Editoriale. Il Patto di Famiglia

Carissime lettrici e carissimi lettori,

siamo a Firenze. Città d’arte, sicuramente, e di tutte le arti. Città di cultura. Città al femminile. Dopo Palermo, con uno stacco di un anno a causa del Coronavirus e delle chiusure sanitarie, ritorniamo a vederci in presenza, con il X convegno di Toponomastica femminile, nella città di Dante e della sua amata Beatrice, più nota al mondo rispetto all’altra donna di Dante, Gemma Donati, sua moglie promessa già a dodici anni. In coincidenza con la celebrazione dei settecento anni dalla morte del Sommo Poeta che la città non vide nei suoi ultimi giorni perché lo cacciò. Fu Ravenna ad accoglierlo, ultimo rifugio di un lungo esilio. Una lontananza che fece provare a Dante l’amarezza del «quanto cale lo scendere e salir dall’altrui scale» e ci confermò, con quel «quanto sa di sale lo pane altrui» l’abitudine fiorentina dell’uso del pane sciocco, ancora tanto presente nella cucina toscana e dovuta a quella cabella sul sale imposta a Firenze da Pisa.

Firenze città dalle grandi testimonianze culturali. Le sue ricchezze, la testimonianza della sua storia piena di ricchezze e di opere d’arte sono qui a dimostrare tutto ciò anche grazie a una donna, per merito di una sua scelta, riprova di un intelletto vivace e della sua capacità amministrativa, comune, seppure soffocata, a tante donne di questa casata, penalizzate a favore degli uomini.

Maria Luisa De’ Medici, detta l’Elettrice palatina, grazie a quel matrimonio con Giovanni Carlo Guglielmo I, era l’unica erede femminile del granduca Cosimo III, nata e cresciuta a Firenze: vi nasce nell’agosto del 1667 e, dopo la morte del marito, qui torna per il grande amore verso la sua città, dove muore il 18 febbraio del 1743. Anna Maria Luisa, l’ultima De’ Medici, l’ultima discendente di una delle più potenti e ricche famiglie fiorentine, grandi anche in Europa, nel loro splendore tra il XV e il XVIII secolo.

Appassionata d’arte. Proprio questa passione la porterà a compiere il gesto per cui è rimasta famosa e che fece la fortuna della città di Firenze. In questi giorni, domani un anniversario, il 31 ottobre 1737, Anna Maria Luisa stipulò con la nuova dinastia regnante il cosiddetto Patto di Famiglia che stabiliva che gli Asburgo-Lorena, successori dei Medici a Firenze, non potessero trasportare «o levare fuori della Capitale e dello Stato del Granducato… Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioje ed altre cose preziose… della successione del Serenissimo GranDuca, affinché esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri».

Siamo qui, dunque, nella città medìcea a discutere di donne, di genere e soprattutto di arte potendo rivedere le bellezze volute qui dall’intuizione caparbia di questa donna che, non accettata come guida politica della sua amatissima città, riuscì a farla rimanere grande, amata, desiderata come avevano voluto in quattro secoli di potere i consanguinei della sua forte e illustre dinastia.

Abbiamo cominciato il nostro parlare proprio dal cuore di Firenze. Nello splendore della galleria d’arte, realizzata grazie al contributo di Mercedes Pedrazzini e dedicata alle opere dello scultore e pittore Marino Marini, suo marito, di cui quest’anno ricorrono anche i 120 anni dalla nascita (era nato a Pistoia nel 1901 ed è morto, a Viareggio, nel 1980). Successivamente il percorso ha portato al Museo del Novecento, con l’approfondita presentazione e la visita alla mostra dell’artista inglese Jenny Saville.

Si è parlato di Toponomastica femminile in Toscana, evidenziando le strade, le piazze, le targhe dedicate alle donne da Firenze a Pistoia, a Lucca. Ma in un museo non ci si poteva dimenticare di trattare di arte: dalla presenza della grande Gae Aulenti a Firenze, alla statuaria femminile, certo numericamente non paragonabile a quella maschile e che spesso è fortemente marcata dal sessismo.

