Fantascienza, un genere (femminile). Vonda McIntyre 

Vonda è non soltanto un’affermata autrice di science fiction negli Stati Uniti (in Italia è ancora pochissimo tradotta), ma anche una promotrice della creatività e delle competenze delle donne. Nel 1974, con Susan Janice Anderson, dà inizio al progetto, tra femminismo e umanesimo, dell’antologia Aurora: Beyond Equality (Aurora: oltre la parità), pubblicata due anni più tardi: le curatrici chiedono a donne e uomini che scrivono di fantascienza il contributo di storie («amazing tales of the the ultimate sexual revolution») che siano capaci di «esplorare il futuro del potenziale umano dopo che l’uguaglianza tra i sessi sarà stata raggiunta». 

Copertina dell’antologia Aurora: Beyond Equality, a cura di Vonda McIntyre e Susan Janice Anderson, Fawcett Gold Medal,
New York 1976 

L’antologia comprende anche un saggio di Ursula Le Guin dal titolo Is Gender Necessary? (Il genere è necessario?), nel quale l’autrice sostiene la necessità di ripensare alla società orientandola all’androginia, come avviene nel suo romanzo The Left Hand of Darkness (La mano sinistra delle tenebre, 1969), ove utilizza il pronome maschile per i personaggi sia maschili sia femminili. McIntyre e Anderson sono convinte di pubblicare quattro racconti di uomini − Phillip James Plauger, Dave SkalCraig Strete e James Tiptree jr. – e quattro racconti di donne − Mildred Downey BroxonMarge PiercyJoanna Russ e Raccona Sheldon −: in realtà autrici e autori sono soltanto sette, perché, come ora noto, James Tiptree jr. e Raccoona Sheldon sono alias della grande Alice Sheldon, che per anni si è celata dietro uno pseudonimo maschile. Al di là della riuscita disuguale dei singoli testi, l’operazione è di grande interesse per il tentativo di costruire scenari futuri innovativi, nei quali entrambi i generi possano realizzare pienamente le proprie potenzialità anche indipendentemente l’uno dall’altro. «Erano gli anni Settanta e il moderno movimento femminista si stava appena affermando. E c’erano un sacco di polemiche nella fantascienza sul fatto che le donne potessero averci qualcosa a che fare, cosa che in realtà trovavo piuttosto dolorosa»: così Vonda McIntyre in un’intervista al popolare blog «Gizmodo» il 24 ottobre 2010. 

Vonda Neel McIntyre nasce il 28 agosto 1948 a Louisville, Kentacky; durante l’infanzia, a causa del lavoro paterno, si sposta con la famiglia in diversi stati della costa orientale statunitense e nei Paesi Bassi, fino al trasferimento a Seattle, Washington, nei primi anni Sessanta. Nel 1970 si laurea con lode in biologia presso l’Università di Washington, specializzandosi successivamente in genetica: «Perché vuoi andare all’università? – ricorda le chiedevano – Perché vuoi studiare calcolo infinitesimale? Le ragazze non possono fare calcolo infinitesimale!». Nello stesso anno frequenta il Clarion Writers Workshop, il prestigioso laboratorio di scrittura science fiction che si tiene ogni anno e di cui diverrà lei stessa docente a partire dal 1984. Come altre autrici, si appassiona alla fantascienza ancora adolescente e prima di affermarsi colleziona numerosi rifiuti: il suo primo racconto è rispedito al mittente ventisette volte prima di trovare collocazione in una rivista «il cui editore è emigrato in Nuova Zelanda ed è scomparso, e con lui la rivista», come si legge sul suo sito, sul quale si trova anche una gustosa biografia weird scritta da Eileen Gunn, che presenta Vonda come un personaggio di un racconto fantasy e science fiction. 

