Fantascienza, un genere (femminile). Italia, XXI secolo. Valeria Barbera e Romina Braggion

Teatralità e magia, filosofia e umorismo: questi i tratti salienti della napoletanità secondo Valeria Barbera, autrice di fantascienza, noir, horror (tre «generi di elezione»), che si è affermata con autorevolezza nel panorama della scrittura italiana speculativa a partire dal 2013, come testimoniano i premi e i riconoscimenti che ha ottenuto.

Valeria è nata a San Giorgio a Cremano il 5 dicembre 1967, da padre napoletano e madre sangiorgese: una città densamente abitata, che si estende senza soluzione di continuità rispetto al capoluogo, al quale è connessa dalla storica ferrovia Circumvesuviana; Napoli è lo sfondo, quando non la protagonista, della scrittura di Barbera, che nelle sue prove migliori coniuga science fiction e camorra, lingua partenopea e futuro possibile.

Ultimogenita di cinque fratelli e sorelle, in famiglia «a nessuno pareva interessare cosa avessi da dire – dichiara in un’intervista a La Zona Morta del 2014 – e se provavo ad aprire la bocca mi sovrastavano coi loro discorsi», e prosegue: «solo nei mondi creati dalla scrittura avrei potuto liberarmi del ruolo da ascoltatrice muta»; eccola, allora, in seconda elementare iniziare la stesura di un romanzo di fantascienza per piccoli lettori e lettrici, lasciato però incompiuto. Dovranno passare quasi quarant’anni perché Valeria Barbera riprenda a elaborare testi per il pubblico, anni in cui frequenta la facoltà di fisica presso l’Università Federico II di Napoli («nel mio corso eravamo soltanto tre donne», ricorda), si dedica allo sviluppo di software in informatica (altro ambito di soli uomini, o quasi), lavora come consulente on line di viaggi, quindi, a partire dal 2011 (dopo aver superato la selezione di una casa editrice) diviene una editor competente e apprezzata, riportando alla luce il proprio amore per la narrativa e per la scrittura. Un percorso umano e professionale ricco e articolato, che coniuga comunicazione e tecnologia, intrapreso con caparbietà e determinazione: «Non mi sono mai fatta dire dagli altri chi e cosa avrei dovuto essere: ho scelto da sola».

Amante della solitudine, dalla quale trae forza e riflessione («è solo lì che posso riascoltare la mia voce»), innamorata della bellezza dell’universo, vive a San Giorgio a Cremano con il gatto Nerino, adottato nell’autunno 2003.

Nerino, il gatto adottato da Valeria Barbera,
fotografato dall’autrice nel 2020

Il racconto che apre a una crescente affermazione di Valeria Barbera è Il labirinto delle realtà (pubblicato nell’estate 2013 dalla rivista Robot n. 69), che – ricorda l’autrice – piacque molto a Vittorio Catani, che dopo averlo letto coniò l’indovinata definizione di “fantascienza alla napoletana”. Ambientato a Torre Annunziata – comune della città metropolitana di Napoli e luogo delle coraggiose inchieste sulla camorra del giornalista Giancarlo Siani, assassinato nel 1985 –, presenta come protagonista Salvatore, carabiniere scelto che si è arruolato con il fermo proposito di combattere la criminalità organizzata e medicare un’ingiustizia cui ha assistito e un dolore che ha subito da bambino; antagonista è Mariano, affiliato alla camorra, descritta nella sua nascita e nella sua affermazione come il progetto di una intelligenza letteralmente diabolica, incarnata in un anziano contrabbandiere che se ne sta «accoccolato a terra» al mercato di Resina, «con l’aria assorta», vestito in pieno agosto «con cappotto e berretto di lana neri». Dall’acquisto di un misterioso accendino («con quell’aspetto così nuovo e agghindato, sembrava una minorenne al suo primo marciapiede: nero, lucido, con i fianchi dorati») ha inizio una vicenda che, sulla scia della migliore narrativa di Dino Buzzati, unisce con originalità viaggio nel tempo e flusso delle possibilità, dimostrando attraverso dieci brevi capitoli e altrettanti gradi di separazione come il reale sia una soltanto delle molteplici opzioni del probabile, e che variando un solo elemento ne conseguono effetti imprevedibili e fatali sulla vita di un uomo (Salvatore, in questo caso) e delle persone a lui care. Il racconto non solo coniuga fantastico e mercato rionale, demoniaco e verve napoletana, ma si avvale anche di una pluralità di registri espressivi, dall’ironico al tragico, che lo rendono piacevolissimo alla lettura, nonché di una tensione etica che dimostra come la science fiction sappia affrontare efficacemente ogni tematica (il primo camorrista–si legge – è stato creato «con una semplice frase: Bisogna fottere prima di essere fottuti. Le parole funzionano come virus e sono facili da inoculare»).

