La realtà ri-creata. Franchina Tresoldi. Città in Arte

Dopo la conversazione con l’artista emiliana Clelia Mori, andiamo a conoscere l’artigiana (come lei ama definirsi) ricercatrice in arte Franchina Tresoldi, che nel 2020 ha ricevuto il “Premio Donna”, istituito dalla Consigliera provinciale di Parità di Lodi, con questa motivazione, data da una giuria di esponenti del Comune, della prefettura, del sindacato, del giornalismo e dell’associazionismo: “Una grande ricercatrice dell’identità femminile e attivista; un’artista creativa di una linea distintiva”. Poniamole alcune domande su di lei, sul suo rapporto con l’arte, le donne e la città.

Le città sono, appunto, centrali nel tuo percorso artistico: come sei giunta a interessarti di architettura “urbanistica” storica, a partire dai tuoi primi studi?
Il percorso è stato molto complesso, non sono arrivata subito alla fascinazione dei Centri storici italiani. Devo iniziare con un mio succinto percorso storico, perché, data la mia età, i vissuti sono stati parecchi.
Mi diplomo all’Istituto magistrale con l’intenzione non di insegnare, ma, una volta accontentati i miei genitori, di percorrere un cammino nelle più diverse forme d’arte, rispettando il mio modo di essere, curioso e attento, con una fantasia che parte dalla realtà per costruirne infinite altre forme e proposte, ma che niente perde di vista.
Dopo il diploma, parto dalla grafica pubblicitaria nei primi anni ’60 e frequento la scuola Enalc di Milano, lavorando un anno in uno studio della città e trasferendomi subito dopo a Lodi, dove propongo da sola, con lo studio in casa, le mie prestazioni in campo pubblicitario mediante depliant, cataloghi, manifesti e addirittura stand per le fiere di settore.
Mentre ripenso al mio percorso, mi meraviglio io stessa. Piano piano, sposata, per parecchi anni senza figlia, comincio a disegnare con la scoperta che mi ha cambiato la vita: ancora adesso mi emoziono nel ricordarla. Pensavo di dare esami come privatista in un Istituto d’Arte per poter insegnare. Per far questo prendo lezioni per conoscere elementi basilari di prospettiva presso un insegnante di liceo scientifico di Milano, il prof. Rocco, che, per prepararmi alla prospettiva, a mano libera mi faceva riempire fogli per introdurmi al capire cosa è il segno, la linea della natura. Io, incantata da questa scoperta, come la scoperta della sezione aura ecc., comincio a entrare sempre di più in questo percorso della matita, meglio del pennino che percorre un lungo cammino, come un filo che cuce e tesse la realtà.
La mia poesia Il filo segno disegno spiega questa meravigliosa connessione:

Un filo sottile si snoda
per tessere segni,
disegnare parole.
Un filo che scrive
un filo che cuce
un filo che tesse.
Il filo segno, il filo disegno
che la mano conduce
pensando e sognando.
Non sono parole quei segni tessuti
in tele sofferte di donne chinate
già pronte a rifare?
Non sono già segni/disegni
le parole scritte per raccontare
storie antiche di donne da amare?

Innamorata di questa scoperta e riflettendo sempre più sul suo significato, abbandono il progetto degli esami e comincio a disegnare ininterrottamente. Partecipo così a diversi concorsi di pittura, già molto sensibile a problemi sociali e politici, sempre disegnando con questo segno libero come un ricamo.

Ricordo che per una mostra estemporanea in cui tutti mostravano quadri di paesaggi, io richiamavo l’attenzione sulla realtà degli operai che dai loro paesi venivano in bicicletta a Lodi a prendere il treno, con la sveglia sulle spalle che segna le sei del mattino.
Ricoverata in ospedale per una forte astenia/sofferenza esistenziale, comincio a disegnare gli ammalati nei loro letti di ospedale. Mi rimetto in salute sotto cura di un neurologo e continuo a disegnare: disegno la Resistenza, I sette fratelli Cervi.