Fotografia giovanile di Vonda McIntyre (Betty Udesen/The Seattle Times) 

Nell’aprile 1973 un suo racconto, Wings (Ali), appare nell’antologia The alien condition, a cura di Stephen Goldin: un testo suggestivo e visionario, certo memore della mitologia classica, della sacralità di veggenti e profezie, del mistero ancestrale dei riti di passaggio. Protagonista è l’anziano custode del tempio, che offre soccorso e rifugio a un giovane ferito: entrambi appartengono a una specie androgina e alata, entrambi condividono il senso di abbandono e inutilità delle proprie vite. Nei tempi antichi, l’anziano poteva predire ai visitatori del tempio «la loro morte con visioni enigmatiche che quelli non avrebbero riconosciuto se non quando la morte fosse stata imminente. Era la tradizione dei veggenti. Ma la gente se n’era andata; non aveva più bisogno di lui. Non aveva più bisogno di lui da molto tempo, e forse non l’aveva mai avuto». Così, dopo la morte della sua compagna − in volo, mai così in alto, a perdersi nella luce − lui era rimasto solo, fino all’arrivo del giovane, alla sua partenza, al suo ritorno. Ali è una struggente parabola sull’invecchiamento e sul tempo che passa, un elogio dell’ascolto e della comprensione («dovremmo mostrare tolleranza l’uno per le debolezze dell’altro», ribatte l’anziano alla giovanile crudeltà dell’ospite), una riflessione su quanto sia importante che qualcuno ci accompagni con amore nel grande passo verso l’ignoto. 

Nell’ottobre 1973 Vonda pubblica sulla rivista «Analog Science Fiction/Science Fact» Of Mist, and Grass, and Sand (Bruma, Erba e Sabbia), la novelette con la quale, a trentacinque anni, vince il Nebula Award; il testo è ripubblicato due anni dopo nell’antologia Women of Wonder (Donne del meraviglioso), a cura di Pamela Sargent; nello stesso 1975 dà alle stampe The Exile Waiting (In attesa dell’esilio), il suo primo romanzo. 

L’attività di autrice si concentra in poco più di un ventennio, dalla metà degli anni Settanta a quella degli anni Novanta, con racconti, romanzi, serie. Il romanzo più premiato e fortunato (si aggiudica in un colpo solo Nebula, Hugo e Locus Award) è Dreamsnake (Il serpente del sogno, titolo italiano Il serpente dell’oblio), del 1978, più volte ristampato in lingua originale e in traduzione, terzo della serie di cinque testi centrati sul personaggio di Snake (Serpente), di cui Of Mist, and Grass, and Sand è capostipite (oltre a costituire la prima delle tre parti dello stesso Dreamsnake). 

Copertine di tre edizioni del fortunato romanzo di Vonda McIntyre Dreamsnake, rispettivamente del 1978, 1986, 1994 

In un futuro remoto, successivo all’apocalisse atomica che ha avvelenato la terra, e che ancora avvelena i suoi abitanti attraverso le radiazioni, vive la giovane Snake, che appartiene al gruppo dei guaritori, donne e uomini che attraverso la progressiva familiarità con i serpenti si sono resi immuni dagli effetti del veleno di questi, grazie al quale hanno elaborato la capacità di curare molte delle malattie umane: Mist e Sand sono i nomi del cobra e del crotalo affidati a Snake, Grass è il nome del terzo serpente, il cui veleno – questa l’invenzione di McIntyre − «non uccide, e non rende inevitabile la morte. Facilita la transazione dalla vita alla morte, e aiuta il moribondo ad accettare la fine»; è questo il serpente che nelle prime pagine del romanzo viene ucciso, per ignoranza e paura, proprio dai familiari di un bimbo al quale la guaritrice estirpa un tumore. Grass in italiano significa ‘Erba’: il doppio senso in entrambe le lingue rinvia dunque al potere allucinogeno del rettile. La ricerca di un nuovo serpente dell’oblio è il motore della narrazione: senza di esso Snake non può esercitare la propria attività di guaritrice, che coniuga elementi naturali e mutazioni genetiche – forse l’aspetto più interessante del romanzo −, e d’altra parte il serpente del sogno appartiene a una specie rarissima, che sembra non riprodursi in cattività, né può essere sottratto a un altro guaritore. Snake è indubbiamente un bel personaggio: in lei l’antica sapienza delle donne si esprime nella capacità di ascoltare e comprendere, medicare e curare gli altri; in lei (come in Jirel di Joiry, la guerriera nata dalla penna di Catherine Moore) si trova la capacità di attraversare e affrontare in solitudine terre desolate e situazioni complesse; in lei si ricompongono gli opposti di forza e tenerezza, determinazione e sensibilità, erotismo e innocenza. 