Salvatore, con la fidanzata e ora sposa Imma, è protagonista anche de L’altro Natale, flash fiction pure del 2013 che rappresenta una prosecutio de Il labirinto della realtà: «Pupille lucide di gioia. I bimbi spiraleggiano intorno all’albero come girandole», mentre (l’altro) Babbo Natale «scorrazza nell’omertà di Torre Annunziata. Non conosce pause, non prende ferie, lavora 365 giorni all’anno per prendersi i regali».

Napoli, il Monte Somma e il Vesuvio da Castel Sant’Elmo, al crepuscolo, nel dicembre 2021.
Il Vesuvio è tra i protagonisti di Eroe in prova di Valeria Barbera (archivio Coci-del Piano)

Nel 2015 DelosDigital dà alle stampe Eroe in prova, unico romanzo finora edito da Valeria Barbera: ed è un piccolo capolavoro. Il testo, pur essendo autoconcluso, appartiene alla serie Urban Fantasy Magazine ideata da Gabriele Manco: «una serie a episodi che ricalca la struttura di quelle televisive; – spiega Valeria in un’intervista rilasciata a missdarcy.it il 1° aprile 2016 – ogni puntata ha una sua trama verticale, ma rivela anche frammenti della trama orizzontale, la sua mitologia, che si arricchisce lungo il percorso grazie ai contributi dei candidati autori. È un’opera corale, una staffetta letteraria». L’idea di partenza è nel primo volume della Stagione 1, I Daimon di Pandora dello stesso Manco: i piccoli demoni detenuti nei server di Pandora Software Solution tentano di irrompere nella realtà con prevedibili effetti devastanti. Eroe in prova è il primo volume della Stagione 2 e vede protagonista Gianluca Fiorillo, che a ventitré anni ha già infilato una «catena di fallimenti» difficilmente eguagliabile: abbandonato bambino dalla madre, webmaster dalla professione precaria per clienti incompetenti e avari, rifiutato da Pandora Software Solution in seguito a un colloquio andato male e quasi lasciato anche dalla fidanzata Titti («non sarò più la pattumiera dei tuoi casini esistenziali», gli dice lei), sul proprio profilo Linkedin esibisce una «faccia da procione zombie, con la barba di tre giorni, due occhiaie nere come le notti passate a sbattere la testa sul PC e un paio di lenti modello Clark Kent abbarbicate su un naso troppo schiacciato». Eppure, proprio come l’alter ego di Superman, questo «piccolo e pazzerello eroe in prova» (la definizione è della scrittrice) dà prova di possedere fantasia, inventiva, coraggio, ovvero una straordinaria arte di arrangiarsi in linea con la sua spiccata napoletanità. Il nome Gianluca è un omaggio a Luke Skywalker, il personaggio di Star Wars preferito da Valeria Barbera: «smilzo, scemotto, senza uno straccio di muscoli, non sembra un eroe bensì un fallito, un ragazzino idiota inchiodato su un pianeta ai margini dell’impero, mentre gli adulti decidono le sorti della galassia. Eppure guarda cosa combina non appena gli danno l’occasione…» (dalla medesima intervista del 2016).

