Carissime lettrici e carissimi lettori,
la lezione di Spadafora. Dalla politica, dagli uomini e dalle donne della politica, finalmente ci arriva una lezione utile alla polis, al governo di quello Stato per il quale hanno ricevuto il mandato dell’amministrazione, della gestione utile e buona. Non sempre, purtroppo, è così.
Domenica scorsa l’ex ministro Vincenzo Spadafora (dal 5 settembre 2019 al 13 febbraio 2021 ministro per le politiche giovanili e lo sport) ha sorpreso tutte e tutti noi. Durante una trasmissione televisiva, sicuramente lì per pubblicizzare il suo libro, ha fatto il suo coming out, il suo far venire allo scoperto, cioè, secondo quanto dettano i dizionari, ha preso la decisione di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale (si usa la stessa frase riguardo alla dichiarazione della propria identità di genere).
L’ex ministro si è mostrato in tutta la sua umanità: commuovendosi e – come è stato giustamente commentato – commovendo il pubblico presente e chi guardava da casa. Lo ha fatto al di là del clichè che i sentimenti, soprattutto certi sentimenti, non sono cosa da rendere pubblica da parte uomini veri, da maschi autentici (!). Lo può fare, inevitabilmente, invece, un gay che, in quanto tale, somiglierebbe di più alle donne e mostrerebbe le cosiddette debolezze del femminile.
Alla domanda del perché di questa decisione, pubblicazione del libro compreso, Spadafora risponde collegandosi soprattutto alla cronaca parlamentare più recente con l’affossamento subdolo del cosiddetto Ddl Zan: «Io penso che la vita privata delle persone è e debba rimanere tale – dice l’ex ministro – e se noi fossimo un Paese culturalmente più avanzato, soprattutto sul tema dei diritti civili, forse anche tutti i dibattiti questa settimana non li avremmo neanche affrontati. Penso però anche che chi ha un ruolo pubblico politico come il mio in questo momento storico e abbia qualche responsabilità in più ha il dovere di esporsi, di dare un esempio di civiltà». Poi l’ex ministro spiega a livello più intimo: «Devo però dire che l’ho fatto anche per me stesso. Perché ho imparato, forse molto tardi, che è molto importante volersi bene ed è fondamentale innanzitutto rispettarsi. Poi ci sono altre motivazioni. Una è politica. Questo è un modo per me per testimoniare il mio impegno politico, per tutti quelli che tutti i giorni combattono per i propri diritti e hanno meno possibilità di me di farlo… In politica questo tema purtroppo viene ancora utilizzato per ferire l’avversario. Per questo – sottolinea – lo faccio anche per tacitare quel brusìo di fondo, che a volte è molto squallido e che ho subito anche io. Volevo spegnere questo brusìo, sapendo che io adesso, l’uomo che sono, con tutto il percorso, anche personale, complicato, che ognuno di noi fa nella sua vita e di cui dobbiamo avere molto rispetto assolutamente, dia a me stesso l’opportunità e la speranza che domani io venga considerato per quello che faccio, per come lo faccio. Lo stesso uomo di sempre, quale sono per la mia famiglia, per i miei amici. Forse da domani – ha concluso Spadafora in modo liberatorio – sarò un po’ più felice, perché sarò più leggero».
È importante tutto ciò, proprio alla luce dell’affossamento della legge coniata da Alessandro Zan che ironicamente aveva dichiarato qualche mese fa: «In Parlamento quelli apertamente gay e lesbiche sono quattro: è statisticamente impossibile che siano così pochi» mettendosi in conto lui stesso.
Non è comunque la prima volta che succede in politica, sia in Italia che all’estero. Lo hanno fatto Nichi Vendola, Elly Schlein, la vicepresidente della regione Emilia Romagna, l’anno scorso. Ivan Scalfarotto e Barbara Masina Tommaso Cerno e, fu tra i primi, Franco Grillini, nonché Alfonso Pecoraro Scanio e Paola Concia, per dire i più noti e comprendere nomi maschili e femminili. Quello di Vladimir Luxuria è stato forse il più forte, che provocò tante reazioni, anche davvero poco pertinenti, come dove dovesse andare al bagno la deputata, se tra i maschi o nella toilette delle donne! Fuori dei confini nazionali ha fatto coming out il ministro francese per gli Affari europei, Clement Beaune che lo scorso anno, durante un’intervista, disse: «Sono gay e non lo nascondo», soprattutto per dimostrare che il suo orientamento sessuale non è stato un ostacolo nella sua carriera politica. Mentre fu un coming out involontario quello avvenuto dopo la morte, a causa di un incidente, di Jörg Haider, fondatore dell’estrema destra austriaca: stava ritornando, era il 2008, da una notte trascorsa in un club gay.
L’ingiustizia delle leggi e soprattutto la non garanzia di giustizia attraverso la loro non repentina e corretta emanazione possono causare molta sofferenza e persino la morte. Dolorosa è la storia di una donna polacca, Izabela Sajbor, che a settembre (il 23 settembre 2021) è morta per setticemia perché i medici dell’ospedale in cui era stata ricoverata (per la rottura delle acque alla ventiduesima settimana) non hanno voluto praticare l’aborto che Izabela aveva chiesto quando gli stessi medici l’avevano informata che il bimbo stava morendo. Hanno costretto la giovane donna, già madre di una bimba di 9 anni, a dovere, per legge, aspettare il decesso naturale del feto: Izabela è morta durante l’intervento chirurgico, ormai con la febbre già alta per l’infezione. Su facebook ho trovato la pagina del suo negozio di parrucchiera a Pszczynza, nel sud del Paese, ferma al 9 settembre! Le donne, e non solo, stanno protestando fortemente, dopo questa morte ingiustificabile. «Negli ultimi anni e mesi – ha detto l’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, anche lui tra le/i manifestanti – sta succedendo qualcosa di molto pericoloso, con l’ideologia al potere scambiata per volontà popolare».
Purtroppo la Polonia, nei confronti dell’interruzione di gravidanza, conta la legge più restrittiva, sembra a livello mondiale. Ma non è l’unica. Da pochissimi giorni il Texas si è salvato dalla legge tra le più radicali negli States in materia abortista. Grazie a un giudice federale, Robert Pitman, del distretto texano di Austin, che ha così accolto il ricorso presentato dall’amministrazione Biden. La legge anti-abortista, oggi sospesa, bloccava l’interruzione di gravidanza a prima delle sei settimane. «Il giudice – hanno detto – ha evidenziato il primato della Costituzione americana che garantisce pienamente il diritto di una persona a decidere se abortire prima che la vitalità del feto sia stabilita».
Invece in Italia si è affossato il ddl Zan, con un atteggiamento davvero poco elegante delle opposizioni che inneggiavano alla vittoria, mentre un alto prelato, Carlo Maria Viganò, con un video a dir poco surreale, si faceva convinto assertore del «grande reset, cioè il complotto per avvantaggiare l’arrivo dell’Anticristo». Un altro prete, forse con più umile posizione nella gerarchia ecclesiastica, parla con tutt’altro linguaggio. Si chiama don Nando Ottaviani e da anni prega per la comunità Lgbtq, i migranti, le vittime di femminicidio, organizza iniziative, aiuta nel concreto gli ultimi e gli oppressi, insomma quello che dovrebbe apparire il fare di un sacerdote anche di fronte agli occhi più laici. Don Nando, dal suo San Ginese di Compito, a Capannori (Lucca) definisce il senatore Pillon come «un povero uomo privo dei valori cristiani» e celebra messa per le vittime di omolesbobitransfobia. In un’intervista, un po’ di tempo fa, ma attualissima, ha dato una lezione di civiltà, oltre che di fede: «Pillon ha ringraziato la Madonna e il Signore. Ha detto che hanno vinto grazie alla fede. No, loro sono uomini dello Stato. Devono servire lo Stato. Non stanno facendo il Conclave né scrivendo le norme per il catechismo, facciano le leggi per lo Stato italiano.» Un’autentica incoraggiante lettura laica di educazione civica. Infatti si è scritto: «Non serve essere credenti per apprezzare queste parole!»
Il valore della parola è importante. A questo proposito ci ha turbato un’osservazione riportata su un quotidiano dallo scrittore Paolo di Paolo. Riguarda la dimostrazione dei ragazzi e ragazze che quest’anno sono chiamate/i ad affrontare l’esame di maturità, contro le prove scritte: «Parlare non è scrivere – osserva Di Paolo -. Parlare non basta, e sapere esprimere un pensiero con una penna e un foglio non è una capacità accessoria, come capisce Renzo alla fine dei Promessi sposi. Quando si persuade che la birberia del leggere e dello scrivere dà il vantaggio di non essere subalterni a nessun azzeccagarbugli. Se scrivere fa paura, c’è un problema. Ed è un problema su cui dovremmo interrogarci tutti» – dice lo scrittore e autore radiofonico (sua è la bellissima La lingua batte, su radiorai3, domenica mattina). Tanto più considerando il fatto che nella vita adulta, per molte professioni, scrivere serve, e che nemmeno l’università allena realmente a farlo.
«Perché avete paura di scrivere? – si domanda ancora Di Paolo -. Scrivere è lasciare un segno, una traccia, nominare il mondo e in qualche modo inventarlo. Mi colpì, durante un laboratorio di scrittura, un ragazzo che guardava fisso il foglio bianco. «Non so cosa scrivere. Io ho la testa vuota», mi disse, con una tristezza negli occhi che non riesco a dimenticare. L’impressione era che, a forza di sfiducia, l’avessero convinto di non avere pensieri. Ma nessuno ha la testa vuota; e scrivere – quando non è come parlottare futilmente e bofonchiare (ciò che in sostanza facciamo sui social), quando si va in profondità, quando davvero si esprime e ci si esprime – significa anche riconoscere a sé stessi una dignità: di cittadini, di esseri umani». (Paolo Di Paolo, La Repubblica, 8 novembre 2021).
Da giovanissima lo amavo tantissimo e lo amo ancora moltissimo, ora che non c’è più. Pierangelo Bertoli lo hanno definito un vero cantastorie, di quelle terre, che mi sono care, tra Sassuolo dove è nato (nel 1942) e Modena (dove è morto, diciannove anni fa, nel 2002). Di Bertoli stimavo e stimo il coraggio («Canterò le mie canzoni per la strada / ed affronterò la vita a muso duro / un guerriero senza patria e senza spada / con un piede nel passato / e lo sguardo dritto e aperto nel futuro».) Parole non comuni a chiunque.
Nei giorni del Cop26, delle battaglie della giovane Greta Thunberg che raccomanda a noi adulti fermamente di non ridurre tutto a un Bla bla bla, ma di dare il valore della parola scritta e parlata (cantata), le parole di Bertoli suonano valide e sicure di ciò che è, ma anche nella speranza di un vento che Soffia ancora! Ecco il link per ascoltarlo e il testo scritto, da leggere
https://www.youtube.com/watch?v=lPMNpXykdVE (Soffia ancora)
https://www.youtube.com/watch?v=13fuhrEc5ko (A muso duro)
E l’acqua si riempie di schiuma, il cielo di fumi
La chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi
Uccelli che volano a stento malati di morte
Il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte
Un’isola intera ha trovato nel mare una tomba
Il falso progresso ha voluto provare una bomba
Poi pioggia che toglie la sete alla terra che è viva
Invece le porta la morte perché è radioattiva
Eppure il vento soffia ancora
Spruzza l’acqua alle navi sulla prora
E sussurra canzoni tra le foglie
Bacia i fiori, li bacia e non li coglie
Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale
Ha dato il suo putrido segno all’istinto bestiale
Ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario
E tutta la terra si è avvolta di un nero sudario
E presto la chiave nascosta di nuovi segreti
Così copriranno di fango persino i pianeti
Vorranno inquinare le stelle, la guerra tra i soli
I crimini contro la vita li chiamano errori
Eppure il vento soffia ancora
Spruzza l’acqua alle navi sulla prora
E sussurra canzoni tra le foglie
Bacia i fiori, li bacia e non li coglie
Eppure sfiora le campagne
Accarezza sui fianchi le montagne
E scompiglia le donne fra i capelli
Corre a gara in volo con gli uccelli
Eppure il vento soffia ancora!
(Eppure il vento soffia ancora)
Cominciamo, come sempre con l’aiuto di Sara Marsico, a sfogliare la rivista di oggi. La donna di Calendaria è Ivana Kobilca, pittrice slovena. Libera, cosmopolita e coraggiosa è stata anche Mariagrazia Cutuli, appassionata di politica estera e relazioni internazionali, della quale ricordiamo i vent’anni dal suo assassinio, avvenuto in Afghanistan il 19 novembre del 2001.
Di relazioni internazionali e geopolitica tratta anche Taiwan l’anti-Cina, con la recensione dell’ultimo numero di Limes: offre alcune chiavi di lettura sull’importanza strategica dell’isola bella nello scontro tra la superpotenza cinese e l’egemonia statunitense.
Due sono gli articoli sul Medioevo, a lungo a torto definito secolo oscuro, Il Medioevo, mutamenti sociali e culturali e La donna nel Medioevo. Condizione sociale, attività e costumi, un approfondimento molto accurato dell’autore di analoghi articoli sulle donne in altre epoche storiche.
La quarta parte sulla Giustizia femminista. Modelli interpretativi, esperienze e criticità nel contesto italiano, affronta le riflessioni delle Donne in nero italiane sulla giustizia transizionale come metodo, con uno sguardo sulla protezione internazionale nei confronti delle donne migranti.
Di un’opera meritoria, l’intitolazione di una Camera d’autrice a Licata a Rosa Balestrieri, cantante dalla vita tormentata e difficile, leggerete in Una stanza per Rosa.
I libri recensiti in questo numero sono Principesse Ribelli di Gabriella Maramieri, che trasporta il lettore e la lettrice «in un universo femminile del tutto moderno, fatto di capacità di autodeterminarsi, idee chiare, ma anche di fragilità, manie, fobie, sogni da inseguire e, naturalmente, sonore fregature» e Lungo petalo di mare, di Isabel Allende, scrittrice che non smentisce le sue qualità di grande affabulatrice in un romanzo che è anche l’occasione per parlare di Storia. Segue un’interessante intervista, Distopie, all’autore e all’autrice del numero monografico di una rivista di Critica Marx/z/iana Un’ambigua utopia, in cui apprenderemo come la fantascienza sia ancora uno dei pochi generi in cui riuscire a parlare delle criticità del sistema in cui viviamo, immaginando soluzioni per mondi diversi.
Nella sezione Juvenilia Parità di genere e… dintorni troviamo un prodotto del lavoro (appassionato ed entusiasmante) delle e degli studenti delle classi 2^A e 3^A della Scuola secondaria di primo grado dell’Istituto Comprensivo “Egisto Paladini” di Treia in provincia di Macerata : radio web Paladini, un’esperienza notevole tutta da scoprire. Per Tesi vaganti questa volta abbiamo scelto il lavoro dal titolo Il femminicidio: una questione linguistica, psicologica e antropologica che, partendo dallo schwa come strumento di inclusione arriva a conclusioni molto convincenti sull’origine della violenza di genere.
Chiudiamo come sempre con la ricetta di questa settimana, semplice ma gustosissima, la Torta speziata all’arancia con noce moscata e cannella, in cui troveremo descritte anche le proprietà di queste meravigliose spezie e la loro provenienza geografica. Una nota di dolcezza in questo clima autunnale.
Buona lettura a tutte e tutti.
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
ciao Giusi, non credo che tu potrai mai deludermi: come sempre bella e ricca la tua introduzione e la tua sintesi per questo numero con argomenti ancora scottanti, proprio perché molt* di noi sono ancora abituat* a girarsi dall’altra parte. Grazie
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Grazie Giulia, mi ricordo Firenze. Non posso che continuare a ringraziarti delle tue parole. Sempre belle e essenziali. Hai ragione spesso ci giriamo dall’altra parte e, come diceva Gramsci siamo colpevoli dell’indifferenza. Sono sapessi quanto contenta di avere te tra le lettrici. E’ valorizzazione del lavoro. Per questo anche grazie infinite
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