Dreamsnake si connota anche come un romanzo di formazione, nel quale la protagonista compie un viaggio iniziatico e supera una serie di prove che la conducono alla consapevolezza e alla maturità, alla conquista del proprio posto nel mondo: esattamente come avviene, per esempio, nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, o nella fiaba della tradizione popolare, che, come dimostra Vladimir Propp, presenta alcune costanti morfologiche proprio a partire dall’allontanamento del personaggio principale dal luogo della sua origine. 

«La narrazione del viaggio di Snake viene utilizzata dalla scrittrice per descrivere uno strano mondo, – nota nel 1980 Luci Pittan, compianta collaboratrice di “Un’ambigua utopia”, nella sua bella recensione del libro apparsa sul numero 8 della rivista – evidentemente in un’epoca post tecnologica (si fa cenno ad una guerra nucleare che ha lasciato profondi crateri radioattivi), nel quale coesistono accanto a sistemi di vita del tutto primitivi, conoscenze scientifiche estremamente avanzate (si parla di clonazione, di autocontrollo della fertilità, eccetera). Snake si muove in questo mondo, quasi ovunque desertico, in un’allucinante atmosfera calda e sabbiosa, lasciandosi ogni volta coinvolgere dalle situazioni in cui si imbatte, pagando e soffrendo di persona, lottando contro l’ignoranza e ogni tipo di violenza (c’è un discorso ben preciso in merito riferito alle donne)». 

Luci Pittan (1943-1987), autrice di una bella recensione di Dreamsnake apparsa sul n. 8 di «Un’ambigua utopia» (II trimestre 1980) 

E in effetti, tra i personaggi che circondano Snake, protagonista assoluta, i più riusciti sono quelli femminili: Melissa, la bimba dal viso deturpato da un’ustione che la guaritrice adotta come figlia, instaurando con lei un sodalizio basato sulla pari dignità e sulla libertà di scelta («Devi fare quello che vuoi. – le dice − Non quello che credi che vogliano gli altri»); Jesse, la giovane che ha cercato una vita più autentica sfuggendo alla gabbia della chiusa città di Center e che è sottratta all’esistenza «dal fato e dall’ignoranza e dalle reliquie della pazzia di un’altra generazione»; Silver, l’anziana e mite maestra capace di accogliere e comprendere, che fa la sua comparsa seduta su una sedia a dondolo, con un libro in grembo («La mia piccola, così coraggiosa e impulsiva» dice con tenerezza di Snake). Subordinati alla protagonista i personaggi maschili: Arevin lo ‘sposo promesso’ che si mette in cerca della donna che ama, e da cui a ragione ritiene di essere ricambiato, contribuendo alla salvezza di lei, ma non determinandola (non un uomo debole, dirà McIntyre, bensì un «personaggio secondario»); il giovane Gabriel dall’imbarazzante segreto di natura sessuale; l’antagonista North, vero e proprio villain. E l’artista Merideth, terzo componente della famiglia allargata alla quale appartengono Jesse (donna) e Alex (uomo), cui Vonda non si riferisce mai con un pronome maschile o femminile, lasciandone volutamente incerto il genere e dando la possibilità a chi legge di scegliere se pensare a un lui o a una lei. 

Il viaggio di Snake si compie in un ambiente deprivato e ostile («Né i serpenti, né gli umani, né gli altri esseri rimasti vivi sulla Terra si erano ancora adattati al loro mondo così com’era adesso») e in questo viaggio nulla avviene per caso, e quand’anche la protagonista perda la strada, la strada troverà lei, mentre divagazioni ed errori porteranno nuove e impreviste possibilità. 

Dreamsnake non è sempre riuscito: talvolta stirato, talvolta con cadute di tensione, sconta il peccato originale dell’ampliamento di un racconto a romanzo, ma è indubbiamente un testo coinvolgente, innovativo, attento al femminismo e all’ambientalismo, con apertura anticipatoria sui temi del controllo delle nascite e del consenso nei rapporti sessuali, della violenza sull’infanzia e delle famiglie non convenzionali. 