La genialità del romanzo consiste nell’intrecciare informatica e magia, spirito partenopeo e cyberpunk: Gianluca, proprio nel momento in cui è maggiormente perseguitato dalla sfortuna, si scopre dotato di un super-potere declinato in modo inedito, come del resto tutti gli eroi urbani della serie. Il giovane è infatti in grado di connettersi come amministratore con il cervello delle persone che incontra e con cui interagisce, dalla proprietaria di un piccolo supermercato che gli ha commissionato un sito web e ora va truvanno sce’sce’ per non pagarlo, all’avventore con fantasie alla Hannibal the Cannibal del (Caruso) Roof Garden di Napoli, con vista su Castel dell’Ovo; la connessione si stabilisce grazie all’url http://uèuèuè.nomecognome.acapasoja (siamo a Napoli, dunque a www si sostituisce uèuèuè, tipica espressione di richiamo ripetuta, mentre acapasoja significa ‘la sua testa’), che appare sulla barra degli indirizzi; e qui Barbera, con la sua professionalità informatica, ha davvero buon gioco. Gianluca, dunque, prescelto dalla misteriosa, «sensuale ma autoritaria» Thilli, che gli appare dal display del cellulare nelle situazioni più improbabili, si trova a essere «amministratore della coscienza collettiva», con una duplice mission impossible: salvare la fidanzata Titti da un vero orco e la città di Napoli da un’eruzione del Vesuvio. «Possibile che la somiglianza tra magia e informatica si spingesse fino a quel punto?» si chiede il protagonista. Anche oltre! Grande vivacità rappresentativa, ritmo indiavolato (soprattutto nella prima parte), lingua espressiva e colorita, capacità di inanellare senza soluzione di continuità sequenze di azione, immagini di gusto neomelodico, leggende napoletane, erotismo scanzonato, parentesi tragicomiche. Il romanzo è originale, spiritoso e… napoletano (un valore aggiunto!). Comme me piace ‘stu Eroe in prova! (ebbene sì: anche chi scrive è figlia, come Valeria, di padre napoletano).

Valeria Barbera in uno scatto del 9 ottobre 2015 (archivio Valeria Barbera)

L’universo narrativo di Barbera, denominato Nooverse, è centrato sul concetto di noosfera, la coscienza collettiva, vera e propria rete web delle menti in cui i cervelli sono computer e le menti siti. Concepito nel 2012, «il Nooverse – scrive l’autrice – esplora il legame fra mente e materia e le influenze dei virus mentali sul cervello e sulle decisioni».

Il labirinto dell’eros (2016) è un racconto di fantascienza pubblicato all’interno dell’antologia Hai trovato orgasmi nel collettore quantico, ambientato in parte nel mondo di materia, in parte nell’inconscio collettivo: erotico senza mai scadere nel pornografico, trasmette nella duplicità di reale e virtuale un senso di sottile inquietudine. Sguardi (pure 2016), flash fiction ascrivibile alla serie, vede la prima apparizione di due personaggi cari a Valeria, la scienziata Lara Infante, scopritrice della coscienza collettiva propriamente detta Noosfera, e il figlio Gino, creatore del suo clone tecnologico, denominato Noosphera: è un doloroso apologo sulla senescenza e il decadimento (dell’anziana non resta che «un guscio rinsecchito»), in una prosa partecipata e struggente.

Nel settembre 2017 Urania Collezione n. 176 apre nuovamente, e finalmente, alle voci emergenti della fantascienza italiana: Diversamente vivi è il racconto di Barbera con cui si avvia il nuovo corso. Ironico e arguto, discende per filiazione dalla short story Silly Asses (titolo italiano Razza di deficienti) pubblicata nel 1958 da Isaac Asimov, «il mio nume tutelare», come la scrittrice dichiara in un’intervista rilasciata il 5 marzo 2018 a Filippo Radogna di worldsf.it: «ho immaginato una storia divertente e leggera», che è al contempo «una dissacrante analisi della sbandierata apertura mentale degli scienziati»; nel testo si dimostra infatti come l’infanzia, con la sua capacità di sognare e provare stupore, sia più illuminata della scienza adulta, con il suo presunto rigore scientifico.

