Carissime lettrici e carissimi lettori,
sono passati i soliti giorni da calendario e ci ritroviamo qui a scambiarci di nuovo gli auguri. Come di prassi. Per dare uno sguardo alle spalle, che abbracci tutto il tempo trascorso, quello dei mesi che abbiamo vissuto. Manteniamo il ricordo delle cose accadute, portandoci dentro anche l’eterno ricordo dei volti incontrati e di quelli lasciati per sempre. Come si dice festeggiamo l’anno vecchio, la buona fine.
Ma l’augurio va anche alla speranza, quella che guarda sempre verso l’ignoto, che vaticina futuri di questa nuova creatura che sta per nascere, quasi sconosciuta, portata ancora nel grembo del mondo. Il buon inizio: un bisogno di maternità collettiva, rinnovata anno per anno, cielo per cielo.
Guardiamo indietro. Questo passato prossimo nostro e dell’umanità intera da troppo tempo flagellata dal Virus, coronato, cangiante, perfido e veloce, quanto subdolo. Abbiamo vissuto le contraddizioni, le mille ipotesi e proteste per guarire questo male. Non ci siamo uniti e unite, ma spezzate/i negli innumerevoli rivoli del dubbio confortato e irrobustito dal più misero dei mali (seppure qualche volta vero!): il complottismo! Spesso in suo nome abbiamo continuato a riempire i letti d’ospedale, anche quelli più di emergenza, di solito dedicati ad altri mali umani, sempre terribili e mortali. Qualcuno e qualcuna ha lasciato per sempre il mondo, proseguendo il destino già replicato di non poter salutare gli affetti, negli occhi e con le mani, come detterebbe la regola di questo triste rito.
In questo anno, che definirei affannato, abbiamo lasciato alle spalle tante voci dell’arte, l’arte che consola, come diceva del Teatro la mia cara, indimenticabile amica Piera Degli Esposti.
Lei, Piera, se ne è andata alla vigilia di Ferragosto, il 14, un giorno che amava passare sempre nella frescura di Pescasseroli, a casa della sua grande amica/sorella Dacia Maraini che di lutti amicali ora ne porta due nel cuore, essendosi aggiunta Lina Wertmuller, affetto comune e presentata a Lei proprio da Piera.
Con un lutto del cinema femminile si era aperta la lista delle scomparse, come quella, passata un po’ in sordina, di Cecilia Mangini, regista militante, morta a Roma a 93 anni (era nata a Mola di Bari il 31 luglio del 1927). Mangini aveva raccontato i problemi dell’Italia e soprattutto del Mezzogiorno. Era stata premiata a Venezia e aveva collaborato con Pier Paolo Pasolini. Aveva vinto il Leone d’oro a Venezia (con il documentario Fata Morgana in collaborazione con Del Fra) e il Festival di Locarno per il lavoro sul Fascismo. Famoso il suo Allarme siam fascisti!
Sono seguite a loro, appena ricordate, tante altre belle menti, dell’arte e non solo. Da Milva a Franco Battiato, a Gino Strada, mente e cuore irripetibile, a Mikis Theodorakis, del quale ci risuonano le note del ballo reso famoso da uno splendido Anthony Quinn (chi dimentica Zorba il greco?), fino allo scrittore Antonio Pennacchi e al grande indimenticabile signore della casa editrice Adelphi, Roberto Calasso. Da Raffaella Carrà, a Carla Fracci, che immaginiamo ancora leggera, in bianco, volare sulle punte! Poi Jean Paul Belmondo, il grande politico Emanuele Macaluso, Franco Marini e Guglielmo Epifani. Una lista lunga, tormentata, quasi infinita.
Tanti gli anniversari celebri, che qui non abbiamo avuto spazio, e non voglia, di ricordare con voi. Primo fra tutti F.M.Dostoevskij, nato l’11 novembre del 1821 e morto a febbraio del 1881 che segna, anticipa, costeggiandole, con la sua immensa produzione letteraria, le tesi di Sigmund Freud e di Friedrich Nietzsche. Dostoevskij ha amato tanto i paesaggi e l’arte italiana, abitando nelle sue città e esprimendo il desiderio, realizzatosi, di morire con alla testa del letto una copia della Madonna Sistina, vista a Dresda e opera del suo amatissimo Raffaello Sanzio, una pace in antitesi alla sua interiore guerra dell’anima.
