Tutto inizia con la realizzazione di un’opera all’epoca titanica: il canale di Suez, ovvero quel passaggio artificiale che taglia l’istmo e da allora consente di evitare la lunghissima circumnavigazione dell’Africa, andando dal Mediterraneo al mar Rosso, e viceversa, grazie ai suoi 164 km di lunghezza, 53 m di larghezza e 8 m di profondità. La progettazione inizia durante il governo di Said Pascià, i lavori durano 10 anni e finalmente il 17 novembre 1869 avviene l’inaugurazione ufficiale; dal 2015 il canale è stato raddoppiato per adeguarlo alle moderne esigenze e alle dimensioni delle navi e al loro pescaggio.

Merita ricordare che il progetto, che riprende i vari e fallimentari tentativi avvenuti fino dall’antichità, fu di un ingegnere italiano: Luigi Negrelli, ma la compagnia che realizzò materialmente i complessi lavori apparteneva alla Francia ed era diretta da Ferdinand de Lesseps. L’attraversamento fu festeggiato in modo grandioso, con panfili privati e navi con regnanti, nobiltà internazionale, ambasciatori e le musiche di Johann Strauss che scrisse appositamente la Marcia egizia.

Si sa che anche a Giuseppe Verdiera stata richiesta dal nuovo viceré, Ismail Pascià, musica d’occasione, ma il compositore rifiutò la proposta, nonostante il compenso allettante, tuttavia solo due anni dopo, il 24 dicembre 1871, andò in scena al Cairo, al Teatro Reale, la prima dell’opera Aida, che debuttò in maniera trionfale e fu destinata da allora a un successo straordinario sui palcoscenici di tutto il mondo. L’8 febbraio 1872 avvenne la prima italiana ed europea, al Teatro alla Scala di Milano, alla presenza del Maestro e con la grande cantante Teresa Stolz per la cui mirabile voce era stato di fatto creato il ruolo della protagonista.
Il soggetto parte dall’idea di Auguste Mariette, l’archeologo direttore del celebre Museo Egizio del Cairo, e viene sviluppato da Antonio Ghislanzoni, basandosi su elementi storici precisi e su una documentazione accurata, tratta da raffigurazioni, geroglifici, antichi papiri. Verdi fu convinto pienamente dalla trama e dal libretto, e ottenne un compenso altissimo (150.000 franchi).
Ma veniamo agli altri anniversari: dopo 50 anni dal debutto, nel 1921 lo Sferisterio di Macerata, proprio con la rappresentazione di Aida, si trasformò in teatro e l’estate scorsa, a distanza di 100 anni, l’opera è stata messa in scena nuovamente, in una interessante edizione, all’interno del Festival, sotto la direzione del maestro Francesco Lanzillotta e la regia dell’argentina Valentina Carrasco.
La vicenda è assai nota, nella sua drammatica fusione di elementi storico-politici con la forza dei sentimenti e delle passioni, fino al commovente epilogo. Aida, principessa etiope fatta prigioniera, vive come serva alla corte egiziana dove si è innamorata ― ricambiata ― del valoroso guerriero Radames. Ha però una temibile rivale: Amneris, la figlia del faraone. Nella successiva guerra Amonasro, padre di Aida, avrà di fronte le truppe nemiche guidate dallo stesso Radames, quindi il dilemma di Aida consiste nel dividere il suo cuore fra i due contendenti. Radames vince il conflitto, Amonasro viene fatto a sua volta prigioniero e qui esplode la celebre marcia trionfale per la quale Verdi fece realizzare delle lunghe trombe, dal suono squillante. L’eroe vittorioso otterrà in premio la mano di Amneris e sarà nominato erede al trono. Accetta l’onore, ma in realtà progetta di fuggire con Aida; Amonasro ascolta i loro piani e le incaute proposte di Radames, che si rende conto di apparire un traditore per la sua patria e si consegna prigioniero. Amneris cerca di provare la sua innocenza, ma l’uomo non si giustifica e tace, così viene condannato a morire seppellito vivo. Poco prima che le mura della prigione si chiudano per sempre scopre al suo fianco, nell’ombra, Aida pronta a sacrificarsi con l’amato: i due danno l’addio al mondo, rinnovando le reciproche promesse e accettando il crudele destino, mentre Amneris piange e prega sulla loro tomba e le sacerdotesse cantano inni.