Datano al 2018 il brevissimo elogio della fantascienza Guardare verso le stelle, selezionato per la pubblicazione nella raccolta Italian Flash Speculative Fiction in Translation, per la diffusione della narrativa fantastica italiana nel mondo, e il bellissimo Se, dedicato ai genitori dell’autrice, compreso nell’antologia Visioni di realtà contigue.

«Assolato di giorno, fresco di notte. Un appartamento condominiale. Niente di lussuoso: cucina, soggiorno e due camere da letto. La mia stanza affacciava sul corridoio: a sinistra c’era la cucina; a destra la stanza dove dormivate tu e mamma. Dormivo anch’io quella mattina. Un riposo meritato, dopo giornate di tensione. […] Gironzolavo nel mio parco dei sogni quando la realtà scese a prelevarmi: nella voce di mamma riverberavano strani suoni…».

L’incipit è referenziale, quasi fotografico e cronachistico, pur con alcuni elementi connotativi: una sofferta esperienza autobiografica (di «figlia tagliata in due dal dolore») dà vita a una riflessione profonda, fantascientifica e filosofica a un tempo, sull’infinito numero delle possibilità, dalle quali ne emerge una, e una soltanto, per tradursi in realtà, per quanto sarebbe bastata la variazione di un unico elemento per determinare l’opposto: «Se soltanto quella mattina l’universo non avesse sbagliato strada…» (explicit del capitolo 4-A) oppure «Se quella mattina l’universo non avesse imboccato la strada giusta…» (explicit del capitolo 4-B). Anche in questo testo, che ha il ritmo e il significato di un’orazione laica, Valeria Barbera si dimostra scrittrice di classe, con la capacità di trascorrere da un affettuoso ritratto di famiglia in interno napoletano alla tragedia antica, eppure sempre nuova per chi la vive, della morte di una persona cara, con tale intensità che risulta impossibile non riviverla in proprio.

Copertine di Eroe in prova di Valeria Barbera (Delos Digital 2015) e di Dìstopia
(Urania Millemondi Estate 2020), antologia nella quale è pubblicato
il racconto Cogito Ergo Sum dell’autrice

Cogito Ergo Sum è l’ultimo racconto pubblicato, nel volume Urania Millemondi Estate 2020 dedicato al tema Distòpia nel primo anno di pandemia. Scritto nel periodo più buio del lockdown, presenta un futuro distopico coerente e articolato, nel quale lo slittamento dal reale al virtuale è portato alle estreme conseguenze (è infatti quasi completamente ambientato nella dimensione di Noosphera) e riprende, accanto alla protagonista Delia e alla compagna di questa Nyma, i personaggi di Lara Infante e del figlio Gino. Molteplici gli elementi cari alla science fiction contemporanea: il memorabile personaggio della nonna di Delia, l’ormai acquisita normalità di una famiglia queer, creature sintetiche come angeli custodi di un’umanità sempre più fragile. E il messaggio, doloroso e vero, che un istante di vita autentica vale più di un’intera esistenza virtuale.

Il Verbano e l’Ossola sono i luoghi della narrativa di Romina Braggion, scrittrice emergente nell’ambito della fantascienza italiana (e non solo): nel luglio 2021 riceve infatti il Chrysalis Award, premio europeo per autrici e autori esordienti, a conferma di un esordio folgorante. La prima pubblicazione di un testo di Romina giunta «agli onori della cronaca» data al febbraio 2020 (poco più di due anni, dunque) e a questa seguono altre prove convincenti e originali. Verbano e Ossola sono per Braggion paesaggi familiari e cari: nata a Desio (Monza e Brianza) il 18 luglio 1970, trascorre le estati nella campagna veneta e si trasferisce poi a Verbania, «a due passi dal Lago Maggiore e a quattro dalle amate montagne ossolane» (così recita la sua presentazione per Delos Digital, l’editore che dà alle stampe due tra le sue opere più significative, La compagnia perfetta, nel febbraio 2020,e Memorie di una ragazza interrotta, nell’aprile 2021).