Ma in forma scaramantica ridiamo sui piccoli mali che questo anno ci ha presentati e giriamo lo sguardo altrove, ma non il cuore, ai dolori per chi non vediamo più. Finire un anno vuol dire anche riflettere sul tempo, sugli anni e sull’età, come ci suggerisce il poetanella canzone dedicata proprio allo scorrere ambivalente del calendario.
Quest’anno a venire ci darà, tra le altre cose, subito, a febbraio, il nome di fatto di chi andrà ad abitare le stanze del Colle, quello, tra i sette romani, che ospita il Quirinale. Chi sarà? Un uomo o una donna? Apparterrà alla politica o ad altri mondi diversi della cultura e del pensiero? Per ora, o meglio, ad oggi poco o nulla sappiamo sul suo volto. Le nominations sono poche e, mi permetterei di aggiungere, poco entusiasmanti. Lo schieramento maschile è esile, ma esistente. Di donne, delle poche già papabili, fondamentalmente ne è rimasta una sola, seppure dai quotidiani ha cominciato pian piano a affacciarsi qualche timida candidatura. Ma forse per l’Italia, lembo estremo dell’Europa, ancora non è venuto in politica il tempo di abolire il gap di genere? E quello tra le età della vita? Gli/le over 65, secondo uno studio condotto da Nomisma, passeranno dal 22,6% del 2018 al 34,3 % nel 2060. Cresceranno anche gli ultraottantenni che arriveranno ad essere il 16,1% della popolazione. Si dovrà ripensare a una società più accudente, cominciando da un sistema abitativo nuovo che l’architettura (è nata anche una rivista ad hoc) ci suggerisce, un sistema che offra sicurezza e, soprattutto, garantisca il mantenimento in buone condizioni di vita, ma soprattutto di salute, grande protagonista messa in discussione per il fondamentale accesso dei parenti e delle persone di affetto nelle Rsa (le Residenze sanitarie assistenziali), alle quali si è dovuti ricorrere per proteggere la popolazione anziana che subiva l’impossibilità e la carenza di assistenza domiciliare e che, a causa del Covid, hanno visto sbarrato l’accesso praticamente da due anni, creando un problema grande di vuoto affettivo.
La presenza di sempre più persone che vivacemente affrontano la terza età ha però creato anche il mito della presenza dei e delle over 65 costante nella vita pubblica, soprattutto in politica. Se ci si sente giovani a tutti i costi si finisce per non dare posto a chi giovane lo è per età anagrafica! Ho trovato un divertentissimo pezzo scritto da Ritanna Armeni, l’impegnata giornalista, scrittrice e femminista che tanto ha dato spazio al ruolo e alla storia delle donne. Fa davvero sorridere e mette voglia di vivere meglio tutte e tutti: «Cari sessantenni e oltre – scriveva Armeni qualche anno fa, ma con un piglio attualissimo -, rassegnatevi, vi prego, ragionate e rassegnatevi. Lo so che le statistiche sull’età media della mortalità vi hanno ringalluzzito, lo so che il Viagra vi ha fatto sentire di nuovo in grado di cavalleresche conquiste e che la riforma Fornero vi fa credere di essere perfettamente in grado di continuare, come se nulla fosse, nel frenetico mondo in cui si produce, si costruisce e si conta. Ma siete – siamo vecchi – il che può essere interessante, coinvolgente, persino bello ma è diverso dall’essere giovani.