«So esattamente da dove viene questa storia» afferma McIntyre nell’intervista a Gizmodo: durante il laboratorio di scrittura Clarion del 1972 Avram Davidson scrive un elenco di parole tecnologiche e uno di parole bucoliche, che saranno assegnate (una per ciascuno dei due elenchi) agli aspiranti autori e autrici; a Vonda toccano snake (serpente) e cow (vacca, ma anche, come verbo, intimidire, spaventare): «E quello fu l’inizio della storia», poi trasformata in romanzo, perché «ai personaggi, alla fine di Of Mist, and Grass, and Sand, non piaceva dove li avevo lasciati. E mi hanno chiesto di scrivere il resto». Il ciclo di Snake comprende anche una seconda e una terza novelette (The Serpent’s Death e The broken Dome) pubblicate nel 1978 quasi contemporaneamente rispetto Dreamsnake; nel 1980, a chiudere il ciclo, appare An Excerpt from Dreamsnake

Ricca ma non sterminata (una trentina di titoli) la produzione di racconti, pochissimi dei quali tradotti in italiano. Ed è un peccato, perché ancora una volta è nella misura della short story che si esprime al meglio anche questa autrice, come altre statunitensi della sua generazione. Fireflood (1979, Marea di fuoco) ne è la prova: avvincente, sensibile, profondo, affronta il tema della mutazione coniugato a quello, già presente in Wings, dell’incontro tra due solitudini. Grazie all’ingegneria genetica, gli esseri umani hanno dato vita, per asservirle ai propri fini, alle due razze degli esploratori e dei volatori, anch’essi umani in origine, per quanto ormai di umano non abbiano quasi nulla: il racconto ha inizio con la fuga dell’esploratrice Scura − dalla corazza «impenetrabile e insensibile al dolore», capace di scendere nelle profondità della terra − che giunge alla riserva dei volatori per chiedere aiuto e asilo. Se i primi sono destinati all’«esplorazione dei mondi morti, o di quelli appena formati, i luoghi delle condizioni estreme dove non potevano esistere altri esseri viventi», i secondi, invece, sono coloni, creati per «un mondo che veniva preparato per loro, mentre venivano modificati per adeguarsi a ciò che sarebbe diventato». Scura, dal passato di donna sola e non bella, ha scelto volontariamente di farsi esploratrice, «una creatura ripugnante»; Ghiandaia, il volatore dal luminoso «piumaggio azzurro», è ormai tanto abituato alla bellezza, come i suoi compagni e compagne, da credere di non poter rinunciare al nuovo sé stesso; e poi arrivano gli uomini, «capaci di distruggere tutto, le cose che amano e le cose che temono…», gli uomini − afferma amaramente l’indimenticabile protagonista − che « forse hanno dimenticato che in origine eravamo umani, o forse non ci hanno mai considerato umani!». Un amore impossibile? No. Le antinomie maschile/femminile, bellezza/bruttezza, terra/aria, tenebra/luce (riverberata quest’ultima nel nome dei due personaggi principali) si sciolgono in una parola ineffabile, perché l’amore va oltre l’istinto di vita: salvarsi insieme o perdersi insieme, tertium non datur

Vonda McIntyre in una fotografia di autore non noto, risalente probabilmente agli anni Novanta (https://vondanmcintyre.net/) 

