Elogio dell’ecofemminismo 

Basta cambiare il punto di osservazione e da stereotipo e cliché si fa oggetto di forza e, addirittura, perno di una trasformazione del mondo. Il cibo è stato sempre legato alle donne e per nodi controversi tra loro. Un precetto del dovere sacro verso l’uomo e la famiglia. Rimando a un luogo di costrizione fisica: la cucina e, in essa, il focolare. Nutrice della specie umana a cui è delegata a dare cibo e a mantenere in vita. Praticamente dalla nascita alla morte.  

Ma il rapporto della donna con il cibo, con il nutrimento della specie umana, non è interpretabile sempre e solo in questo verso, come un ulteriore modo di sottomissione al maschile e maschilista. Anzi, si può dire che sia il vero punto di forza del femminile per la trasformazione del mondo.  

Ce lo dicono nel bel libro Generi Alimentari. Cibo donne e nuovi immaginari tanti scritti di donne, coordinate dalla valida regia di Daniela Finocchi e Luisa Ricaldone, impegnate l’una come creatrice e presidente del prestigioso Concorso letterario, tutto al femminile, LinguaMadre, legato da sempre al Salone del libro di Torino, e l’altra, con un passato di lettrice all’Università di Vienna e poi insegnante di Letteratura italiana contemporanea all’ateneo torinese. Ricaldone ha appena lasciato la presidenza della Società italiana delle letterate, dunque anche lei ha uno sguardo attento, non solo per passione personale, alla storia e alla storia della letteratura delle donne.  

Il libro si legge davvero tutto di un fiato perché, oltre alla sveltezza delle scritture, incuriosisce per varietà di argomenti e per l’aggiunta di vera e propria letteratura, nel senso di racconti, veloci e vivaci, scritti da donne, tutte venute da luoghi diversi e non nate in Italia, proprio quelle che hanno partecipato nel tempo al Concorso LinguaMadre, ora al compimento dei suoi sedici anni di vita (nato nel 2005 oggi è arrivato alla XVII edizione). Così nel volume sono tanti i ricordi sul cibo visitati da accenti stranieri, ricordi d’infanzia carichi di nostalgie che coinvolgono tutti e cinque i sensi.  

Ma si apre, come si conviene, con due saggi delle curatrici che ci parlano appunto del cibo come mezzo femminile di indagine, scoperta e rivoluzione del mondo. Luisa Ricaldone riflette sul fatto che, anche in letteratura, il cibo è cosa da donna e non, come si vuol far credere, centrale solo in opere di scrittori maschi. Ricorda la bella descrizione delle foto che accompagnano le edizioni economiche delle opere di Grazia Deledda, premio Nobel, unico al femminile in Italia per la letteratura: «Tra le foto – scrive – ricorre spesso una riproduzione in cui la scrittrice è seduta al tavolo di cucina accanto al marito, alle spalle il corredo delle pentole; mentre sue quasi contemporanee inglesi e francesi si facevano ritrarre nei loro splendidi giardini, in compagnia di cani di razza, o nei loro studi circondate – come d’altra parte ci si aspetterebbe da una lavoratrice della penna – da libri. Si tratta certo di differenza di classe, ma anche di costume, un interessante elemento antropologico che distingue il panorama italiano da altri europei. Non a caso – continua Ricaldone – l’inquadratura fissa sulla cucina costituisce l’incipit di uno dei libri più coinvolgenti della Deledda, l’autobiografico Cosima, uscito postumo nel 1937». Il saggio prosegue con un excursus sulla letteratura in materia di cibo e cucina toccando il femminismo, che pure solo apparentemente aveva fatto uscire le donne dalla cucina come stanza, ma quella intesa come restrizione, per farle invece rientrare con un concetto diverso del cibo e del mangiare nel rispetto della natura tutta. Si citano tante storie narrate da penne femminili imbastite di ricordi dell’infanzia, «ogni ricetta rievoca una relazione» fino a quelle notissime di Natalia Ginzburg tratte dal suo Lessico familiare: «Il padre pone veti tanto ferrei quanto risibili a certi cibi e bevande durante le escursioni montane (né cognac né zucchero a quadretti) e altrettanto rigorosamente impone il consumo di altri (fontina, marmellata, pere, uova sode, tè che preparava lui stesso sul fornello di spirito, quasi a suggerire che il patriarcato detta legge nelle minuzie». 