Vuoi parlarci del rapporto privilegiato che hai con la città in cui vivi e lavori, Lodi? Possiamo dire che la sua magnifica piazza ti ha ispirata per rivolgere il tuo sguardo alle altre tante piazze d’Italia?
Nei primi anni ’70 vivevo in un attico a Lodi con mio marito, dove avevo una visione della città con tutti i suoi tetti di coppi e il Torrione, le chiese e i campanili. Vedo a un certo punto i tetti trasformati in drappi decorati di pizzi e disegni di tappeti. Mi viene in mente che gli arabi portano i loro tappeti di preghiera all’esterno delle case. Comincia da lì la passione di disegnare i centri storici soprattutto dall’alto, per avere i tetti su cui disegnare tappeti e merletti. Il primo disegno è appunto la vista della città dall’attico di via S. Bassiano.

Mi interessa la visione dell’agglomerato urbano come unico corpo, composto da tanti corpi case che rappresentano il modo di stare insieme delle persone di un paese o di una città. Non ho mai disegnato le periferie che percepisco come corpi disaggregati e aggiuntisi successivamente.
Comincio a fotografare io personalmente, cercando tutti i punti alti della città, chiedo permessi per salire sui campanili delle chiese, sugli abbaini, su piccoli aerei per fotografare le cascine, che per me erano l’esempio di un corpo di case buttato a caso in un paesaggio dove la gente riproduceva, con il suo abitare insieme, lo stesso corpo.

Come sei giunta alle tecniche specifiche che utilizzi?
A un certo punto mi pongo l’interrogativo con quale tecnica disegnare questi frammenti di città e di paesaggio, sempre tenendo fede alla conquista del mio filo/segno. Venivo dalla pubblicità in cui le mie opere, anche un manifesto o un depliant, venivano riprodotte in molti esemplari. Avevo quindi l’idea di una forma di comunicazione di cui molti potevano usufruire a prezzi contenuti, quindi non artistica. Imparo, però, che gli unici prodotti riconosciuti come forma autentica di arte riprodotta in più esemplari è la stampa all’acquaforte. Solitamente la si impara nelle scuole d’arte, ma io, così come per la fotografia, non ho tempo di andare a scuola. Quindi per la fotografia utilizzo suggerimenti da parte di amici che mi insegnano anche a stampare le foto autonomamente, con l’allestimento della camera oscura. Per le acquaforti, vado in una stamperia a Milano che per qualche anno mi segue nella stampa delle lastre di zinco o rame, che io incido manualmente nello strato di vernice a base di cera e in seguito a bagni in acido appropriato corrosivo del metallo, mi permettono di ottenere, dopo una pulitura della lastra dalla vernice, la possibilità di stampare un certo numero di esemplari, naturalmente numerati e firmati da me a matita.

Nel ‘74 ho una figlia, ma procedo nella verifica e nella sperimentazione sia artistica che sociale. A Lodi nei primi anni ’70 entro nei gruppi di autocoscienza femministi, con la campagna per il divorzio, per gli anticoncezionali e per un amore libero. Nel ’76 apro insieme a un’amica L’Atelier di libera espressione, che ottiene un successo incredibile.
Naturalmente ho in mente di andare in India perché da un po’ di tempo rifletto e capisco che nell’oriente ci sono princípi e religioni più connesse con una parte di noi da scoprire e sperimentare. Seguo gli incontri con i gruppi che tornavano dall’India con queste tecniche rivoluzionarie di bioenergetica, miste a meditazione, che facevano capo a Bhagwan Rajneesh, ora chiamato Osho. Nell’’80 vado a Puna e vi rimango due mesi, lasciando l’atelier alla mia amica. Faccio tutte le esperienze richieste dal programma dell’Ashram: danze, bioenergetica, esperienze di prenascita e altre. Non mi perdo, però, come tanti/e, torno, ma ho una perdita di contatto con la terra, allora mi faccio seguire da uno psichiatra che mi dice: «hai demolito la casa: ricostruisci le pareti». Faceva riferimento a una mia prima piazza in acquaforte molto grande in cui i lati con le case sono ribaltati. La piazza è diventata piatta, una tavola. È una immagine che ho ripetuto in varie versioni, a Lodi sempre in questa casa in via Gabba dove vivo tutt’ora.
Mi vestivo di arancione e portavo al collo il mala, collana datami dal Maestro stesso con la frase che lui, dotato di incredibile percezione, dava a ognuno e ognuna. Per me aveva scritto: «DevaDianho (meditazione). Non seguire i tuoi genitori che ti vogliono cattolica (ed era vero), segui la tua strada della meditazione». In Lodi, devo dire, ho sempre trovato grande rispetto e mai una critica.
A questo punto lavorare con Editori d’arte, Enti pubblici, Banche, Aziende per Eventi, regali aziendali e privati è stato il nuovo percorso della mia attività.
In seguito ho capito che la realtà mi chiamava a essere presente con i piedi per terra. A occhi aperti ho capito che un’altra storia mi attendeva: dopo la separazione, ho dovuto vivere con il mio lavoro di artista. Ho sempre detto a me stessa che avevo il diritto di mantenermi con l’arte. Non un secondo lavoro, neanche l’insegnamento mi interessava. Nei secoli scorsi, era così: gli artisti erano considerati artigiani, persino Michelangelo era un artigiano. Anch’io mi sono sempre definita artista/artigiana. Le richieste, commissioni di tirature di acqueforti su determinate città, mi hanno sempre fatto sentire libera e felice della nuova avventura.
Ho lasciato Osho e seguendo questa mia urgenza di conoscere sempre più me stessa e il mio rapporto con l’universo con i piedi ben piantati sulla terra, mi sono avvicinata al Buddismo giapponese che tuttora è la mia guida: occhi aperti, recitazione del mantra ogni giorno, influenza positiva sulla realtà.
Continuando il mio percorso autobiografico arrivo agli anni ’90, densi di mostre, concorsi e molto altro.
Così, osservando quotidianamente l’acciottolato della piazza di Lodi, un’idea mi ha portato a realizzare il “Ciottolo di città”. Ho raccolto ciottoli di fiume, da cui ho realizzato un calco in gesso dentro cui colare l’argilla per la produzione di ciottoli in ceramica. Il ciottolo, tolto dalla forma in gesso, subisce due cotture a mille gradi. Ne emerge un unico ciottolo avvolto dall’immagine di tutta la piazza.