Copertine di La compagnia perfetta e di Memorie di una ragazza interrotta di Romina Braggion, pubblicati da Delos Digital rispettivamente nel 2020 e 2021

«Ho la fortuna di vivere in una provincia ricca di cultura e di paesaggi naturali di ineguagliabile splendore – afferma in un’intervista rilasciata il 16 febbraio 2021 a Valeria Barbera per Andromeda –. Nel giro di sessanta chilometri si incontrano piccole pianure, tre laghi, cime alpine, il confine con un altro stato e un’altra regione italiana. Non saprei dire cosa preferisco, se scoprire angoli nascosti lungo le sponde lacustri, passeggiare in mezzo ai colori di fiori e alberi monumentali, ammirare la bellezza di palazzi e ville storiche o camminare in montagna. Di certo la montagna mi rilassa». Ed è nella pratica del cammino in solitaria («una forma di meditazione», dice) che Romina Braggion elabora scenari, costruisce vicende, dà vita a personaggi, donne e uomini, giovani e anziane. Esperta di comunicazione, se ne occupa a livello professionale per due aziende; nello spazio che concede a sé stessa si dedica alla scrittura: una passione «sopita per molto tempo, mentre la lettura mi ha sempre accompagnato» (ancora dall’intervista a Barbera), fino a che, in anni recentissimi, «una crisi esistenziale l’ha fatta uscire di nuovo allo scoperto». L’ispirazione ad ambientare trame fantascientifiche in luoghi cari e riconoscibili – il risultato è decisamente felice – viene da Daniela Piegai, che l’autrice riconosce come compagna di viaggio e di cui cita esplicitamente il secondo, visionario romanzo, Ballata per Lima. Il pianeta del riscatto (Nord, 1980); Romina ha anche il merito di aver ricordato al pubblico, dopo anni di colpevole silenzio, l’opera di Daniela, straordinaria anima guida della science fiction italiana: ciò è avvenuto grazie all’inserimento di Piegai nel progetto La Metà del Mondo («uno spazio di memoria amorevole» all’interno del Diario di ErreBi), che si pone la finalità di «raccogliere e conservare le orme lasciate dalle donne fantascientiste e non solo», le stesse «donne che mi tengono compagnia con i loro scritti, mi fanno riflettere, mi commuovono e mi stupiscono» (pure dall’intervista a Barbera), in risposta al «senso di ingiustizia suscitato dall’oblio delle donne protagoniste della storia ma dimenticate dagli uomini», avvertito in quanto «donna madre, moglie, lavoratrice, piena di hobby e passioni».

In questa dichiarazione di intenti c’è tutta Romina Braggion: amante della parola e del piacere del camminare, conoscitrice di piante officinali e cuoca d’eccellenza, fondatrice – insieme con Giulia Abbate, Franco Ricciardiello, Silvia Treves – di Solarpunk Italia, il movimento che «immagina un futuro migliore, coltiva la speranza, pratica la rivolta, rigetta il capitalismo, include umani e non umani». Perché Solarpunk? Solar rinvia a una visione positiva, a un futuro nel quale donne e uomini sappiano progettare e porre in atto cure e soluzioni per i grandi mali che l’essere umano ha causato alla natura e a sé stesso, sotto il profilo ambientale, economico, sociale: non un’umanità perfetta prossima ventura, ma in cammino, ad apocalisse ormai avvenuta. Punk rimanda invece all’attivismo e alla ribellione nei confronti di un sistema ingiusto e discriminatorio, che ha causato danni (quasi) irreversibili all’ambiente, dolore e morte agli esseri umani e, anche, ad animali e vegetali, considerati a pieno titolo portatori di dignità e diritto alla vita; attivismo e ribellione, però, che non si propongono di distruggere, bensì di costruire scenari alternativi possibili. Il Solarpunk, dunque, si fonda sulla «speranza di un futuro migliore» e sulla «possibilità concreta di costruirlo» (così il Manifesto del movimento, in solarpunk.it), superando la distopia e al tempo stesso acquisendo la consapevolezza che l’utopia non è realizzabile. «Il Solarpunk si lega alla mia intimità: – dice ancora Braggion – se si evidenzia un problema, cerco cento modi per risolverlo, anche i più assurdi. Analizzare una situazione critica e lavorare per superarla mi entusiasma e rinvigorisce, ecco perché sono appassionata di questo genere», del quale per altro è voce autorevole: basti citare i suoi contributi teorici su Robot n. 91 dell’inverno 2020, con Franco Ricciardiello (L’utopia che deve esistere: il solarpunk è la fantascienza del XXI secolo?), e su Un’Ambigua Utopia n. 11 del novembre 2021 (Immaginare il nostro futuro: un’aporia).

