Un percorso al femminile per approfondire contemporaneamente la storia del Novecento, quella del Partito Comunista italiano e quella del femminismo è rappresentata senza dubbio dal libro che descrive la vita e le esperienze di Vittorina Dal Monte, Attraverso il Novecento.
«Sono nata nel 1922, non mi chiamavo Dal Monte Vittorina, mi chiamavo Coralli Vittorina, perché mia mamma mi iscrisse ai bastardini poiché le davano il sussidio e mio padre era in galera. […] Sono nata nel 1922, anno della marcia su Roma, da due braccianti poverissimi della bassa imolese, di Sesto Imolese, entrambi fondatori del Pci, che si era costituito un anno prima…». Così inizia il racconto dell’esistenza di una donna che ha scelto di dedicare la sua vita all’impegno politico prima, alla Resistenza poi, e infine al femminismo; una vita segnata durante l’infanzia dalla povertà e dalle durezze del mondo dei e delle braccianti, ma fortemente contraddistinta dallo spazio geografico in cui era nata e dal sogno, condiviso con entrambi i genitori, di un mondo migliore. Come la maggior parte dei figli e delle figlie dei fondatori e delle fondatrici del Partito che prometteva una rivoluzione e un cambiamento epocale a difesa degli ultimi/e e degli oppressi/e, in Vittorina si forma una vera e propria fede laica nel Pci, che la spinge a formarsi, a operare e a fare proselitismo per tutta la sua vita.
Una vita caratterizzata nella prima parte da spostamenti ed emigrazione, a Lipari, dove il padre è confinato e poi in Francia, nelle banlieu, a imparare il francese, tra arresti ed esilio del padre, “un sovversivo” per il regime, per poi tornare, negli anni in cui i/le migranti cominciano a essere scomodi/e per i francesi, in Italia, a Sesto dove i calzoncini che sfoggia durante un’escursione sono ancora oggetto di chiacchiere bigotte. Un’infanzia e adolescenza burrascose, sempre però guidate dal sostegno di una figura materna fortissima, Maria, donna del popolo, grande lavoratrice e appassionata comunista, pronta ad affrontare con coraggio i problemi che si presentano anche quando il suo uomo è lontano, Maria che sarà vicina a Vittorina fino a pochi anni prima della sua morte. A Vittorina forse basterà essere figlia e non madre a sua volta proprio per il legame con questa donna fortissima.
Il libro è l’omaggio che Elda Guerra, studiosa di storia contemporanea e dei movimenti femministi, fa all’amicizia con questa donna, che sceglie di non sposarsi e non avere figli e con cui accarezza il progetto, purtroppo naufragato, di un lavoro corale sulle autobiografie orali delle donne dell’Emilia Romagna. Un libro che raccoglie i frutti di una lunga intervista, realizzata in tanti pomeriggi e arricchita dall’archivio delle carte, donato, dopo la sua scomparsa, da Vittorina alla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna. L’archivio, personalmente curato da lei fin nei titoli attribuiti ai contenitori e ai fascicoli, riflette «l’attività pubblica, la passione politica, che era stata la cifra dominante della sua vita» ed è corredato da molte fotografie, alcune delle quali riportate alla fine del libro edito da Viella. Insieme a questo materiale la storica Guerra ha raccolto tracce della vita e dell’impegno di Vittorina Dal Monte negli archivi del Partito Comunista, in quelli del sindacato, dell’amministrazione provinciale e delle associazioni di donne.
Alcuni incontri e avvenimenti della sua adolescenza restano impressi nel cuore di Vittorina insieme alle emozioni che le hanno suscitato con un’intensità che non si ripeterà più in tutta la sua vita, forse anche perché sono le prime volte che le prova. Per lei probabilmente l’incontro con Dolores Ibarruri, in Francia, in occasione del suo discorso del 1936 a Parigi è uno di quelli. Fotografie d’epoca ritraggono La Pasionaria sulla tribuna, con il pugno alzato, unica donna tra gli oratori. Vittorina Dal Monte è poco più che quattordicenne, ma la frase che la colpisce, «meglio vedove di eroi che mogli di codardi», le resterà impressa nella mente e la racconterà al suo ritorno a casa, la condividerà con tutti e tutte, con grande entusiasmo e convinzione.
Il rientro in Italia vede la giovane e minuta Vittorina iscriversi al Partito comunista clandestino e confrontarsi con il lavoro delle mondine, presto abbandonato come quello nei campi e in fabbrica per l’aggressione della tubercolosi, che si ripresenterà in altri momenti della sua vita.