In questi 150 anni l’opera ha avuto infinite edizioni, in tutto il mondo, con interpreti di grandissimo prestigio e i massimi direttori di ogni epoca: hanno ricoperto il ruolo di Aida tutti i più grandi soprani, da Maria Callas a Mirella Freni, da Montserrat Caballé a Leontyne Price; l’hanno diretta Abbado, Von Karajan, Mehta, Muti, Pappano; Toscanini la diresse a memoria, a soli 19 anni, a Rio de Janeiro, iniziando così la sua straordinaria carriera. Nel cast gli altri ruoli principali appartengono al tenore (l’eroe Radames), al mezzosoprano (Amneris), al baritono (Amonasro), al basso (il faraone), ma per la rappresentazione occorrono anche vari personaggi minori, il coro, il balletto, mimi e comparse, un organico molto ampio ed elementi d’orchestra direttamente in scena. Quindi un impegno non indifferente per la produzione, le scenografie, i costumi, le coreografie.
Dell’Aida verdiana sono stati realizzati numerosi dischi e video, fino ad una improbabile versione cinematografica del 1953 con Sophia Loren doppiata nella voce da Renata Tebaldi. Più e più volte la si è apprezzata in televisione, nelle riprese anche molto recenti dall’Arena di Verona (1o agosto scorso), ambiente che si presta assai bene al fasto e alla grandiosità, come nelle celebrate edizioni per la regia di Franco Zeffirelli. Francamente però la presenza in scena di obelischi, orpelli di ogni genere, ventagli di piume, geroglifici fittizi, templi, sfingi, colonne di cartapesta rischia di mettere in secondo piano la meravigliosa qualità della musica, la sua finezza, i suoi chiaroscuri, con le voci ora tenui e sussurrate («Celeste Aida»; «Si schiude il cielo…»), ora potenti e dispiegate: «Ritorna vincitor del padre mio!». Ecco perché appare veramente interessante, intelligente e nuova l’idea della regista Valentina Carrasco, coadiuvata nell’allestimento dal favoloso gruppo di 100 volontarie e volontari maceratesi chiamati “I pazzi dell’opera”.

Lei colloca la vicenda proprio nel momento in cui furono composte le musiche: «Da uomo politico qual era, Verdi aveva colto lo spirito di un evento nato sotto il segno di un orientalismo di moda, nell’ottica delle potenze imperialistiche e coloniali, dello sviluppo delle strade ferrate, dei piloni della luce, delle trivelle», ha dichiarato Carrasco; «l’oleodotto che verrà montato in scena è il segno del trionfo dei nuovi vincitori. A costruirlo non più gli Etiopi sconfitti, ma i nuovi schiavi di una rivoluzione industriale che in pochi anni ha cambiato tutto, stravolgendo i rapporti e il concetto stesso di lavoro». Il bottino riportato da Radames non sarà fatto di preziosi gioielli, ma di oro nero, quel petrolio ancora oggi padrone del mercato e causa continua di conflitti, in gran parte trasportato in Occidente proprio attraverso il canale di Suez. L’oleodotto in scena a Macerata stravolge la bellezza delle dune del deserto e costituisce il simbolo della fine di una società rispettosa dell’ambiente: «l’aria “O patria mia” lascia trasparire il rimpianto per una terra di “verdi colli e fresche valli”. Una natura a cui Aida rivolge l’ultimo saluto: “mai più ti rivedrò”».

Ennesima riprova che le rivisitazioni fatte in modo sapiente e con coerenza, rispettose della partitura, possono essere convincenti e attrarre un pubblico più allargato; in chiusura vorrei proprio citare recenti esempi di cui la Rai ci ha fatto bellissimo e gradito omaggio: il Rigoletto dal Circo Massimo, fra vecchie automobili e squallida malavita, realizzato nel luglio 2020 per la regia di Damiano Michieletto, il Rigoletto dal Festival di Bregenz ambientato in un lunapark sull’acqua del lago di Costanza, con effetti drammaturgici incredibili e vere acrobazie della compagnia di canto, la Traviata (regia di Mario Martone) dentro il Teatro di Roma vuoto, spazio straniante e angoscioso, il Barbiere di Siviglia (di nuovo regia di Mario Martone) in cui Figaro arriva con lo scooter trasportando Daniele Gatti, il direttore d’orchestra, mentre Rosina è avviluppata dai fili tesi fra le poltrone e i palchi, che alla fine saranno tagliati dandole la libertà.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.