Si è parlato poi delle mecenati dell’arte (come Peggy Guggenheim) e si è svolta un’immancabile e interessante visita al Museo Marino Marini, che ci ha ospitato, e alla mostra Andature. Il Museo è allestito in una antica chiesa dedicata a San Pancrazio e sconsacrata dopo una ricostruzione del XVIII e XIX secolo, rivisitata architettonicamente con giochi di prospettiva e buonissima disposizione delle opere. 

Poi ci ha accolto Fiesole, il salotto buono e la collina appena sopra Firenze. Nella bella scuola di musica di via delle Fontanelle non si poteva che parlare di canto, di note, di suoni, di donne compositrici, tante e sempre poco conosciute, di cinema e teatro. Ma si sta anche a scuola. Allora si è trattato di didattica, di manualità, di editoria. Abbiamo parlato anche di Vitamine vaganti, questa rivista che viene al mondo, puntuale, da 138 settimane e che si avvia (a marzo del 2022) a spegnere le candeline del terzo anno di vita. Per questo ringraziamo sempre dell’interesse che ci mostrate voi lettrici e lettori e l’impegno vivace delle tantissime collaboratrici e collaboratori (perché sono tanti i maschi che scrivono per noi) che ci danno idee e pensieri, sempre per noi interessanti.

La musica, incontrata nella scuola di Fiesole, ci rimanda a donne lontane. Alle ragazze, giovanissime, dell’orchestra che mai dobbiamo dimenticare, insieme alle sofferenze di tutte le donne afgane. Le componenti dell’orchestra Zorha, dall’evocativo nome che rimanda a quello della dea della musica in Persia, oggi si stanno preparando a una nuova, seppure difficile, vita fuori dal loro Paese. Si esibiranno a Doha, nel Qatar. «La musica era il nostro riscatto – dicono coralmente le ragazze dell’orchestra – Siamo certe – aggiungono – che un giorno proprio attraverso la musica ci sarà un riscatto e una ripresa della vita vera in Afghanistan». E nell’intervista, passata in uno dei telegiornali, le giovani componenti dell’orchestra girano tra le mani i loro strumenti di pace, in un rapporto sentimentale e carnale con i loro sitar, il rubab afgano, la tabla, ma anche violini, oboi e violoncelli, come messaggeri di speranza e di apertura al mondo intero.

Oggi, ritornando al Convegno di Toponomastica femminile, saremo a Vallina, a poca distanza dalla più famosa Bagni a Ripoli, con il bellissimo oratorio di santa Maria delle Ruote, da vedere, sempre nella città metropolitana di Firenze. Ancora interventi sull’arte, sul cinema, sulle donne che hanno dato importanza alla Storia dell’umanità, anche attraverso l’esposizione e la presentazione della mostra Una rosa di donne.

Ci piace parlare di donne. Ci piace anche, per questo carattere paritario della rivista che cerchiamo di rendere inclusiva sempre, parlare di successi sognati e realizzati, soprattutto di chi si trova tra gli/le escluse. Una storia di migrazione, difficile, che vede protagonista un cosiddetto minore non accompagnato (tale era al suo arrivo in Italia) è quella bellissima di Yankuba Darboe che oggi ha venticinque anni ed è riuscito a compiere il sogno di una laurea: in Scienze Biologiche, presa all’Università del Sannio con una tesi interessantissima e molto utile su Le cellule staminali nelle applicazioni terapeutiche. 
«È una fortuna essere vivi. Tutto quel che arriverà sarà un dono». Lo diceva spesso Yankuba Darboe, dopo essere sbarcato, nel 2014, in Sicilia, a Catania. Nei suoi occhi, racconta chi c’era al suo sbarco e gli è rimasto amico, c’era il terrore di un viaggio impossibile in barcone, da solo, in fuga dal Gambia, attraverso l’incubo della Libia. In pochi anni questo ragazzo, volonteroso e caparbio, ha creato per sé una bella storia. Il giorno della laurea era vestito con una delicatissima dishdasha turchese (una tunica a maniche lunghe, il vestito del suo Gambia). Con lui c’erano tanti amici, un pezzo della “sua” Benevento che lo ha fatto emozionare. «Mentre applaudivano – ricorda qualcuno di loro – pensavano che quando approdò nel Sannio, non ancora diciottenne, Yankuba aveva già le idee chiare: «Un giorno mi laureerò e proverò a cambiare il mondo. E magari tornerò in Africa, aiutando le persone a non morire». Non è buonismo è un aspetto del reale che non si può né dimenticare, né reputare come caso unico, isolato.

