L’ultimo numero del 2021 di Limes – Lo spazio serve a farci la guerra

Il tema affrontato in questo numero della rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo non è di quelli che più mi appassionano. Come donna, lo sento estraneo ed avvicinarmisi ha richiesto «un piccolo sforzo iniziale», parafrasando una canzone di Gaber. Leggendo i vari contributi, prevalentemente maschili, l’interesse è aumentato, come spesso accade. Vi si parla di geopolitica dello spazio, ricordando che esistono due tipi di spazio, che a volte si incrociano: lo spazio dell’utopia, della visione, dell’esplorazione, della fantasia, della ricerca scientifica e dell’astronomia, quello che a me piace di più, e lo spazio in cui le grandi potenze cercano di dotarsi degli strumenti più sofisticati per colpirsi sulla Terra. L’editoriale del direttore, Space oddities, che richiama un 45 giri di David Bowie, caro, come il Major Tom perduto nello spazio, all’adolescente che ero, è come di consueto ricco di spunti e di richiami alla storia e alla letteratura.

Lo spazio ha da sempre affascinato il genere umano, ma c’è una data, il 4 ottobre 1957, che ha cambiato la relazione tra noi e il cosmo.

In quella data l’Urss lanciò in orbita il primo “compagno di viaggio”, sputnik in russo, e niente è più stato come prima. Oggi sono in gara per la conquista dell’egemonia nello spazio Usa, Russia e Cina. India, Giappone, Iran, Israele, Francia, Italia sono tutti ulteriori aspiranti e gli articoli del volume ce lo raccontano. «Fino all’altro ieri res nullius, ― ci ricorda Caracciolo ― dal 1967 spacciato res communis omnium ― niente meno che «provinciadell’intera umanità» ― daltrattato Onu per lo Spazio extra-atmosferico, l’ambiente cosmico a noi prossimo è ormai res disputanda». L’editoriale si sofferma anche sul “fattore umano” e indaga sui termini cosmonauta e astronauta scelti rispettivamente dai russi ( e prima ancora dai sovietici) e dagli americani.

Un cenno è fatto anche al cosmo come incantamento e sogno, con un richiamo a Imagine di John Lennon e al suo appello alla fratellanza universale, «messaggio rivoluzionario in veste pacifista», che però appare sbiadito alla luce degli interessi messi in capo dalle varie potenze, Usa, Cina e Russia in primis, e dagli imprenditori spaziali.

Le orbite spaziali si dividono in tre fasce: orbite basse, che vanno dai 200 ai 2000 km di altezza dalla Terra, in cui sono concentrati moltissimi satelliti-spia che consentono di individuare con risoluzioni centimetriche tende di terroristi nel deserto e sono molto importanti anche per le comunicazioni, decisive per il controllo della Terra, ma hanno il difetto di essere troppo veloci e di rendere difficile decifrare le comunicazioni troppo rapide; la fascia intermedia di 20.000 km dalla Terra, utile per i satelliti di radionavigazione e posizionamento, che consentono di essere in visibilità per molto tempo ai ricevitori terrestri; infine la fascia geostazionaria, in cui i satelliti sembrano fissi a chi li osserva dai telescopi, perché si muovono alla stessa velocità angolare della Terra. Ideali per l’osservazione del Pianeta, rappresentano un’orbita talmente affollata che è stata necessaria una regolamentazione, come ricorda Caracciolo nell’editoriale.