La parola vecchiaia viene raramente nominata nel discorso pubblico e persino in quello privato. Si dice ad esempio di un conoscente di settant’anni: l’ho trovato invecchiato. Che frase stupida. A settant’anni non si è invecchiati, si è vecchi. Si può poi essere in buona o cattiva salute, ma questa è un’altra cosa. Si è comunque entrati in quella età in cui per dirla con Doris Lessing si sa di più e si può di meno (Se gioventù sapesse Feltrinelli), che a volte può sembrare una bella fregatura, lo ammetto, ma inferiore a quella di chi pensa che, poiché sa di più, può di più e può come quando si aveva trenta anni di meno…La società italiana tutta è dominata da questo rapporto negativo con la vecchiaia. Anzi lo sono le società occidentali. Gli uomini più delle donne, mi pare. Due miei cari amici mi hanno spiegato che loro la allontanano, continuando a comportarsi come se non li riguardasse, perché la vecchiaia non è un’altra età della vita ma l’anticamera. Hanno detto proprio così e non hanno aggiunto altro. Certo deve essere difficile vivere pensando che la vecchiaia è un’anticamera, non ha altro fine, non ha altro scopo che quello di un percorso tutto già definito, che non possa essere vissuta per quello che è, ma solo in funzione di quello che c’è, inevitabilmente, al suo termine. Capisco che in quel caso si faccia di tutto per non entrare nell’ anticamera. E non è solo un atteggiamento psicologico. É pratico, comportamentale, politico, di potere. Dall’università ai centri finanziari, all’industria, ai sindacati, alla politica tutto è dominato da uomini anziani (e da qualche donna). Sfogliando le pagine dei quotidiani (quelli che ancora li leggono, hanno sicuramente una certa età) ci si rende conto che i banchieri, i direttori dei giornali, i sindacalisti, i capi delle istituzioni sono in gran parte nella fascia di età che va dai sessanta agli ottant’anni. Tutta gente che non molla perché altrimenti entrerebbe nell’anticamera. E chi se ne frega del fatto che, per dirla con Cicerone, La vecchiaia, specialmente quella che ha conosciuto tutti gli onori, possiede un’autorità che vale ben più di tutti i piaceri della giovinezza. No, non riescono a pensare se non a quello che perderebbero se accettassero di diventare vecchi: il telefono che squilla continuamente, gli impegni sull’agenda, le segretarie che obbediscono ai loro ordini, lo sguardo ammirato di chi vede in loro il potere, l’affermazione. Consiglierei invece ai sessanta, settantenni di fare e rapidamente i conti con la loro età. Perché ho l’impressione che qualcosa anche nella società italiana possa muoversi rapidamente. Si è già mosso nell’ambito della vituperata politica dove c’è un parlamento con un’età media di 48 anni, inferiore a quella francese, spagnola, tedesca e americana. É’ una rivoluzione generazionale, che non è detto sia politica, ma tuttavia è una rivoluzione. E non è detto che non ne preceda altre nei luoghi in cui sessanta, settantenni si sono accucciati e si difendono.
Ad essere vecchi occorre coraggio, perché la vecchiaia è una grande sofisticata costruzione, che richiede pazienza, capacità estetica, una buona dose di ironia, la capacità di allontanare i momenti di sconforto che pure ci sono, una grande voglia di esplorare quel mondo dell’età nel quale per nostra fortuna viviamo. Un pizzico di incosciente ottimismo.
Ha detto un giorno Paul Nizan: Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questo è il periodo migliore della vita. Mi viene da dire a chi è vecchio non permettete a nessuno di dire che i sessanta i settanta, gli ottanta anni sono il periodo peggiore della vostra vita. Vecchio può essere bello. Potrei continuare a dimostrarvelo se non avessi, dopo circa 5000 battute al computer, un po’ di mal di schiena. (Dedicato ai vecchi e alle vecchie, dal Foglio del 12 marzo 2013).
Allora diamoci gli auguri di un Buon anno nuovo! Insieme a Piera Degli Esposti, che mi ha insegnato a guardare in positivo, ma senza ingenuità, alla sua carissima amica Lina Wertmuller, a Carla Fracci, a Milva, alle tante e ai tanti che abbiamo citato, che da tutti i tempi hanno dato e danno lustro all’umanità con il loro genio, la loro parola, il loro gesto d’arte e di comprensione del mondo, diciamoci con forza, in questo primo giorno dell’anno che We are the champions! Che il destino di questi dodici mesi e di quelli a venire è nelle nostre mani, solo nelle nostre mani. Come si dice… poi facciamoci aiutare anche dalla sempre utile fortuna, cosa che non guasta mai, per il destino personale e di tutto l’universo!!! Ma questa è la sana e utile ironia che, come dice il grande Walter Pedullà, mio insegnante di Letteratura italiana moderna e contemporanea a Roma, rende atti a capire la verità due volte!
Ecco allora a ricordare qui un altro grande, indimenticabile e colto artista Freddie Mercury, all’anagrafe Farrokh Bulsara, del quale, proprio nell’anno che si è appena chiuso, abbiamo celebrato il trentesimo dalla morte. Nato in Zanzibar il 5 settembre 1946 è morto il 24 novembre del 1991. Un anniversario doppiato da quello della formazione definitiva, nel 1971, del suo mitico gruppo rock, The Queen!