Romina Braggion, dicembre 2019
(Alessandro Balossi, Omegna)

Esprime questa ricchezza concettuale il racconto lungo La compagnia perfetta, che al suo interno presenta il decalogo dei Nuovi Comandamenti: «riproduciti, non uccidere, non attaccare, non sprecare, non desiderare il superfluo, vivi in armonia con la Terra, vivi in armonia con l’umanità, vivi in armonia con te stesso, aiuta il tuo prossimo, condividi».

La prima sensazione alla lettura è lo straniamento che deriva dalla commistione, originale e riuscitissima, tra elementi della vita rurale e montana e suggestioni di una tecnologia che appartiene a un futuro indeterminato e remoto, nel quale convivono umani di statura più bassa rispetto a quella odierna e cloni impiegati a coadiuvare donne e uomini nel lavoro agricolo e di sussistenza, nonché adibiti a compagnia; un futuro nel quale si consolidano famiglie queer, poligamiche ma funzionali, e si coltivano competenze accurate di botanica e zoologia, ovvero raccolta di piante commestibili e officinali e allevamento di animali, necessari alla sopravvivenza della comunità, vera parole chiave dell’opera. Una comunità che vive in una cerchia di baite, coesa e solidale perché non è possibile altrimenti («questo succede durante e dopo le catastrofi; – Romina Braggion a Valeria Barbera, a proposito dell’opera – l’essere umano attiva la vera cooperazione, senza scopi e senza lucro, solo se costretto e in una fase di completa incertezza»), una comunità che ha recuperato valori tradizionali positivi e non spreca nulla, riciclando e riparando, dopo aver assistito alla propria riduzione di numero, perché «la sterilità ha colpito ogni specie vivente, nessuno escluso» ed è questo «il nostro castigo per essere stati le locuste di questo pianeta». La trama è scarna, il valore dell’opera risiede nell’ambientazione originale ed efficace, descritta con cura per i dettagli, mai banali; la figura del clone che rivendica spazio autonomo di pensiero e movimento (è paragonato a una «carta da gioco divisa a metà, un pezzo malvagio e un pezzo benevolo») non è nuova, ma i personaggi, in primis la protagonista Orso, sono reali e umanissimi, indagati nella loro complessità e nelle loro relazioni, restituiti a lettori e lettrici in modo autentico, quasi che Braggion li avesse concepiti guardando a persone vere, che appartengono al suo mondo affettivo e comunitario. Centrale, come per molte autrici della science fiction novecentesca, a partire da Katharine Burdekin, il tema della maternità, di un’umanità che stenta a riprodursi dopo un verosimile cataclisma ambientale che ha ridisegnato le coordinate geografiche note (Bologna si trova ora sul mare), maternità che rappresenta un evento desiderato e salvifico anche per Orso, donna dal destino non risolto, che tuttavia conosce un’evoluzione positiva, aprendosi all’empatia e alla comprensione.