Proprio dal contributo che mi ha interessato di più, perché tratta della regolamentazione dello spazio, l’articolo di Alessandro Bellodi dal titolo Di chi sono i corpi celesti, voglio iniziare questa volta.Della questione si occupa il Trattato sullo spazio extra-atmosferico (Ost), “la Costituzione dell’esplorazione spaziale”, scritto negli anni Sessanta, dopo il lancio della sonda Sputnik nello spazio. Molti lo ritengono superato e inidoneo a regolare sia la guerra spaziale sia la massa di detriti che orbiterà intorno alla Terra e che in futuro potrebbe impedire l’esplorazione dello spazio. Secondo questo Trattato Onu «l’esplorazione e l’utilizzo dello Spazio extra-atmosferico devono aver luogo per il bene e nell’interesse di tutti i paesi e la ricerca e l’utilizzazione saranno aperte a tutti gli Stati senza discriminazione alcuna». Oggi, nell’era della Space economy, le corporation e gli organismi internazionali sono interessati allo sfruttamento commerciale dello spazio. Pertanto trattati come questo non andrebbero più bene, sarebbero superati. Gli Stati si muovono in ordine sparso ingolositi dagli asteroidi e dai Pianeti. Secondo Goldman Sachs: «un asteroide delle dimensioni di un campo da calcio contiene metalli per un valore di 50 miliardi di dollari e i costi per costruire un veicolo spaziale in grado di estrarli ammonterebbero a meno di 3 miliardi di dollari». Possiamo immaginare dove questa banca in cui ha prestato servizio il nostro Draghi potrebbe investire nei prossimi decenni. Gli asteroidi sono rocce che contengono ferro, nichel, cobalto, tungsteno, platino e oro, oltre ad ammoniaca, nitrogeno e ossigeno. Ma anche la Luna, come qualcuno suggerisce, potrebbe fornirci molte risorse. Le imprese di Bezos e Musk, secondo la legislazione attuale, oggi sarebbero fuori legge ma al momento si trovano, al pari di quelli di altri soggetti, in un limbo giuridico. Un altro problema messo in luce da Bellodi riguarda la montagna di detriti prodotti dall’enorme quantità di satelliti che le imprese spaziali di Musk e Bezos, ma anche quelle cinesi, la Nasa e altre Nazioni stanno lanciando nelle orbite basse, ingolfandole. Tanti temono la sindrome di Kellers che, come ricorda l’autore, è «uno scenario in cui il volume di detriti spaziali che si trovano al suo interno renderà impossibile per molte generazioni l’esplorazione spaziale e l’uso degli stessi satelliti artificiali. Dopo la Terra, l’umanità, se non intraprenderà azioni coordinate e multilaterali, rischia di danneggiare in modo irreversibile anche lo Spazio che la circonda». Leggere questo ed altri articoli di questo numero mi ha fatto pensare all’espressione di Spagnulo “Antropocene dello spazio”.

La rivista si divide in tre parti: Il dominio americano e i suoi nemici, Homo cosmicus? e L’Italia fra satelliti e sfidanti.

In Look up: l’America innalza il suo limes cosmico Federico Petroni ci ricorda che la Space Force, istituita nel 2019,e lo Space Command, riattivato nel 2017, hanno il compito di proteggere quotidianamente i satelliti americani da attacchi provenienti da Russia e Cina. La Space Force è deputata al look up, lo sguardo dal basso in alto, in tempi di guerra fredda compito assegnato alla Nasa, lo Space Command al look down, cioè allo sguardo dall’alto in basso, «pane quotidiano di Forze armate e intelligence, ossessionate di vedere e controllare tutto, immagazzinare ogni dato». Oggi anche i militari dello Space Command guardano in alto, per proteggere i numerosissimi satelliti americani da attacchi che avvengono in varie forme, non necessariamente distruggendoli, ma mettendoli fuori uso anche con armi a energia diretta (laser), con la guerra elettronica (jamming e spoofing contro i sistemi Gps e simili), con armi co-orbitali, che sparano proiettili al bersaglio o lo abbordano per mandarlo fuori traiettoria. Senza contare gli attacchi cibernetici. Tuttavia, come sempre accade quando un avversario comincia quasi a eguagliare la loro potenza, gli statunitensi rilanciano la sfida, portando ancora più in alto i loro satelliti, nello spazio cislunare. In questa fase avranno bisogno dell’apporto sia degli attori civili (Nasa e altre agenzie) che di attori privati, come Musk e Bezos. Ce la faranno? La risposta è nell’articolo, che si ispira nel titolo al film di Adam McKay Don’look up e che contiene un’interessantissima illustrazione degli stemmi dei due apparati citati nel testo.

Gli stemmi di Space Force e Space Command

Le analogie tra il cosmo e il mare sono approfondite da Everett C. Dolman che, in Mahan negli astri. Perché l’America va nello spazio, ripercorre il pensiero dello stratega navale, equiparando la geopolitica spaziale statunitense a quella marittima e facendoci intuire le prospettive dello sfruttamento economico dello spazio. Nell’articolo Il braccio privato dello Stato nel New Space Fabrizio Maronta ritorna ancora sul discorso della necessaria collaborazione delle forze spaziali americane, al momento non ancora pronte a uno scontro nello spazio, con quelle private di Elon Musk e Jeff Bezos (braccio privato dello Stato) e civili, come la Nasa e altre agenzie. Di preguerra parla Carlo Pelanda, in Probabili scenari delle guerre spaziali. Assai interessante la figura di Von Braun, scienziato tedesco dalle molte sfaccettature, nazista passato al servizio degli americani, raccontata nel contributo di Alfonso Desiderio, animatore di Mappa Mundi.