«Lei rinunciò al suo cuore abbastanza volentieri. Dopo l’operazione, Laenea Trevelyan trascorse quel che sembrò un immenso periodo di semicoscienza, drogata per non sentire il dolore, mantenuta quasi insensibile mentre le medicine acceleravano la guarigione. Chi la osservava non sapeva che avrebbe preferito la coscienza, e la fine dell’incertezza». È l’inizio folgorante di Superluminal, romanzo dato alle stampe nel 1983, che appartiene al numero esiguo di opere di McIntyre tradotto in lingua italiana (nello specifico, molti anni più tardi, nel 2008): un romanzo più interessante che appassionante, dall’esito diseguale, in cui Vonda prosegue la propria elaborazione di un mondo futuro ove le identità sfumino trasformandosi attraverso il genere, il modello familiare, l’umanità stessa, aperta all’evoluzione grazie alla mutazione genetica e all’innesto di virus, sempre e comunque sulla base di una libera scelta di ciascuno e ciascuna. I tre protagonisti – due donne e un uomo – non hanno nulla degli eroi, maschi e bianchi, della science fiction tradizionale: Laena è una giovane donna che per diventare pilota di astronavi e affrontare il transito da una dimensione all’altra a velocità maggiore di quella della luce (alla quale il titolo Superluminal rinvia) accetta di farsi espiantare il cuore naturale per sostituirlo con un organo meccanico; Radu Dracul è un colono proveniente da Crepuscolo, «un nuovo mondo, un posto buio e misterioso, fatto di alte montagne e nere foreste minacciose», abitato da gente «forte e solenne, anche mentre affrontava il disastro»: una epidemia che aveva ucciso l’intera famiglia di Radu e buona parte della popolazione; Orca è una tuffatrice poco più che adolescente («Non era bella, secondo qualunque definizione classica, ma era irresistibile»), geneticamente modificata per vivere in mare con le cugine cetacee che portano il suo stesso nome. E, intorno a loro, personaggi minori, più o meno efficacemente caratterizzati, coadiutori o antagonisti. Ciascuna, ciascuno dei tre è portatore di una alterità fortemente voluta («Sei chi e cosa vuoi essere» dice Radu a Lainea), ma gravida di conseguenza nelle relazioni: come si scopre nelle prime pagine del romanzo, Lainea e Radu sono incompatibili a causa dell’operazione cui lei si è sottoposta appena prima di conoscerlo («Il suo sistema e quello di qualunque essere umano normale non si potevano più unire») e pertanto il loro rapporto amoroso è destinato a interrompersi, con dolore di entrambi, ma forse soprattutto di lui; Radu − dopo aver scontato il disprezzo delle donne e degli uomini che appartengono alla casta dei piloti, che «non si mescolavano con gli esseri umani normali» − dimostra di possedere la misteriosa capacità che spalanca alla settima dimensione e, senza più limiti, all’intero universo; Orca, affascinata dall’esplorazione spaziale a dispetto dell’origine acquatica, è posta di fronte alla scelta della sua famiglia e della sua gente di compiere un’ulteriore mutazione che la porterà a vivere in sintonia ancora più profonda con le creature marine, ma ad allontanarsi in modo ancora più radicale dall’origine umana. Ciascuna, ciascuno di loro, dopo aver condiviso l’esperienza di una straordinaria avventura spaziale, segue la propria inclinazione, compie la propria scelta, guardando non a «una singola specifica cosa», ma alla «molteplicità dei profili di una crescita graduale e inevitabile, della vita, del cambiamento e perfino della morte»: l’unità nel molteplice, l’attimo folgorante in cui si comprende, per intuizione, il tutto. 

In Superluminal sono ripresi e sviluppati alcuni temi fondanti dell’opera di Vonda McIntyre: le relazioni sessuali paritarie, tra libere volontà; i talenti fuori dall’ordinario che risiedono in chi gode di scarsa considerazione nella gerarchia sociale in cui tenta di trovare il proprio posto; la critica al maschilismo e al razzismo della cultura dominante, nonché all’ottusa burocrazia del potere, per la costruzione di possibilità alternative. Non senza contraddizioni, però (come dimostra la studiosa Jenny Wolmark: per esempio è Radu a soccorrere Laenea, non viceversa), e non senza rinunce: i protagonisti del romanzo non hanno diritto a un happy end come quelli di Dreamsnake, per quanto il finale, che implica la prosecuzione della ricerca e del viaggio, esistenziale e spaziale, sia improntato a una concezione positiva. 

Alcuni passaggi dell’opera sono comunque davvero belli; ecco ciò che vede Orca dalla sala controlli dell’astronave sulla quale si trova con Radu: «Le galassie si stendevano davanti a lei, in gruppi e ammassi, infinite concentrazioni di stelle in spirali sfocate, alcune delle quali di colore rosso scuro, morenti. La nave aveva superato qualunque regione di stelle singole». 