Daniela Finocchi nel suo intervento segna i punti di raccordo con la scrittura delle donne migranti e ci introduce alle storie da loro raccontate che occupano una parte del libro. Si parla quindi del rapporto con il cibo inteso come ricordo e legame con la propria terra. Ma si parla anche di ecofemminismo, una parola che racchiude magia, ancora non contemplata dai vocabolari, includendo una visione del mondo diversa, innovativa e salvifica: «Questa nuova era geologica può essere pensata come il Gynecene – leggiamo nel capitolo scritto da Daniela Finocchi e Paola Marchi citando il lavoro di due artiste romene, Alexandra Pirinci e Raluca Voinea – Comprendere il termine – spiegano le autrici – non significa pensare ad un mondo al femminile che esclude la virilità, ma a un mondo che lo mobilita verso obiettivi umanisti e animisti piuttosto che a imprese oppressive, violente e coloniali. Vediamo il femminile come l’equivalente non di un genere ma di una condizione, non una condizione naturale, ma una condizione culturale. Il femminile è il primo stadio verso un umanesimo trasgressivo e il Gynecene è il primo trasferimento globale e simultaneo dell’impronta femminile sugli strati fisici e politici (profondamente connessi come lo sono oggi) della Terra».  

Partendo da questa citazione è chiaro un ulteriore passaggio, quello che implica una visione parallela, che verrà trattata in più parti dell’opera. La corrispondenza tra il mondo delle donne e gli animali non umani, così come vengono chiamati, ma in modo corretto, nel libro! Le autrici ci tengono a confrontare la violenza, maschile e maschilista, che dicono uguale o simile a colpire le donne e le creature non umane. E su questo, come fanno esse stesse, è necessario riflettere. 

Allora il passo dall’ecofemminismo al vegetarianesimo e veganesimo è breve. Secondo le autrici presenti nel volume è il frutto di questa nuova interpretazione del mondo che vuole togliere, per quello che è possibile, la cifra della violenza. Un esempio emblematico è il capitolo scritto da Carmen Concilio, insegnante di Letteratura inglese e anglofona all’Università di Torino, che ci parla di un romanzo di Han Kang, una scrittrice della Corea del Sud, intitolato La Vegetariana, che si sofferma soprattutto su un elettrodomestico, simbolo «della società dell’opulenza e del consumo»: il frigorifero. «L’inerte frigorifero che campeggia nelle nostre cucine – osserva Concilio – è oggetto di riflessioni che riguardano l’etica e la scienza. Vi è un’e(ste)tica che concerne il nostro modo di riempire e svuotare il frigorifero quale atto di profferta, convivialità e libagione». La piccola rivoluzione della protagonista del romanzo comincia dalla scelta di non indossare il reggiseno, cosa non accettata (anche, o soprattutto, metaforicamente) dal marito con il quale non esiste più nessun tipo di dialogo, e deflagra letteralmente (e letterariamente) nello svuotamento minuzioso del frigorifero stracarico di carne, di corpi, dunque, violentati fino alla morte.  

Il libro, che presenta una serie di racconti sul cibo di autrici vincitrici del Concorso LinguaMadre, parla di cibo nel senso di scrittura sul cibo e di collegamento al mondo delle donne. Ripeto, vale davvero la pena leggerlo, per di più è svelto e scorrevole nelle sue cento e passa pagine, ricche di notizie dal mondo che ci potrebbe aiutare proprio dopo questo periodo di pandemia causata, e lo si dice da più parti con valenza scientifica, da un cattivo rapporto tra gli esseri umani e il mondo animale non umano verso il quale abbiamo avuto un rapporto “disumano”; un rapporto conflittuale e di rapina da correggere profondamente per non scatenare, già nel prossimo futuro, un continuo susseguirsi di pandemie simili a questa ancora non terminata.  

Daniela Finocchi e Luisa Ricaldone (a cura di) 
Generi Alimentari. Cibo donne e nuovi immaginari 
Edizioni Iacobelli, 2021
pp. 144

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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