(omaggio a Freddie Mercury)
I’ve paid my dues
Time after time
I’ve done my sentence
But committed no crime
And bad mistakes
I’ve made a few
I’ve had my share of sand
Kicked in my face
But I’ve come through
And we mean to go on and on and on and on
We are the champions, my friends
And we’ll keep on fighting till the end
We are the champions
We are the champions
No time for losers
‘Cause we are the champions of the World
I’ve taken my bows
And my curtain calls
You brought me fame and fortune
And everything that goes with it
I thank you all
But it’s been no bed of roses
No pleasure cruise
I consider it a challenge before
The human race
And I ain’t gonna lose
And we mean to go on and on and on and on
We are the champions, my friends
And we’ll keep on fighting till the end
We are the champions
We are the champions
No time for losers
‘Cause we are the champions of the World
We are the champions, my friends
And we’ll keep on fighting till the end
We are the champions
We are the champions
No time for losers
‘Cause we are the champions of the World
Presentiamo gli articoli di questo numero della nostra rivista. Arriva il nuovo anno. Libertà e pseudo-libertà. Non “accontentiamoci” nel 2022 è una riflessione, con uno sguardo sul mondo, sul concetto di libertà, sull’impoverimento del linguaggio indotto dai social e su molto altro, per prepararci a un 2022 che non ripeta gli errori e le trappole dei periodi passati. Qualcosa da cui tenerci lontani in questo nuovo anno è la Mascolinità tossica, descritta in modo magistrale da uno studente del Liceo Francesco Vivona di Roma, che invita gli appartenenti al genere maschile a liberarsi dai condizionamenti della società patriarcale e a ispirarsi ad alcune figure omeriche.
Sfogliando le pagine di Calendaria 2022 raccontala nuova edizione del progetto di Toponomastica femminile che quest’anno ha raccolto la sfida di collegare le biografie di donne del passato recente e remoto dell’Unione Europea agli obiettivi dell’agenda 2030 dell’Onu. Inizia con questo numero il primo di una nuova serie di articoli, Viaggiatrici nel grande Nord: premessa, che ci introduce all’odeporica al femminile e che ci terrà compagnia per tutto l’anno. Continuano poi le puntate delle nostre serie già conosciute. La donna nell’antica Cina. Donne d’eccezione è un articolo che descrive donne guerriere travestite da uomini, come Mulan, che vincono importantissime battaglie, o donne che scrivono precetti per altre donne e scoprono l’ingiustizia perpetrata da un sistema patriarcale che riserva l’istruzione ai soli uomini. Fantascienza, un genere (femminile). Italia, anni Novanta. Giovanna Repetto e Bianca Garavelli ci fa incontrare due autrici interessantissime, che hanno ereditato dai racconti dell’infanzia una grande immaginazione. Maria Antonietta alla Conciergerie è la quarta puntata della serie sull’eccentrica regina che abbiamo imparato a conoscere da vicino e che descriverà la sua fine con grande empatia verso di lei. Quanto resta dell’Unione Sovietica nella Russia di Putin? Il dicembre di Limes. CCCP un passato che non passa è un altro articolo della serie dedicata alla rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, che cerca di rispondere a questa domanda in un numero non puramente rievocativo ma fortemente legato all’attualità.
«È proprio vero che negli Archivi, pubblici e privati, e lo dimostrano tanti studi, si deve scavare con impegno per trovare tracce femminili», scrive l’autrice di Il merito femminile riemerge negli archivi dei Georgofili. E in questo archivio interessantissimo e ricco di documenti, consultabile anche online, situato purtroppo in una via tristemente famosa per una strage di mafia del 1993, riemergono quattro figure di scienziate cui fra Sette e Ottocento fu impedito l’accesso agli studi superiori, e dei cui lavori all’epoca non fu riconosciuto il valore scientifico.
A volte si entra nella storia anche se non si è stati musicisti eccellenti. È quello che è successo a Oscar “Papa” Celestin, l’entertainer di New Orleans di cui leggerete la vita e la carriera nel bell’articolo che ce lo presenta nel giorno in cui festeggiava il compleanno. Omaggio a J. R. R. Tolkien nel 130esimo anno dalla nascita è l’altro anniversario che dedichiamo al Padre del genere fantasy, che ebbe in vita il dono di una bellissima e lunga storia d’amore.
L’intervista di questa settimana, Madre Natura. La Dea, i conflitti e le epidemie nel mondo greco vede come protagonista la scrittrice femminista, ecologista e attualmente docente alla Libera Università delle donne Vittoria Longoni, in un articolo che prende spunto dal titolo del suo ultimo libro.
Il dicembre di Toponomastica femminile ci presenta le iniziative associative del mese appena trascorso, con un finale di fantasmagorici auguri per il nuovo anno.
Chiudiamo come sempre con la ricetta della settimana che questa volta è il Ragù di lenticchie, un piatto saporito e vegetariano che non ha nulla da invidiare al ragù di carne. Ed invitandovi a gustarlo in queste fredde giornate di gennaio, auguriamo buona lettura a tutte e tutti.
***
Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.