Il racconto delle donne che tra il 25 e il 27 luglio del 1943 scendono in piazza a protestare a Sesto Imolese e la sua esperienza di staffetta partigiana sono ricchi di particolari e rappresentano una testimonianza fortissima del ruolo delle donne nella Resistenza, del loro potere di iniziativa, insieme ad alcuni ricordi tristi di eccidi, soprattutto di uno dei più cruenti del dopo Liberazione. La ricostruzione di Sesto Imolese, completamente rasa al suolo, vede Vittorina fortemente impegnata, soprattutto nella distribuzione di viveri e vestiario e poi nell’allestimento di asili e scuole. Il Pci adesso deve trasformarsi da partito di quadri a partito di massa ed è impegnato in un’opera di formazione delle donne e degli uomini delegati/e, con un progetto ambizioso di scuole di politica. Le delegate hanno il compito, attraverso l’Udi, aperta anche a non iscritte, di coinvolgere le donne dei diversi strati sociali in un percorso di emancipazione femminile, attento alla famiglia e molto meno ai diritti civili. Il libro segue Vittorina nel suo percorso di formazione e nella sua carriera di funzionaria di partito, dal primo comizio, accompagnato da un senso di inadeguatezza a quelli successivi, pieni di gratificazioni, soprattutto provenienti dalle donne.
Dal Monte dissente dall’interpretazione di Mafai, che in Pane nero parla di ritorno a casa delle donne dopo la fine della guerra: «sono andata a rovistare tra i documenti che ho […] e sono stati anni di lotte incredibili. Era un susseguirsi di lotte continue. Abbiamo fatto cose incredibili».
E il libro le racconta tutte. Dopo il 1947, con l’estromissione delle sinistre dal Governo e il mutato quadro internazionale, Dal Monte assume la carica di Responsabile della Commissione femminile nazionale, negli anni più duri per il Partito Comunista, ricordati per il grande impegno delle donne per la pace. Una parte interessante del libro è dedicata alla Scuola di formazione delle Frattocchie, a cui Vittorina è inviata per le qualità apprezzate dal partito, nonostante la sua timidezza. Una scuola di grande studio ed esercizio di capacità argomentative ed oratorie, a cui Dal Monte si dedica con la passione mai sopita per lo studio che da ragazza ha dovuto abbandonare presto e la vocazione pedagogica nei confronti degli e delle iscritte. La difficoltà di parlare in pubblico è comune a molte donne e richiede allenamento e sforzo notevoli. La breve esperienza amministrativa, da cui si dimette presto, cede il posto all’impegno nella Commissione nazionale per l’organizzazione del Pci diretta da Pietro Secchia. Il moralismo del partito degli anni Cinquanta e il puritanesimo di facciata sono ben descritti dalle parole di Vittorina, che al suo arrivo a Roma, unica donna all’Ufficio di organizzazione della Commissione di organizzazione, trova dopo alcuni giorni il suo tavolo di lavoro fasciato per tre lati da carta da pacchi in modo che le gambe rimangano nascoste. Questo fatto la amareggia moltissimo, perché pensa, come ricorda nell’intervista: «Ma che cosa vuol dire? Che cosa ho fatto io di scomposto?» Già, che cosa facciamo noi donne di scomposto se anche il partito che fa dell’uguaglianza il suo valore principale ci tratta così? Forse è in questo periodo che fa breccia in lei la consapevolezza del maschilismo e della cultura patriarcale che permea le nostre società.
Nel capitolo intitolato Passaggi cruciali è raccontata l’esperienza torinese, con gli incontri con Italo Calvino, Paolo Spriano, Sergio Garavini e Sesa Tatò, che la stimolano e la fanno crescere culturalmente e le danno grandi capacità di analisi politica. Fondamentai gli incontri con Camilla Ravera e Teresa Noce, nel periodo in cui la vicenda dell’annullamento del matrimonio da parte di Longo riscuote una grande solidarietà femminile per Estella, la Madre Costituente «rivoluzionaria professionale». L’estate del 1954 porta Vittorina in Urss, descritta nel libro con le aspettative e l’emozione verso quel sistema socialista da contrapporre alle storture del capitalismo e con la volontà di non sopravvalutare gli aspetti negativi che pure intuisce. In questi anni continua l’impegno nell’Udi e per le celebrazioni dell’8 marzo insieme ad Ada Marchesini Gobetti. Due traumi fanno vacillare la fede comunista di Vittorina: la sconfitta alle elezioni delle Commissioni interne alla Fiat, a tutto vantaggio della Cisl, e il rapporto Chruščëv del 1956 con l’invasione dell’Ungheria.
I capitoli più interessanti e vicini a noi del libro sono gli ultimi. Sindacalista negli anni Sessanta ci racconta la consapevolezza dell’emancipazione di questa donna, accanita fumatrice, nonostante la reviviscenza della tubercolosi, affetta da un vizio contratto forse per combattere la timidezza e le tensioni e pienamente consapevole di essere un po’ come un’aliena, non sposata e senza figli, «in parte delegittimata», ma non autorizzata a parlarne, in quegli anni. Dopo due anni tristi di permanenza nell’Udi si dedica al sindacato, ma non verrà rieletta al Comitato Centrale, decisione che la amareggerà. A fine anni sessanta subisce una situazione di emarginazione da un partito che si vuole rinnovare. Queste le sue parole:«Un momento solo ho pensato veramente di uscire, quando tornai a Bologna, negli anni del ’68. Stavo male e sono stata lì lì per andare al Manifesto, ma non ne ho mai parlato con nessuno. È stata l’unica volta nella mia vita in cui sono stata lì lì per uscire da questo partito…». Vittorina è eretica, ma non scismatica e non se ne andrà da quel partito che fa parte del su0 Dna e di quello dei suoi genitori. Inquesta parte della vita snobba le aule universitarie e va ai cancelli delle fabbriche a parlare con le e gli operai e si batte contro la gabbia del lavoro a domicilio. Piano piano si allontana dal partito e si avvicina al femminismo. Nei capitoli finali si raccontano molto bene le fasi attraversate dal Pci, fino alla svolta della Bolognina e il percorso parallelo delle donne comuniste, gli anni ‘80 del trionfo del neoliberismo e la seduzione che questo pensiero unico esercita anche su parte della sinistra e sull’ex partito comunista italiano.