Panorama dell’Alpe Devero, in Val d’Ossola, nel settembre 2016: qui è ambientato il racconto La compagnia perfetta di Romina Braggion (Stefano Zanetta, Domodossola)

Bellissimo il racconto Nero assoluto, pubblicato in Assalto al sole. La prima antologia solarpunk di autori italiani, dieci racconti di sei autori (due co-autori firmano insieme un titolo) e cinque autrici, del settembre 2020. Ilda è la voce narrante, una donna segnata dal dolore di una relazione disfunzionale raccontata in poche, intense frasi, che attraversa le tenebre della depressione: «Cosa provano i pesci sul fondo del lago? Giù nel nero, nel freddo, nel silenzio assoluto»… Il lago è il Maggiore – «che rapisce uomini e barche, ma colora le nostre mattine» (Vittorio Sereni) – e intorno al lago vivono e si muovono i personaggi della vicenda: la terapeuta Agata, che, come nei romanzi di Pat Cadigan, si pone in relazione diretta con la psiche della persona in cura; la palombara Shiloh, che attraverso la fusione condivide la discesa agli inferi del nero assoluto e disperato; il pescatore filosofo Pazienza, dalla «pelle odorosa di squame e di alghe», anziano e frugale; Nonna Carla, «un’ottima cuoca e una contadina esperta», nonché, per la protagonista, «supereroina, madre, immortale, amica», che pure sarà inevitabile lasciar andare una volta concluso il suo tempo; il figlio ritrovato Glauco… Un testo con elementi autobiografici, di straordinaria tensione narrativa, ricco di suggestioni cromatiche e olfattive («la vaniglia, il legno di rosa, la lavanda, la salvia, il vetiver e una punta di rosmarino mi carezzarono l’anima», dice Ilda), che racconta della vita e della morte, del dolore che lacera e della capacità di medicarlo, dell’oscurità nera e della gioia dei colori.

Altrettanto riuscito nelle atmosfere e nei personaggi – i punti di forza di Braggion – Regina di fiori, pubblicato nello spazio Econarrare di Zest nel novembre 2020. Nuova, memorabile protagonista è la grande anziana Ippolita, che con «la schiena irrigidita, il culo indolenzito, le formiche alle gambe», giunge a provvisoria destinazione in una comunità di matriarche immersa nella bellezza della natura ossolana, ove lascia «spaziare le poche diottrie sui prati coltivati a fieno, sugli alberi schierati in file ordinate, sul campo di fiori mosso dalla brezza, con il fiume Toce a delimitarne un lato sullo sfondo». La donna non è sola: con lei sono le preziose api, biologiche e cyborg, produttrici di miele pregiato, e il pappagallo Parlagallo, animale aiutante che con leggerezza e ironia ne contrappunta severità e rigore; il compito della protagonista è quello di istruire nell’apicoltura le giovani apprendiste, affidando la saggezza di un sapere che si tramanda da generazioni innumerabili al piccolo gruppo prescelto di donne e uomini, giovani e anziane, che custodiscono antiche tradizioni e utilizzano moderne tecnologie. Ippolita è una illuminata: consapevole e decisa, sa quando è tempo di andare, di prendere congedo dal mondo nella propria forma di donna, in un finale struggente e magnifico.

Lago Maggiore, l’Isola Madre dall’Isola Pescatori, all’alba, nel settembre 2020. Il Lago Maggiore è uno degli scenari di Memorie di una ragazza interrotta di Romina Braggion
(archivio Coci-Del Piano)

