Danser encore è, al momento, il più grande successo de Les Saltimbanks, nonché l’opera più cantata e più ascoltata in Francia negli ultimi mesi, almeno tra la sinistra militante.
«Siamo animali viaggiatori, né docili né saggi, non siamo sottomessi all’autorità […], in ogni circostanza, (un po’ come Stéphane Hessel) rompiamo il silenzio».

Il 16 marzo 2020 Macron si presenta in televisione con un atteggiamento paternalistico. «Nous sommes en guerre», ripete più volte «l’eletto dalla provvidenza caduto dal cielo» nel discorso con cui vieta ogni contatto sociale, ogni uscita e ogni spostamento, elezioni a parte. Chiaramente, sospendere tutte le libertà individuali è per il bene della Patria. «E quando la sera in televisione Sua Maestà il buon Re ha parlato, venuto ad annunciare la sentenza, noi ci mostriamo irriverenti, ma sempre con eleganza». L’irriverenza di HK con Danser encore è più morbida dell’illegalità di Manu Chao con Free the people e della rage, la rabbia furiosa, di Keny Arkana con Violence Masquée. Anzi, è un’irriverenza delicata e quasi “carina”, gentile come i modi francesi, che si manifesta con la musica e la danza in un contesto in cui ballare e festeggiare è vietato: «vogliamo continuare a ballare ancora, vedere i nostri pensieri abbracciare i nostri corpi, passare la vita su una sequenza di accordi», recita il ritornello della canzone.
Il brano descrive la vita delle persone dopo il già citato discorso del «buon Re»: «auto, metro, lavoro, negozi, autoattestazione che firmiamo, assurdità imposta per decreto, e guai a chi pensa, e guai a chi danza». «Ogni misura autoritaria, ogni stretta securitaria vede volar via la nostra fiducia».Ed esorta alla resistenza: «Non facciamoci impressionare da tutta questa gente irragionevole, venditori di paura in abbondanza, angoscianti fino all’indecenza, teniamoli a distanza».
Durante l’ultimo inverno, Danser encore è stata cantata ovunque, diventando la colonna sonora di tutti i flash mob e le iniziative con cui la popolazione francese si è opposta alle «misure autoritarie» e alle «strette securitarie» citate nella canzone. Occorre tenere a mente che tutto ciò è avvenuto dopo quattro anni di mandato di un presidente già molto contestato: mettere in isolamento («confiner») più volte la Francia ha aiutato Macron, in nome della sicurezza, a spegnere le ondate di scioperi seguite al taglio delle pensioni (Réforme des retraites) e dei sussidi di disoccupazione (Réforme des allocations chomage), sussidi che in Francia sono sempre stati molto “generosi”, e poi di varare la legge che aumenta i poteri della polizia e vieta di filmare le violenze in divisa (Loi Sécurité globale) e quella che criminalizza l’intero mondo musulmano e la sinistra antirazzista (Loi islamogauchisme). Il secondo confinamento francese è stato violato dalla popolazione parigina proprio per dar vita a una grande manifestazione contro le violenze di polizia e, soprattutto, contro la legge che le difende, una mobilitazione tanto grande da mettere in difficoltà l’esecutivo che ha varato la norma mentre riunirsi in piazza per esprimere il dissenso era vietato. Dunque, l’imposizione del Pass Sanitaire (che spesso in Francia viene ironicamente chiamato «Pass nazitaire»), che toglie il lavoro a chi non obbedisce al governo e discrimina le persone a seconda delle scelte fatte, non è una questione isolata, ma è anzi la goccia che fa traboccare il vaso di un “macronismo” che già prima raccoglieva sempre più ostilità. L’ultima strofa della canzone chiarisce che resistere al confinement è «per la nostra salute mentale, sociale ed ambientale», come a voler dimostrare che questa lotta non è affatto separata da tutte le altre, che le persone che ora lottano contro l’obbligo del Pass sanitaire (e non contro il vaccino in sé) sono le stesse che prima si battevano per riaprire le frontiere, chiudere le centrali nucleari e ridistribuire le ricchezze. Nelle oceaniche manifestazioni antipass che hanno riempito tutte le città francesi negli ultimi mesi, infatti, si uniscono persone di vari schieramenti ideologici (è stata anche Marine Le Pen, apparentemente acerrima rivale dell’attuale presidente, a cavalcare la rabbia francese in materia di libertà individuali per fini propagandistici) ma l’unica bandiera di partito sempre presente è quella de La France Insoumise e «Stop confinement» è diventato uno degli slogan principali dei Gilets Jaunes; inoltre molti slogan, come «il mio corpo, la mia scelta» («mon corps, mon choix»), ricordano quelli delle manifestazioni femministe dell’8 marzo e per il diritto alla libera scelta sull’interruzione di gravidanza. Les Saltimbanks sono la cassa di risonanza di questo nuovo movimento, eterogeneo ma prevalentemente sinistrorso.