Cina e Russia si stanno da tempo avvicinando per cooperare nel settore aerospaziale. Soprattutto dopo il 2014, con l’aggravarsi delle tensioni tra Usa e Russia, è cresciuto l’interesse delle due parti a collaborare. Nel 2019-21 la cooperazione russo-cinese è cresciuta nel settore dell’ingegneria aerospaziale civile, delle apparecchiature di comunicazione e dell’intelligenza artificiale. Nel novembre 2018 Mosca e Pechino hanno firmato un importante accordo relativo all’integrazione dei sistemi satellitari globali di navigazione russo Glonass e cinese BeiDou-2, comparto particolarmente promettente che potrebbe portare a una maggiore precisione del funzionamento di auto senza pilota e droni 7. Nel 2021 è stato inoltre firmato un accordo di cooperazione per la costruzione di una stazione scientifica lunare, come ci ricorda, nella traduzione di Martina Napolitano, Vasilij Kašin in La Russia cosmica non rinuncia alla Cina. Molti di questi progetti congiunti, soprattutto in campo militare, sono ancora segreti e, a parere dell’autore, potrebbero incontrare ostacoli finché «Russia e Cina terranno fede alle loro agende tecnonazionaliste, salvaguardando con attenzione l’indipendenza e l’autosufficienza delle proprie industrie spaziali nazionali». Giorgio Cuscito su questo punto scrive cose ancora più interessanti.

Partendo dalle parole del capo del programma di esplorazione lunare cinese Ye Peijian: «Abbiamo perso il nostro diritto sul mare durante la dinastia Ming. L’Universo è un oceano, la Luna rappresenta le isole Diaoyu, Marte è l’atollo Huangyan. Se non andiamo lì ora pur essendone capaci, saremo criticati dai nostri discendenti»; il collaboratore di Limes riflette sul doppio salto mortale che la Cina deve compiere per diventare dapprima potenza marittima e poi potenza spaziale, dovendo convincere di questo innanzitutto la sua popolazione. Di Argencina si parla in un altro interessante articolo, che individua i legami tra Cina e Patagonia in campo spaziale.

La seconda parte si apre con un’intervista al Ministro Cingolani, che suggerisce lo sfruttamento della Luna e dei Pianeti per rimediare all’aumento della popolazione e ai danni prodotti dal riscaldamento globale e dal saccheggio della Terra, unica soluzione possibile. Ecco alcune delle riflessioni di un membro del nostro Governo: «Siamo una razza nomade, che nel corso della sua esistenza ha usato il nomadismo per reperire risorse. Questo ci ha portato a espanderci progressivamente sulla Terra, fino a occuparne interamente le zone abitabili e a sfruttarne in modo crescente, massiccio, totale le risorse. Da questo punto di vista, l’uomo biologicamente parlando è un parassita. È l’unico animale che non si adatta all’ecosistema, ma lo altera per adattarlo a sé. Nel farlo produce enormi quantità di scarti difficili, se non impossibili da “metabolizzare” per l’ambiente – la cosiddetta economia lineare. Ha inoltre una capacità di desiderare, dunque di consumare, pressoché illimitata che di nuovo lo distingue dalle altre specie, le quali consumano solo il necessario restando in equilibrio con la natura che le sostenta. Abbiamo così stravolto la biodiversità, trasformato il pianeta in un’enorme dispensa dove una decina di specie animali fa due volte e mezza la massa dei quasi 7,8 miliardi di esseri umani attuali…». E ancora: «… le economie affermate come la nostra hanno fatto un calcolo cinico e malgrado la retorica lo stanno attuando. Il calcolo è il seguente. Concedere alle moltitudini dei paesi in via di sviluppo il benessere cui giustamente aspirano richiede una tale quantità di risorse – anche e soprattutto energetiche – da accelerare, e molto, il già rapido deterioramento ecologico. D’altro canto noi non intendiamo compromettere il nostro tenore di vita; anzi, per ragioni di agio e pace sociale miriamo ad accrescerlo ancora. Abbiamo dunque risolto cinicamente il dilemma: neghiamo a una parte abbondante dell’umanità l’energia che le occorre per uscire dalla povertà.
Parallelamente, abbiamo preso atto che il danno climatico è in parte già fatto… Quindi abbiamo messo in conto che aree densamente abitate dei paesi meno abbienti si desertifichino o soccombano alle inondazioni. E costruiamo alacremente barriere per respingere la risultante emigrazione. A queste persone, insomma, lasciamo due alternative: vivere e morire di stenti nei loro paesi o affrontare viaggi della speranza per venirsi a schiantare contro i nostri muri. Sotto questa luce impietosa, la colonizzazione dello spazio assume contorni differenti. Pur non essendo ovviamente un negazionista, quel che temo di più non è il cambiamento climatico in sé ma la destabilizzazione sociale che comporta e il modo in cui le economie sviluppate hanno scelto di (non) affrontarla».