Memorie di una ragazza interrotta (aprile 2021) è forse il testo più celebre e ambizioso di Romina Braggion: è un romanzo breve che si colloca con sicura autorevolezza nella scia di Herland di Charlotte Perkins Gilman (1915), The Female Man di Joanna Russ (1975), Houston, Houston Do You Read? di Alice Sheldon/James Tiptree Jr., di cui per altro è menzionato in esergo un raggelante passo di The Screwfly Solution (1977): «Quando un uomo uccide la propria moglie è omicidio, quando sono in tanti a farlo è uno stile di vita». Il lancio in copertina è esplicito: «L’eliminazione del genere maschile non sarà barbarie, ma autodifesa», per quanto la vicenda non sia focalizzata sulla guerra tra i sessi, ma piuttosto, in una narrazione binaria, sul passato e sul futuro, sul prima e sul dopo, con il primo che rende ragione del secondo e quest’ultimo che presenta uno status quo ormai consolidato. La prima linea temporale (il passato) ha per protagonista l’adolescente Elisa, che narra in prima persona il rapporto con la madre-custode che la porta con sé in spostamenti continui, in rifugi disagevoli e solitari, senza possibilità di allacciare amicizie, consolidare rapporti, in fuga dagli uomini violenti e feroci che la giovane, letteralmente, sa percepire con l’olfatto, avvertendo una puzza di «maiale scuro e fetido». La seconda linea temporale (il futuro) pone al centro Ada, giovane sophista che vive in una comunità femminile dedita allo studio e alla speculazione, in una società dalla quale, semplicemente, gli uomini sono scomparsi, perché le donne hanno iniziato a non partorirli più: la generazione è comunque resa possibile dall’attribuzione del ruolo di matrice o nutrice assegnato a ciascuna componente della Famiglia di Fondotoce. L’ambientazione è infatti quella consueta a Braggion: il Lago Maggiore e il Lago di Mergozzo, Baveno e Stresa, l’Eremo di Vercio e la Riserva di Fondotoce; ancora, si segnalano personaggi femminili che assumono il ruolo di mentori significative e affidabili (così sono l’anziana Caterina per Elisa, l’insegnante Gobetti per Ada, con esplicito, doppio riferimento ad Ada Prospero Gobetti, intellettuale e resistente piemontese); non mancano, infine, puntuali e accurate notazioni gastronomiche: «Abbiamo alzato bicchieri di vino rosso, brindato alle malie, mangiato polenta, spezzatino, salamini e gorgonzola» (Elisa) e «Grigliata di persico salmonato, pane di castagne e budino mimosa con sciroppo di bambù. Delizioso» (Gobetti).

Il ritmo delle successive pubblicazioni di Romina Braggion nel 2021 è ancora più serrato: in luglio appare on line (minuticontati.com) il brevissimo Liberazione; in settembre, nell’antologia Metamorfosi della mente a cura di Gian Filippo Pizzo, il racconto Uno per quattro, una vicenda dolorosa, per alcuni aspetti ricollegabile a Nero assoluto, che presenta i temi della violenza e del trauma, delle molteplici identità, del senso di colpa e dell’amore materno, esaltato fino al sacrificio (o quasi) di sé; in novembre, sul n. 93 della rivista Robot, un terzo racconto, Indietro e avanti, con allusione ai viaggi nel tempo compiuti nell’arco di un secolo – tra 2092 e 2189 – dal protagonista Auro, «un metro e novanta per ottanta chili di muscoli», agente del dipartimento Ecochrono specializzato nel prelevare dal passato rei di crimini ambientali senza rimorso né pentimento: un bel testo, d’azione e d’amore, con echi dalla miglior science fiction, da The Demolished Man di Alfred Bester (1952) a Mindplayers di Pat Cadigan (1987).

Di prossima pubblicazione per Watson, nell’antologia Oltre la soglia a cura di Giulia Abbate, il nuovo, bel racconto A casa di Rita.

Romina Braggion, Bocchetta di Gattascosa, Val Bognanco, agosto 2020
(archivio Romina Braggion)

In ultima analisi, un curriculum di tutto rispetto per un’autrice che ha esordito soltanto due anni fa: «Verso la cima della montagna si guarda una volta sola per decidere la direzione, – dice Romina Braggion, scrittrice e camminatrice per passione, a Valeria Barbera, altra notevole autrice contemporanea – poi si abbassano gli occhi sul sentiero e si inizia a salire».

In copertina: Gino Andrea Carosini, Valeria Barbera e Romina Braggion.

***

Articolo di Laura Coci

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Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.

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