Nonostante la tensione di questo momento, Danser encore è un brano lento, fatto apposta per ballare.
Nel giro di poche settimane, Danser encore arriva in Belgio, Grecia, Spagna, Germania, Portogallo, persino in Messico, più in fretta dello stesso virus che l’ha generata, dando alla band di Lille una visibilità che lo stesso HK non si sarebbe mai aspettato. Tra il personale sanitario licenziato per non aver obbedito al governo inizia a circolare la canzone Soigner encore (Curare ancora), sulle note del brano de Les Saltimbanks.
Insieme a Danser encore esce anche Laissez-nous travailler (Lasciateci lavorare), in un contesto in cui la vita è ridotta all’essenziale. Ma chi è davvero “essenziale” e chi non lo è? «È così che ci opponiamo a Sua Maestà il presidente, perché tra lui e noi si pone la questione di sapere chi è veramente “non essenziale”». È forse “non essenziale” il lavoro di un musicista, o di un artista in generale? «Possiamo veramente fare a meno dei cinema e vivere una vita securitaria e virtuale?». Che senso ha che sia tutelata la sopravvivenza, se è vietato essere felici? A lavorare e produrre si può andare, ma a divertirsi e rallegrarsi no: allora è la felicità quella che non si deve contagiare? Risponde HK con il sorriso: «Lasciateci lavorare, vogliamo rendere le persone felici. Lasciatele respirare, la felicità è contagiosa».
Il video ufficiale della canzone mostra musiciste e musicisti, danzatrici e danzatori mentre lavorano producendo arte e bellezza davanti al teatro di Avignone «chiuso fino a nuovo ordine».
Lavorare non basta, bisogna anche gioire. E dunque Toi et moi, ma liberté, anch’essa contenuta nell’album appena uscito Danser encore, è una canzone d’amicizia, o forse d’amore. Il suo ritornello è dolce: «è qui che tutto ha inizio, il tempo può fermarsi per una nuova danza: io e te, la mia libertà». Alla classica formazione del gruppo si aggiungono un flauto dolce e un ukulele. «Stasera la città è addormentata, gli umani hanno la testa altrove, (ma) sai che per te, amica mia, canterei per delle ore».A cosa si riferisce? A nulla di preciso, o a qualsiasi cosa. Di nuovo, la Libertà si esprime sotto forma di danza gioiosa: come Stéphane Hessel, HK combatte per rompere il silenzio, che stavolta è il silenzio di un Paese confiné, in isolamento, messo a tacere (ad esempio, a partire dall’agosto scorso, con la Loi sanitaire, di cui Mélenchon è tra i principali critici, ai docenti a scuola e ai medici negli ospedali è vietato criticare le scelte governative in materia di sanità, pena il licenziamento) ma, come in Citoyen du monde, l’unico esercito ammesso per tale combattimento è quello della pace e dell’amore (concetto non affatto scontato, per un francese figlio di algerini…). Nel video ufficiale della canzone, a ballare sono dei bambini e delle bambine, con la loro innocenza e il loro sorriso, davanti a quello che prima era un teatro.
Come in Circo caliente di Manu Chao e in Se ti tagliassero a pezzetti di Fabrizio De André, la figura femminile invocata in questa canzone è proprio una personificazione della Libertà.
Probabilmente, negli ultimi decenni è stata la graduale ascesa dell’estrema destra razzista e xenofoba (con il Front National in Francia e la Lega Nord in Italia, per citare solo i casi europei più noti) a imporre il tema della “sicurezza”, sempre più centrale nel dibattito pubblico, in opposizione ai concetti di libertà individuale e di diritti sociali (come se la libertà e i diritti rendessero insicura la vita urbana). Dice HK a tale proposito: «Lei [la Libertà] è la nostra amica più preziosa, la nostra bussola, il nostro rifugio, il nostro cammino, la nostra lotta. Quando le persone incaricate di proteggerla la calpestano, finendo per farci perdere fiducia in ognuna delle loro parole e dei loro gesti, quando ci offrono come soluzione soltanto la divisione, il ricatto, la paura e la vergogna, allora è giusto ribellarsi per Lei, ognuna e ognuno a proprio modo, ovunque noi siamo, senza mai dimenticare le Sue sorelle fratellanza e nonviolenza, anch’esse di vitale importanza. E senza mai lasciarci convincere che la nostra Libertà possa rivelarsi nemica della nostra salute. Vanno di pari passo: non dobbiamo perderle e non dobbiamo perderci. Questo periodo è complicato e confuso, non giudichiamoci gli uni e le une con gli altri e le altre, manteniamo i legami tra di noi e l’onesto rispetto della libera espressione delle opinioni contrarie».