Come realizzare le immagini? Non sono una ceramista, ho delle idee che mi impegno a realizzare. Dopo svariate ricerche, ho conosciuto la decalcomania per ceramica, che subito mi sono impegnata a realizzare nel mio laboratorio, dopo aver raccolto informazioni varie. Parto dal disegno del soggetto, un bravissimo studio di Milano mi prepara il telaio serigrafico che io stampo su carta speciale. Dal disegno passo al collodio (pellicola che permette di staccare il disegno dalla carta su cui è stato stampato). La decalcomania messa in acqua si stacca dal supporto di carta e allora applico la decalcomania sul ciottolo in ceramica con l’ultima cottura (terzo fuoco).
In seguito al “Ciottolo di città” è nato il “Ciottolo del Parco” con una grandissima serie di animali e qualche pianta.

Sappiamo che nella tua vita hai coniugato l’attività professionale e artistica con l’impegno sociale, in particolare rivolto alla promozione del valore delle donne, vuoi dirci come?
La mia strada artistica che continua, sebbene sia sempre insoddisfatta, mi ha portata a realizzare acqueforti fotografando tante città da punti di vista molto insoliti, non dimenticando i pizzi e i tappeti. È qui che recupero il lavoro delle donne che nel silenzio dei cortili e delle case ricamavano corredi per le spose.

L’impegno sociale è rivolto soprattutto contro la violenza sulle donne. Dalla manifestazione oceanica per la dignità delle donne del 2011 a Milano, nasce il gruppo di donne lodigiane Se Non Ora Quando? e la collaborazione con i centri Antiviolenza, che riescono a portare aiuto anche psicologico e giuridico a molte donne, in rete con le altre associazioni, il pronto soccorso, la questura, le scuole.

Che cosa c’è nell’orizzonte della tua attività e dei tuoi impegni?
Una conquista recente, che intendo proseguire, è aver creato rapporti di fornitura di oggetti con i Bookshop di Musei e luoghi d’arte e di storia: Castello Sforzesco di Milano, Palazzo ducale di Urbino, Musei Reali di Torino, Musei Capitolini, Rocca di Gradara, Casa Noha Matera, S. Fruttuoso Camogli e altri.
L’impegno che ho preso di diffondere i miei oggetti e, sì anche le acqueforti che sono in vendita in alcuni bookshop, è per diffondere l’arte e gli oggetti di qualità per la gente comune che abitua l’occhio a scegliere non la banalità, bensì l’oggetto semplice, ma frutto di un progetto artistico.

Salutiamo Franchina Tresoldi, con l’augurio di continuare tenacemente sul suo cammino di sperimentazione artistica e di impegno sociale.

In copertina. Napoli. P.zza del Plebiscito. Acquaforte.

***

Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.

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