Vittorina si avvicina sempre più al femminismo e all’interno dell’Udi sostiene di voler fare la politica della differenza sessuale, «il che significa il desiderio, la volontà comune di presa sul mondo, a partire da me». Ormai frequenta da tempo la Libreria delle donne di Milano e il gruppo che a Bologna ha dato vita all’associazione Orlando. Attraverserà a tutto campo i femminismi degli anni Ottanta, «con una cifra su cui vale la pena soffermarsi: «la parola “MONDO” scritta in lettere capitali, a indicare l’importanza per Vittorina di confrontarsi, ormai, da femminista con le grandi questioni della contemporaneità, una passione mai venuta meno dagli ormai lontanissimi tempi del soggiorno in Francia, della guerra di Spagna, della diffusione dei fascismi in Europa. Ora le nuove sfide si presentavano con il volto delle conseguenze del disastro nucleare di Ĉernobyl’, con nuovi scenari di guerra, con la crisi del movimento comunista mondiale. L’ancoraggio per affrontarle era divenuta la possibilità di immettere nella storia del mondo una visione alternativa, non più quella delle classi oppresse, ma quella appartenente a un sesso che aveva accumulato esperienze e saperi diversi da quelli maschili dominanti». Sono quelli gli anni del moltiplicarsi dei centri di elaborazione del pensiero delle donne e della nascita di nuove riviste come DWF e Memoria. L’esperienza bolognese di Orlando è una delle più originali e feconde e Vittorina ne è attratta, come dal pensiero di Luce Irigaray. «Che cosa significa assumere il valore della differenza sessuale? – si chiederà – È semplice. Perfino banale. L’umanità si compone di due sessi distinti, non solo per la biologia, ma per sensazioni, emozioni, cultura, tradizioni introiettate da millenni. Di conseguenza non solo non è accettabile subordinare l’uno all’altro, ma neppure – ed è questa la novità – omologare l’uno all’altro». E ancora: «Io sono una donna con la mia storia, la mia cultura, i miei percorsi. Sono una cosa diversa da un uomo. È vero che non accetto il ruolo tradizionale di riproduttrice, di subordinata. Ma perché debbo diventare un’altra cosa?»
Vittorina ha trovato, finalmente, come lei stessa affermerà, «il bandolo della matassa» e questo è stato possibile grazie al confronto costante con le nuove generazioni di donne.
Dopo la svolta della Bolognina non abbandonerà il partito, ma aderirà alla posizione del segretario, cercando di portare il pensiero delle donne all’interno del nuovo «partito di uomini e donne». Parteciperà alla raccolta delle firme per la legge di iniziativa popolare sulla violenza sessuale e continuerà a frequentare i movimenti delle donne. Si spegnerà nel dicembre 1999, minata da una grave malattia. In questa fase della vita raccoglierà appunti e testimonianze su biografie delle donne, ha in mente il progetto di un grande Convegno che ricopra almeno 50 anni di storia dell’impegno delle donne, dalle fondatrici alle donne della Resistenza alle protagoniste delle lotte operaie degli anni ‘70. Un sogno che resterà incompiuto. Durante il suo funerale risuoneranno le parole del discorso d’addio pronunciate da Katia Zanotti: «Sei stata un incontro unico e irripetibile. Tu non amavi guardare indietro. Beh! Vittorina, nello scorrere dei nostri giorni noi ci fermeremo ogni tanto a guardare indietro, per guardarci attorno, per essere certe di portarci dentro, di fianco, il grande valore che è stata la tua vita e lo faremo non smettendo di parlare di te». Il Giardino che circonda la palazzina dell’associazione Armonie in via Emilia Levante è intitolato a Vittorina Dal Monte, e porta questa scritta: «Libera, eccezionale figura della Resistenza, del mondo operaio e del Movimento delle donne (1922-1999)». Il Libro di Elda Guerra, corposo e ampiamente documentato, merita senz’altro di essere letto, non solo per il suo indiscutibile valore e per averci fatto conoscere una donna eccezionale, ma perché si inscrive in quella operazione di restituzione della visibilità di tutto quello che le donne hanno fatto nella storia italiana e che è sempre stato colpevolmente ignorato.

Elda Guerra
Attraverso il Novecento. Vittorina Dal Monte tra partito comunista e movimento delle donne
Edizioni Viella, Roma, dicembre 2021
pp. 260
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Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.