Del resto, non bisogna dimenticare che la Libertà, cara alla sinistra d’oltralpe, è uno dei tre concetti chiave della Rivoluzione francese e uno dei pilastri culturali della République.
Nell’album Danser encore è contenuto anche il brano Dis-leur que l’on s’aime, dis-leur que l’on sème. Il titolo contiene il gioco di parole tra on s’aime (ci amiamo) e on sème (seminiamo), la cui pronuncia è la stessa.
«Di’ loro che ci amiamo, che questo ci fa bene, ci teniamo per mano, perché questo dovrebbe essere un problema? Di’ loro che seminiamo, che questo ci fa bene, no, noi non siamo un problema, siamo il mondo di domani». È proprio dall’amore, dagli abbracci, dalla solidarietà, dalla voglia di stare insieme che nascerà il nuovo mondo, quando, alla fine di questa crisi, riscopriremo l’importanza del contatto fisico. «Di’ loro che è così che nascono le colombe, di’ loro che è qui che nasce il nuovo mondo». «Di’ loro che ci ritroviamo quando il mondo si isola […] come quegli uccelli che cantano […] felici e indocili»: di nuovo come in Danser encore, sono gli uccelli a personificare e rappresentare la Libertà, dal momento che ci si riferisce proprio alla Libertà logistica, quella di viaggiare, di ballare e di incontrarsi. «Di’ loro che siamo uniti, di’ loro che siamo insieme, di’ loro che siamo vivi su questa terra che ci unisce».
Anche l’inizio di Laissez-nous travailler celebra, con nostalgia, il mondo com’era prima di questa crisi: «nei grandi centri commerciali ci infiliamo, ci ammassiamo ci incolliamo, ci intasiamo nella metro mentre i nostri figli sono insieme a scuola; in aereo in pullman o in treno siamo centinaia di migliaia ogni giorno a poter viaggiare senza che ciò faccia nulla di male».
«Abbiamo voglia di ballare, di abbracciarci, di essere felici, di stare insieme», spiega HK, più volte intervistato di recente, con la mascherina chirurgica in mano e il sorriso ben in vista (come è evidente dai filmati): oggi un abbraccio non è solo uno sfogo giovanile ma un gesto politico di ribellione alle imposizioni, «per i nostri sorrisi e la nostra intelligenza non restiamo senza resistere, strumenti della loro demenza», come ricordato negli ultimi versi di Danser encore.
Pour les autres è dedicata ai medici e alle mediche, agli infermieri e alle infermiere e a tutto il personale sanitario che «da dieci giorni, da mille anni, dall’alba dei tempi», e in particolare negli ultimi mesi, aiutano chi sta male. Non è una canzone buonista né scontata, è anzi estremamente seria. «Le amiamo e le ammiriamo, ma ecco che se reclamano aiuto per curarci è un dramma. Mascherine e guanti: chiedono forse la Luna?».
Nel video ufficiale della canzone si vedono scene di manifestazioni in cui il personale medico e paramedico, con caschi e maschere antigas, fugge dalla polizia che risponde armata alle loro richieste; anche la rapper marsigliese Keny Arkana, nel brano Violence Masquée, accusa i governanti di essere «gli stessi che hanno i soldi per sparare lacrimogeni contro le persone ma non per curarle». «Rendiamoci conto, è una vergogna come le esponiamo» ai rischi. «E quando una di loro un giorno si lamenta, il Presidente replica: “non ci sono più mezzi per gli ospedali pubblici”». Abbiamo forse mai sentito un leader politico dire che non ci sono abbastanza soldi per pagare le spese militari o gli stipendi dei senatori?
Il brano rende omaggio a questa categoria bistrattata, mandata ora al macello senza gli strumenti necessari per affrontare le difficoltà, dopo decenni di tagli alla sanità pubblica, tacciata da molti politici di essere uno spreco di denaro. «Si battono per gli altri, per il proprio onore e per il nostro», recita il ritornello, mentre il video mostra un’infermiera di Rouen che ricorda a Macron l’urgenza di fondi e mezzi negli ospedali.
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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.