Fa tristezza, ritornando a uno sguardo sul femminile, constatare che da una ricerca raccontata all’Eredità delle donne, che si è svolta qualche giorno fa proprio a Firenze, il 51% delle/degli italiani (proprio donne comprese) pensano che il luogo più adatto a una donna sia la casa. Ma da contraltare, quasi a contraddire il dato precedente, c’è quel 58% di cittadini e cittadine, che pure non è un dato così eclatante, che vorrebbe o sarebbe favorevole a una donna al Quirinale! Dobbiamo constatare, però, un altro momento di scoraggiamento per la parità dei diritti di tutti: questa settimana al Senato della Repubblica, con l’appoggio di un vile escamotage, si è fatto in modo che venisse affossato il disegno di legge cosiddetto Zan, simbolo di apertura paritaria e di sconfitta delle discriminazioni dettate dall’odio.

Noi intanto caparbiamente incrociamo le dita perché una figura femminile di alto spessore salga al Colle. Con la speranza che questo succeda, facciamo gli auguri a due grandi signore e le mettiamo qui per ordine di età, ognuna importante nel suo campo. Festeggiamo la senatrice Liliana Segre che in questi giorni ha ricevuto la cittadinanza onoraria a Reggio Emilia (le era stata negata in un’altra città). Segre, stupenda ultranovantenne, è stata proposta, se ne è fatta anche una pagina facebook, come nuova e prima Presidente della Repubblica. Sarà difficile, ma attraverso lei speriamo tutte noi (e in compagnia di tanti maschi) di vedere questa speranza realizzarsi.

Auguri carissimi anche alla straordinaria Monica Vitti che fra qualche giorno compirà i suoi novanta anni, nonostante la salute malferma. Monica Vitti è davvero un pezzo d’Italia e un pezzo importante della vita delle donne. Ci rappresenta attraverso i suoi personaggi. Ci sentiamo vicine a lei e le auguriamo ogni bene! Poi aggiungiamo i nostri auguri, tanti, a Tiziana Tacchi, giudicata migliore ostessa dell’anno da Slow Food per il suo locale a Chiusi, intitolato all’amatissimo padre che non c’è più.

Infine non potevamo che pensare a Firenze, città che ci ha accolto, per la poesia di chiusura. Questa scelta mi ha colpita per un amore personale dell’acqua del fiume, sempre particolare, interessante, che come dicevano i greci, non bagna mai con una stessa parte di sé un corpo che più volte vi si immerge.

La poesia è del grande Pablo Neruda (Ricardo Eliezer Neftalí Reyes Basoalto, aveva cambiato il nome in onore del poeta cèco Jan Neruda). É un omaggio ai cinquanta anni del suo premio Nobel (1971). Neruda soggiornò a Firenze nel 1951 e ne rimase molto colpito.

Entrai a Firenze. Era
di notte. Tremai sentendo
quasi addormentato ciò che il dolce fiume
mi raccontava. Io non so
ciò che dicono i quadri e i libri
(non tutti i quadri né tutti i libri
solo alcuni),
ma so ciò che dicono
tutti i fiumi.
Hanno la stessa lingua che io ho.
Nelle terre selvagge
l’Orinoco mi parla
e io capisco, capisco
storie che non posso ripetere.
Ci sono segreti miei
che il fiume si è portato
e ciò che mi ha chiesto lo vado facendo a poco a poco nella mia terra.
Nella voce dell’Arno riconobbi allora
vecchie parole che cercavano la mia bocca,
come chi ha mai conosciuto il miele
e poi ne riconosce la delizia.
Così ascoltai le voci
del fiume di Firenze
come se prima d’essere m’avesser detto
ciò che adesso ascoltavo:
sogni e passi che mi univano
alla voce del fiume,
esseri in movimento,
colpi di luce nella storia,
terzine appese come lampade.
Il pane e il sangue cantavano
con la voce notturna dell’acqua.

