di fegatini.
Vi propongo dunque una ricetta di sicuro successo, facile e gustosa: il coniglio ripieno (o farcito) che si presta ad essere mangiato caldo, con un bel purè di patate o verdure cotte, ma anche freddo, in estate, accompagnato allora da una ricca insalata mista.
Ci si deve procurare un coniglio di circa 1 kg e mezzo, di quelli ruspanti, allevati all’antica, possibilmente, le cui carni sono belle sode e dal colore chiaro, ma non anemiche! Qui occorrono abilità ed esperienza per disossarlo completamente (il coniglio è micidiale per i suoi ossicini minuscoli…), meglio farlo fare in macelleria, poi lo ripasseremo con la massima attenzione.
Dopo averlo lavato e asciugato, si apre bene su un piano di lavoro o su un ampio tagliere, per procedere con la farcitura: nella versione che suggerisco (ma ce ne sono tante: con il lardo, con formaggio che fonde, con frittate di verdura, con carne macinata…) farete tre frittatine sottili, ognuna con un uovo sbattuto, sale, pepe, volendo del prezzemolo tritato; preparerete 3 hg. di mortadella e 3 hg. di prosciutto cotto a fette. Si mettono alcune fettine di mortadella, e poi prosciutto e quindi le frittatine, ripetere gli ingredienti, coprendo il piano; cominciare a fare un rotolo partendo dal fondo e dalle zampine. Legare con lo spago nei due sensi. Rosolare bene, a fuoco lento, con olio evo (e, a piacere, poco burro), poi versare del vino bianco, far evaporare, salare, pepare, aggiungere del brodo (anche di dado) e cuocere lentamente, coperto, controllando che non asciughi troppo, 50-60 minuti. Quando si è un po’ intiepidito si toglie con delicatezza lo spago e si taglia a fette abbastanza spesse, sennò si sfalda, e si serve con il suo sughetto. Delicato e saporito, ricorda le vecchie tradizioni, ma è semplice e adatto a ogni palato, anche il più esigente.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne