Martha Gellhorn, la più grande corrispondente di guerra del Novecento 

«È un vero e proprio lavoro, essere donna, non è così? Non puoi semplicemente fare il tuo lavoro in pace perché allora sei un’egoista. Devi sempre fare due cose contemporaneamente» (da una lettera di Martha a Eleanor Roosevelt). 

La ben nota giornalista e scrittrice Lilli Gruber, dopo la bella trilogia dedicata alla riscoperta delle sue radici familiari, questa volta ha deciso di raccontare la vicenda umana e professionale di una donna che ha sentito affine a sé stessa: la corrispondente di guerra Martha Gellhorn. Il suo libro La guerra dentro. Martha Gellhorn e il dovere della verità, lo chiarisce subito, «non è una biografia, ma un omaggio e forse, in qualche modo, un dialogo. Tra persone diverse che, in epoche diverse, condividono la responsabilità e la bellezza del giornalismo». Questo nome le era rimasto impresso da quando, adolescente, si avvicinò con passione alla letteratura americana in lingua originale; aprendo il romanzo di Ernest Hemingway Per chi suona la campana, ambientato nella Guerra civile spagnola, trovò la dedica a Martha, all’epoca moglie dello scrittore. Tanti anni sono trascorsi da allora, biografie e articoli si sono occupati del personaggio, ma assai poco è stato tradotto e parecchie opere letterarie della stessa Gellhorn da noi sono sconosciute. Veramente anche il suo nome non è famoso come meriterebbe. Bene ha fatto dunque Gruber a occuparsene e a coinvolgere noi lettori e lettrici in questa pur tardiva scoperta. 

Che non si tratti di una tradizionale biografia si comprende facilmente, visto che i capitoli si susseguono senza seguire l’ordine cronologico, tanto che nelle prime pagine assistiamo alla morte di Martha, avvenuta nel 1998 a Londra, quando la salute era divenuta malferma e la vista offuscata. Anche in quella circostanza fu lei a decidere il proprio destino, scegliendo di porre fine a una lunga esistenza che ormai non le poteva portare che invalidità e dolore. Era nata negli Usa, a Saint Louis, l’8 novembre 1908, da una solida famiglia borghese e progressista, ma a soli 19 anni lasciò gli studi alla ricerca della sua affermazione professionale, iniziando con articoli a carattere locale. 

Martha bambina

Nel 1930 partì per Parigi dove la carriera di corrispondente decollò, ma divenne pure una militante pacifista. Fu un soggiorno estremamente formativo, sia come donna che come scrittrice: fece amicizie, frequentò persone affascinanti, viaggiò, ebbe la sua prima importante storia d’amore, che le portò una gravidanza inattesa e un aborto, argomento evitato e taciuto sempre, ma non in un bellissimo racconto chiaramente autobiografico: Requiem. Rientrata in patria, conobbe Eleanor Roosevelt di cui divenne amica e con cui condivise molte battaglie, nel difficile periodo della Grande depressione. Nel ’34 pubblicò il primo romanzo, What Mad Pursuit, ancora acerbo ma di un certo interesse per la tematica ispirata alle sue proprie ambizioni e frustrazioni. Intanto venne ingaggiata dall’amministrazione statale per viaggiare in lungo e in largo negli Usa allo scopo di verificare le reali condizioni sociali e come stava funzionando il “New Deal”: vide e riferì cose spaventose, miseria, fame, prostituzione delle bambine, sfruttamento del lavoro minorile, malattie, condizioni igieniche pessime, e tanta rassegnazione; per lei fu però una vera palestra di vita e di scrittura, da cui nacque un libro di ottimi acconti: The Trouble I’ve Seen (1936). Tuttavia fu la Guerra di Spagna a offrirle l’occasione ideale per svolgere appieno il compito che si era prefissata: comunicare tramite la stampa tutto quello che vedeva e ascoltava, tutto ciò che sapeva e che avveniva in prima linea, ma anche nelle retrovie, fra la popolazione civile. «Forse perché sono una donna ― scrisse a Eleanor ― non riesco a non vedere la storia dal punto di vista della gente comune», e questo sarà un elemento ricorrente nella sua vita e nelle sue corrispondenze.

Now that her new book, “The heart of another” has been published by Scribners, Martha Gellhorn is vacationing in the west, where she and Ernest Hemingway, her husband, have been enjoying some shooting in Sun Valley, Nov. 26, 1941. (AP Photo/E. L. Chapin)

Aveva conosciuto Hemingway a Key West, nel 1936, per caso o con un preciso intento non si sa, in un bar da lui frequentato assiduamente; lo scrittore era al culmine della fama, aveva 37 anni, tre figli e una seconda moglie; lei era bella, giovane, bionda, slanciata, con gli occhi azzurri e una bocca sensuale: non passava certo inosservata. Vissero fianco a fianco, da colleghi, l’esperienza esaltante della Guerra civile, nel ’39 andarono a vivere a Cuba e si sposarono il 21 novembre 1940, ma Martha non era nata per accudire un uomo e annullarsi per lui.  

Con Ernest Hemingway 

Dopo vari reportage dalla Cecoslovacchia passata sotto il giogo nazista che le ispira il romanzo A Stricken Field, segue da vicino il conflitto scoppiato in Finlandia contro l’Urss di cui si è parlato troppo poco, per le conseguenze che avrà, e va poi in Cina, insieme a U.C. (The Unwilling Companion, il compagno riluttante), inviata ufficiale di Collier’s, muovendosi nell’immenso territorio con qualunque mezzo disponibile per raggiungere il fronte con il Giappone invasore. Quando la guerra divampa in Europa, non può stare a guardare e prende letteralmente il volo; d’altra parte era solita affermare di essere diventata «un registratore che cammina e che ha gli occhi». È vero, conferma Gruber, ma lei ci metteva delle doti eccezionali di osservazione, di capacità descrittiva, di empatia, di qualità della scrittura, di sintesi, senza dimenticare la «rappresentazione impeccabile dei fatti». A Londra tuttavia si sente troppo lontana dalla battaglia e dall’azione, quindi risale la penisola italiana insieme alle truppe francesi, condividendo la dura vita e i combattimenti intorno a Montecassino.  

Sul fronte italico

Martha ha appreso dalle sue fonti che si sta preparando l’attacco da Nord, in Francia, ma decide di raggiungere il marito a Cuba dove scopre l’amara verità: Hemingway sarà l’inviato ufficiale della rivista Collier’s; per lei non è previsto nessun ruolo. Ma non hanno fatto i conti con la sua tenacia: riesce a imbarcarsi su un cargo norvegese che trasporta armi e munizioni, unica donna e unica civile a bordo. Giunta in Europa viene a sapere che Hemingway è stato ferito, lo trova ben sistemato fra bottiglie di whisky, vino e champagne; questa volta è davvero la fine. Martha chiederà il divorzio, dopo soli 4 anni dalle nozze, diventando così l’unica donna a lasciare lo scrittoreche si consola assai presto.  
Avvincente e molto bello il quarto capitolo in cui viene raccontato il metodo rocambolesco e inedito utilizzato da Martha per essere nel vivo dello sbarco in Normandia, ma anche nel fornire il proprio aiuto alle infermiere e soccorso ai soldati feriti. Estremamente interessante il confronto fra i due reportage: mentre Martha, da grande narratrice, coglie l’essenza e la tragicità della guerra, pure nei suoi aspetti umani, nella pietà, nella attenzione a vincitori e vinti, l’articolo di Hemingway è incentrato su sé stesso, come se personalmente avesse fatto il condottiero e portato alla conquista il mezzo su cui si trova. Niente di più falso: lui non toccò terra, lei sì. La sola donna corrispondente di guerra sulla spiaggia dello sbarco e una dei pochissimi testimoni oculari dell’evento.  
Dopo una nuova pausa in Italia, impoverita e dilaniata ma sempre affascinante ai suoi occhi, da dove inviò alcuni dei suoi pezzi più belli e significativi nel raccontare la tragica epopea sulla Linea Gotica, l’attendeva l’orrore, da cui forse non si riprese più. Da Monaco raggiunse infatti Dachau con le truppe americane e entrò nel campo; da questa esperienza traumatica nacque uno dei suoi articoli più coinvolgenti e spietati: Dachau: Experimental Murder. È la primavera del 1945: il divorzio, un nuovo amore di breve durata, l’Europa in rovina; potrà Martha essere di nuovo felice? si domanda Gruber. 

La scrittrice sceglie di fare una pausa, nel capitolo 9, riferendo di altre due corrispondenti, Dina e Angela, da una guerra che Gellhorn non ha seguito, quella nei Balcani, forse perché provata dall’età, o forse perché turbata dal genere di conflitto crudele e ideologico, troppo simile alle vicende di tanti anni prima. Il libro ritorna poi sul “battesimo del fuoco” avvenuto in Spagna e sulla sua rivisitazione letteraria (racconto lungo Till Death Do Us Part); ci diverte con il curioso, tragicomico viaggio di nozze in Cina, mentre infuria la guerra con il Giappone, continuando poi ad alternare efficacemente alla biografia di Martha ricordi ed esperienze personali, come quelle vissute dal marito, il giornalista francese Jacques Charmelot, anche lui immerso per lavoro in situazioni pericolose, in Ciad, a Teheran, a Beirut, nei Balcani, in Iraq, con seri rischi per la salute, per l’incolumità, addirittura per la vita. In questo modo la lettura scorre piacevole, senza soste né noia, fra passato e presente, con un coinvolgimento che invoglia a proseguire per saperne di più. Ci racconta anche di quello che è capitato a lei stessa quando era inviata della Rai e dei due prestigiosi corrispondenti Jonathan Randal e Alberto Negri, riflettendo su come sia cambiato nel tempo quello straordinario “mestiere”, per cui occorrevano una vera vocazione e una dedizione totale, ma pure un valido supporto strategico ed economico alle spalle, oggi di fatto scomparso. . 

Martha Gellhorn, 1943. Foto di Lee Miller 

Per un certo periodo Martha, con l’avvento della Guerra fredda e di tanti altri conflitti, insurrezioni, rivolte, decide di pensare un po’ a sé e a «costruirsi una normalità»; visita un incredibile numero di orfanotrofi finché nel ’49 adotta in Italia, a Pistoia, un bambino: Alessandro, un angioletto di un anno e mezzo circa, ribattezzato Sandy. Ma sarà un rapporto non facile e ben presto la maternità si rivela un peso insopportabile per una donna indipendente, libera, che non ha mai accettato legami.  
Eppure nel ’54 si risposa con un bravo amico, tuttavia nel ’63 arriva, per noia reciproca, un nuovo divorzio. Passano gli anni: Martha viaggia, si innamora dell’Africa, ritorna spesso in Italia, va in Messico, si dedica alla narrativa. Finché, con la guerra del Vietnam, non può più stare a guardare. «Non avrei mai scelto di avvicinarmi ancora a una guerra se il mio Paese non avesse cominciato, misteriosamente, a condurne una non dichiarata», afferma.  

In Italy in 1944, Gellhorn talks to Indian soldiers of the British army on the 5th Army’s Cassino front.

Partì dunque, ancora una volta, e vide quello che intendeva vedere, non quello che le volevano far credere: andò in ospedali, orfanotrofi, villaggi, vide la devastazione, seppe delle vittime civili, del napalm e delle bombe al fosforo, capì i vantaggi economici del complesso militare industriale, rimase disgustata dalle bugie e scrisse, come inviata del quotidiano inglese The Guardian. Era il 1966, ma il governo americano in seguito ai suoi articoli le proibì di rientrare in Vietnam, fino al 1975: era stata spietata e sincera, come sempre, aveva riflettuto e giudicato con la propria testa, ben più lucida di molte altre.

Londra. Cadogan Square, Chelsea 

Continuò a occuparsi di questioni politico-sociali: a 81 anni si recò a Panama per testimoniare l’invasione statunitense, andò pure in Brasile dove raccontò la tragedia dei meninos de rua. La sua ultima battaglia non fu legata a una vera e propria guerra, lei che era sempre stata dentro la guerra e con la guerra dentro di sé, ma fu a favore dei minatori del carbone nell’epoca degli scioperi, in Gran Bretagna, nel biennio 1984-85, sicura che la politica thatcheriana fosse una rovina per il Paese.  

Ormai anziana e sempre più fragile, con gli scritti faceva sentire ancora la sua voce; pubblicava ricordi di viaggio, raccolte di articoli, interventi sul movimento pacifista, fino a quando si rese conto di non essere più nimble (agile, veloce) per viaggiare e per godere della propria esistenza in pienezza. Così le pose fine. D’altra parte amava dire: «Nessuno può impedire a una donna di vivere la sua vita». 

Lilli Gruber
La guerra dentro. Martha Gellhorn e il dovere della verità 
Rizzoli, Segrate, 2021 
pp. 288

***

Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...