(Il Fiume, pubblicata di nuovo nel 1988 a Villa Arrivabene)

Ecco la rivista di oggi percorsa dal filo rosso del potere della parola. La donna di Calendaria è ŽEMAITÉ, anima, spirito e parola di Lituania, scrittrice recentemente riscoperta, che ha fatto della parola la sua arma di resistenza. Di potenza della parola e di riscoperta di tante storie e figure di donne nella Resistenza abruzzese apprenderete anche nell’articolo Narrate, donne, la vostra storia, recensione del libro di Maria Saveria Borrelli, La Resistenza taciuta. Le donne raccontano. Di un’altra forma di resistenza, quella di una bambina nigeriana alla misoginia e alla violenza contro le donne, fatta anche questa volta di parole, apprese con voracità, per difendersi e aumentare la propria consapevolezza, tratta un’altra recensione, La ladra di parole di Abi Darè.

Argomenti spinosi anche all’interno del movimento delle donne nel resoconto approfondito Madrid. La marcia delle femministe radicali per abolire pornografia e prostituzione, con il racconto della manifestazione delle femministe radicali spagnole dello scorso 23 ottobre.

«Può una tradizione antichissima e tribale cancellare i diritti delle donne e delle bambine in tutto il mondo? Può un’usanza essere considerata un’attenuante anche dal punto di vista giuridico?» Nella sezione Tesi vaganti Le mutilazioni genitali femminili dal punto di vista di un’ostetrica è l’interessante presentazione del lavoro conclusivo di un Master che tenta una risposta a questa domanda.

Spulciando tra gli archivi l’autore dell’articolo Le lettere di Margherita Datini, imprenditrice tardomedioevale ci introduce alla scoperta di una donna che, a dispetto delle regole non scritte che volevano le mogli relegate alla cura della casa e della famiglia, evidenzia notevoli capacità che oggi definiremmo manageriali. Purtroppo invece il destino femminile «relegato a garantire una stirpe legittima, nel rispetto della pudicizia e soprattutto del silenzio» è quello che ricorda l’autrice di Storia Libera tutte. Il mondo greco e romano, sintesi di una lezione di un corso di formazione per docenti progettato dalla Società italiana delle storiche (SIS).

Giustizia femminista. La Ruta Pacifica de las Mujeres e la Commissione verità e memoria delle donne colombiane è la seconda parte della relazione sugli Atti del Convegno che si è tenuto nel 2020 presso la Casa Internazionale delle donne di Roma e di cui avete potuto leggere nel numero scorso. Anche Un lavoro inadatto a una donna è la seconda parte di un approfondimento che ci introduce nel genere giallo e poliziesco al femminile italiano degli anni Duemila, con considerazioni interessanti sull’italianità dei contesti e delle vicende raccontate nonché su tutte le contraddizioni che le donne dei primi anni del secolo attuale vivono nel tentativo di essere sé stesse.

La sezione Juvenilia ci presenta il bel progetto, supportato dall’assessora alle pari opportunità del Comune di Bologna, Una strada tutta per sé, realizzato dalle e dagli studenti del Liceo classico “Marco Minghetti” di Bologna, insieme all’Istituto Storico Parri-Bologna Metropolitanain collaborazione con il Virginia Woolf Project e col patrocinio dell’Italian Virginia Woolf Society, premiato al Concorso Sulle vie della parità.

Un bellissimo racconto di memorie soprattutto femminili è Con i piedi nell’acqua. Storia di una famiglia e del Padule, di Maria Antonietta Magrini, ambientato nella più vasta area umida interna d’Italia, in parte inserita nei siti di particolare interesse tutelati dalla convenzione di Ramsar.

Chiudiamo ad hoc con una squisitezza toscana, tratta dalla cucina tradizionale, la ricetta del Dolce-budino alla viareggina, piatto leggero e gustoso, consigliato in questi tempi che invitano alla buona tavola e alla convivialità, senza esagerare.

Buona lettura a tutte e a tutti.

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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