Da leggere un approfondimento sul cosmismo russo e sulla figura dello scienziato Konstantin Eduardovič Ciolkovskij, a cui recentemente Putin ha dedicato una città, con un inedito dello stesso, Filosofia cosmica, e un articolo sul “gemello digitale”, che avevamo imparato a conoscere con il film Apollo 13 di Ron Howard, digital twin che potrà interessare chi si occupa di informatica e ingegneria e su cui stanno investendo le imprese della Silicon Valley e Musk.

L’Italia spaziale da terzo grande a satellite di chi? è l’approfondimento di Spagnulo che ci racconta la vicenda del satellite San Marco 1 che il 15 dicembre 1964 partì dalla base Nasa di Wallops Island (Virginia) lanciato da un razzo americano, lo Scout, collocandoci al terzo posto dopo Urss e Usa e che ricorda «Broglio, Amaldi, Buongiorno, Picardi e tanti altri che hanno piantato i semi di un’Italia spaziale che oggi è un albero con alcuni rami forti e altri fragili, ma che ha messo radici da fertilizzare con intelligenza per rendere il nostro paese all’altezza delle sfide attuali sulla Terra come nello Spazio». Spagnulo approfondisce i rapporti dell’Italia in campo aerospaziale con gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Francia, anche alla luce del recente Trattato del Quirinale, quella Francia che è la prima potenza all’interno dell’Unione in campo aerospaziale ma con cui le industrie aerospaziali italiane sono fortemente interconnesse.

Altri articoli della rivista approfondiscono la posizione del Giappone, ricordando che per lungo tempo in questo Paese «i princìpi per l’utilizzo pacifico dello Spazio sono stati concepiti quasi come norme costituzionali e in quanto tali assunti a guida del settore aerospaziale», quella della Turchia, della Francia e dell’India. Un articolo molto interessante è anche Saremo ancora gli stessi nelle colonie spaziali? che si apre così: «Stephen Hawking ha spesso sostenuto la necessità per Homo sapiens di avviare al più presto l’esplorazione interplanetaria, dato che – a suo avviso – la nostra sopravvivenza sulla Terra sarà possibile ancora per qualche centinaio di anni, forse anche meno. Catastrofi naturali e provocate dalla specie umana, pandemie e cambiamenti climatici non sembrerebbero lasciarci altra alternativa». Nel prosieguo dell’articolo si fanno esercizi di utopia o di distopia, anche con l’aiuto di Clarke e Asimov.

Sarò probabilmente definita post-storica da chi collabora alla rivista, ma mi ostino a sperare che l’enorme quantità di denaro utilizzato per le imprese aerospaziali possa essere diretto a fini umanitari e non a farci la guerra. Per questo mi permetto di riportare in conclusione nove principi del Trattato Onu sullo spazio, che Bellodi ricorda in una nota del suo articolo e che sono ancora in vigore: 1) esplorazione e utilizzazione dello Spazio extra-atmosferico per il bene e nell’interesse dell’umanità intera; 2) libertà di esplorazione e utilizzazione dello Spazio e dei corpi celesti per tutti gli Stati su una base di uguaglianza e in conformità con il diritto internazionale; 3) principio di non appropriazione nazionale dello Spazio e dei corpi celesti; 4) applicabilità del diritto internazionale, inclusa la Carta dell’Onu, alle attività spaziali degli Stati; 5) responsabilità internazionale degli Stati per le attività nazionali da loro esercitate nello Spazio; responsabilità delle organizzazioni internazionali e degli Stati membri per le attività spaziali imputabili alle organizzazioni; 6) obbligo per ogni Stato di tener conto, nelle sue attività di esplorazione e di utilizzazione dello Spazio, degli interessi corrispondenti di altri Stati ed eventualmente di accedere alla richiesta di questi ultimi di aprire delle consultazioni; 7) esercizio, da parte di ogni Stato, della sua giurisdizione e del suo controllo sugli oggetti spaziali immatricolati presso le sue autorità; obbligo di restituzione per gli altri Stati; 8) responsabilità dello Stato che ha effettuato il lancio e di ogni altro Stato che abbia posto il proprio territorio e le proprie installazioni a disposizione del lancio per i danni causati nell’atmosfera o nello Spazio; 9) obbligo di prestare assistenza agli astronauti considerati «inviati dell’umanità».

Mi piace chiudere con una frase di Valentina Vladimirovna Tereškova, la prima donna a volare nello spazio il 16 giugno 1963, a bordo della Vostok 6, che ribadisce un concetto chiaro a tutti gli esploratori spaziali: «Americani, asiatici, lo dicono tutti, lo dice chiunque sia stato nello spazio: tutti abbiamo visto la stessa cosa, che la Terra è così bella e così fragile. Dobbiamo proteggerla».

***

Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Avvocata per caso, docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...