La Lobster Nebula (Nebulosa Aragosta), catalogata come NCG 6357, in una fotografia condivisa da Vonda McIntyre sul proprio profilo Twitter il 26 dicembre 2018: la nebulosa «contiene un complesso arazzo di gas, polvere oscura, stelle ancora in formazione e stelle appena nate. Gli intricati schemi sono causati da complesse interazioni tra venti interstellari, pressioni di radiazione, campi magnetici e gravità» (Nasa/Dean Carr)

 Altrettanto belle sono le descrizioni di Harmony, l’isola ove si è stabilita la comunità dei tuffatori, che vivono in perfetta armonia con la natura marina, parlano tra loro mescolando vera lingua e francese e comunicano con le creature acquatiche nella musicale lingua di mezzo, «canzoni lunghe e tranquille che davano uno sfondo a tutto», ondate sonore suggestive e incomprensibili, memori del linguaggio canoro delle sirene… 

Il successo presso il grande pubblico giunge per Vonda quando, tra il 1981 e il 1991, si dedica alla novelization (l’adattamento in forma di romanzo di un’opera creata per un altro mezzo, un film o una serie televisiva) degli universi Star Trek e Star Wars: per il primo scrive otto testi divisi in un due serie di quattro ciascuno, tutti pubblicati nel decennio tranne l’ultimo, molto più tardo, nel 2004. Quasi contemporaneamente, si dedica alla quadrilogia Starfarers, che comprende i romanzi Starfarers (1989), Transition (1991, il solo apparso in Italia, nel 1994, con il titolo Passaggio alle stelle), Metaphase (1992) e Nautilus (1994). L’occasione della scrittura è narrata da Vonda stessa con grande senso dell’umorismo in un post del 18 ottobre 2009 sul blog «BookViewCafe»: «Una convention locale di science fiction mi aveva chiesto di partecipare a un panel sulla fantascienza televisiva. Inizialmente ero tentata di declinare, perché il panel ha sempre la stessa struttura: qualcuno tira fuori una lista di tutte le serie TV science fiction degli ultimi vent’anni e legge i titoli e tutti concordano su quanto fossero terribili». Anche in quell’occasione il copione è rispettato, finché l’autrice ha un colpo di genio: «Gente, non avete mai guardato la miniserie Starfarers?», una piccola serie di cui non è possibile acquistare le registrazioni, alla quale McIntyre aggiunge credibilità grazie al trailer creato da un amico regista e alla fondazione di un fan club, presentata come «The best sf tv miniseries never made», con il bel gioco di parole «never made», mai realizzata. Poi viene il momento di realizzarlo davvero questo «romanzo molto lungo, che non potevo permettermi di scrivere tutto in una volta». 

Vonda McIntyre nel proprio studio, nel 1998 (Tom Reese/The Seattle Times) 

Non è evidentemente possibile in questa sede esprimere un giudizio sull’intera quadrilogia, poiché in Italia, come si è detto, ne è stato stampato un solo volume, il secondo. Transition, però, non è un romanzo convincente: la narrazione è centrata sull’esplorazione spaziale, a bordo della Starfarer − un’astronave grande come un microcosmo, con case e palazzi, campi e fiumi, flora e fauna selezionate, in viaggio verso la stella Tau Ceti – sulla quale vive una comunità composita ed eterogenea, di donne e uomini legati da rapporti non convenzionali: J.D. Sauvage, specialista in contatti alieni; Victoria Fraser McKanzie, fisica; Satoshi Lono, geografo; Stephens Thomas Gregory, genetista; Zev, acquatico con la passione per lo spazio. E accanto a loro numerosi altri e altre, uomini e donne: comandanti e astronome, premi Nobel e amministratori governativi, artiste sensoriali ed ecologiste integraliste, senatori e (forse) spie. La vicenda è eccessivamente diluita, più attenta alle dinamiche e relazioni interpersonali (il che di per sé non è certo negativo) che agli avvenimenti, che risultano prevedibili, l’intreccio è scontato: attentati misteriosi, fughe nell’universo, alieni (o non alieni) improbabili. È come se Vonda McIntyre avesse, purtroppo, esaurito la propria vena creatrice, ripiegando su una space opera di maniera, pur con la consueta attenzione ai temi della destrutturazione dei generi, della mutazione genetica che va oltre l’umano, della libertà di ciascuno, di ciascuna, di diventare ciò che sceglie di essere. 

Nel 1997, per lei il terzo Nebula Award con The Moon and the Sun (La luna e il sole), mai tradotto in italiano, romanzo fantasy più che science fiction, dal quale nel 2014 è tratto il film omonimo, successivamente intitolato The King’s Daughter, diretto da Sam McNamara e interpretato da Pierce Brosnan e Kaya Scodelario: la pellicola avrebbe dovuto uscire nelle sale il 10 aprile 2015, ma l’evento è stato annullato e la distribuzione rinviata sine die

Poster del film The Moon and the Sun/The King’s Daughter, di Sam McNamara (2014), tratto dal romanzo The Moon and the Sun di Vonda McIntyre (1997) 

«Le creature biologiche hanno l’abitudine di cambiare il proprio ambiente al punto da non poterci più vivere. A ogni modo, spero che noi [esseri umani] siamo abbastanza intelligenti da trovare un modo per preservare la civiltà, la popolazione e la biodiversità, ma talvolta ne dubito. Ho scritto un racconto su di questo, è intitolato Una modesta proposta per la perfezione della natura, ed è stato pubblicato su “Nature”», dichiara Vonda nel corso della lunga intervista a Gizmodo. A Modest Proposal… for the Perfection of the Nature appare infatti sulla prestigiosa rivista scientifica «Nature» il 2 marzo 2005: più che una short story, è un’accorata invocazione per la salvezza del pianeta, redatta con la formula del rovesciamento ironico e dissacrante utilizzata nel 1729 da Jonathan Swift. È uno dei cinque racconti pubblicati dalla scrittrice negli anni Duemila. 

Il 21 marzo 2019, dopo che in febbraio le è stato diagnosticato un tumore al pancreas a uno stadio avanzato, Vonda completa il suo ultimo romanzo, Curve of the World (Curva del mondo), ucronia ambientata nella remota civiltà minoica, fondata sul libero commercio e sull’uguaglianza tra i generi, che offre un’alternativa possibile allo sviluppo umano. 

Muore il 1° aprile 2019, a settant’anni. Vonda McIntyre non è stata soltanto una scrittrice di fantascienza innovativa e vivace − pur con esito diseguale −, che nell’astrofuturismo ha proiettato la consapevolezza che un altro mondo è possibile e che nelle sue opere ha dato spazio a istanze democratiche e femministe. È stata anche una donna ironica e determinata, che ha creduto e ha promosso i valori della non violenza, dell’ecologia e della solidarietà femminile: ha aderito a The Tree Movement, costituito da donne che sull’esempio delle himalayane del Movimento Chipko abbracciano gli alberi delle foreste per impedirne il taglio, e al progetto Crochet Coral Reef, un’opera d’arte collettiva, ideata dalle sorelle Margaret e Christine Wertheim (la prima scienziata, la seconda artista) e realizzata da donne, «un ibrido natura-cultura in continua evoluzione, [che] risiede nel nesso tra arte, scienza, matematica, pratica comunitaria femminista e cambiamento climatico», una «risposta artistica al riscaldamento globale e alla spazzatura di plastica oceanica, [che ] richiama anche la geometria iperbolica e l’evoluzione darwiniana» (dal sito https://crochetcoralreef.org/). 

Manufatto dal progetto Crochet Coral Reef 
(https://crochetcoralreef.org/) 

Un progetto – le realizzazioni sono meravigliose – fantascientifico nel vero senso della parola: scrittrice di science fiction, biologa ed ecologista, amante del mare e delle sue creature, impegnata nella promozione della creatività femminile ed evidentemente abilissima nella tecnica antica dell’uncinetto, Vonda non poteva non parteciparvi. 

In copertina: Gino Andrea Carosini, Vonda McIntyre.

***

Articolo di Laura Coci

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Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.

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