La custode di Karina Sainz Borgo

Il romanzo di cui stiamo per parlare è raccomandabile per più motivi, come vedremo; è stata una rivelazione anche per una lettrice vorace e dai molteplici interessi come chi scrive, e pure un fortunato incontro casuale. Intanto spendiamo alcune parole per conoscere l’autrice: nata a Caracas nel 1982, vive da dodici anni a Madrid, dove continua a occuparsi di giornalismo su tematiche sociali e politiche. Scrive sul quotidiano ABC, ma collabora pure al diario digitale Vozpopuli e con il canale radiofonico Onda Cero; suoi testi sono comparsi sulle riviste Granta e Zenda. Ha esordito nella narrativa con successo grandioso grazie a Notte a Caracas (titolo originale La hija de la española), storia di una donna, Adelaida, che nel suo Paese, il Venezuela, ha perso tutto e deve fuggire per salvarsi dalla violenza incombente.

Time lo inserìfra i 100 libri più importanti del 2019. Successivamente hapubblicato Crónicas barbitúricas, non ancora tradotto in Italia, dedicato alle sue esperienze di vitain Spagna. Nel 2020 ha ricevuto il Grand Prix de l’héroïne Madame Figaro du roman étranger e nel 2021 il Premio O. Henry. Non è sola, Karina Sainz Borgo, ad aver lasciato il Venezuela negli ultimi anni, a causa della situazione critica venutasi a creare: altri scrittori e scrittrici si sono trasferiti all’estero, stiamo parlando di Keila Vall de la Ville, Michelle Roche Rodriguez, Camilo Pino, Rodrigo Blanco Calderon, tanto che la critica ha denominato questo vero e proprio esodo “la letteratura della diaspora”.

La custode, tradotto per Einaudi da Federica Niola, ha come titolo originale El Tercer País e francamente non si capisce perché non sia stato mantenuto nella versione italiana, visto che la vicenda intera ruota intorno al “Terzo Paese”, mentre la “custode” lascia qualcosa di indeterminato; forse dovrebbe risultare più accattivante? Tralasciando la questione, veniamo ai motivi di interesse del romanzo. Intanto la scrittura che è vigorosa, potente, corposa, ricca di aggettivi, di metafore, personificazioni, paragoni, di descrizioni rapide e pure efficacissime. «La luce si spegneva al nostro passaggio, come se una cerniera chiudesse il cielo spremendolo fino a estrarne l’ultimo raggio di sole». «La notte si ritirava dal cielo lasciando passare i primi raggi indecisi di luce dell’alba». La prosa, frammentata in frasi brevi, scorre veloce, avvolgente, non dà tregua e passo dopo passo porta sempre oltre, con la voglia di sfogliare la pagina successiva. Siamo evidentemente nel solco della grande letteratura sudamericana che abbiamo imparato a conoscere e amare grazie a Garcia Marquez, a Isabel Allende, a Onetti, Puig, Amado, Vargas Llosa, Borges, Coloane, e così via: l’elenco sarebbe lunghissimo, per fortuna dei lettori e delle lettrici appassionate del genere.

«La sabbia sporcava la luce e il vento perforava le orecchie; un lamento che sgorgava dalle crepe aperte nella terra che calpestavamo. Più che una brezza, quell’aria era un avvertimento, un turbine di sabbia denso ed estraniante come la follia o il dolore. La fine del mondo era questo: un mucchio di polvere fatto di ossa perse per strada».
Entriamo così nella vicenda che vede protagoniste due donne: la voce narrante Angustias e la custode, anzi la becchina di un improvvisato, irregolare cimitero: Visitación. La prima è una esule da quando la sua terra è stata devastata da carestie, siccità, epidemie; con il marito è in fuga, senza nulla, se non due misere scatole da scarpe in cui custodisce con amore i corpi dei suoi gemellini, nati prematuri e morti dopo una brevissima esistenza.
Non avendo mezzi nè contatti per ricorrere a una sepoltura regolare, qui frutto di contrattazioni, soprusi, corruzione, novella Antigone, è in cerca di un luogo dove seppellirli dignitosamente e viene a sapere della missione della negra, una bella donna di sessant’anni, fiera e coraggiosa, che sa praticare autopsie, sfida le autorità e gestisce il Terzo Paese, un pietoso cimitero riservato alle creature derelitte. Bocca scura, «denti bianchi e quadrati», «proporzionata e prestante», indossa allegri leggins rossi, un foulard colorato e stivali, fuma spesso e guida uno sgangherato pick-up; «anziché di carne e ossa, sembrava fatta d’olio e lignite».

Fra le due donne non ci sarà solo un fugace incontro, ma una collaborazione, visto che la madre decide di rimanere vicino alla tomba dei figlioletti e di aiutare con il proprio lavoro Visitación; non avendo nulla da perdere è disposta ad affrontare ogni rischio. E in questo luogo alla fine del mondo, Mezquite, di rischi ce ne sono all’infinito. Il sindaco è un uomo imbelle, ostaggio del prepotente Alcides, colui che fa le regole con l’aiuto di sgherri spietati, fra cui primeggia il subumano Críspulo; chiunque deve sottostare ai suoi ordini, alle sue pretese, alle sue terribili vendette a suon di colpi di machete. Intorno un brulicare di gente affamata, disperata, stracciona, sudicia; le donne sono pelate perché hanno venduto le lunghe chiome per pochi spiccioli, chi ce la fa si prostituisce per una tozzo di pane ai camionisti di passaggio.
In una intervista di Massimiliano De Conca, quando è stata a Torino per il Salone del Libro (Mangialibri, 12.5.2019), la scrittrice, a proposito del romanzo precedente, diceva di aver voluto scavare nel fango, di non aver abbellito niente, anzi, era consapevole che nella sua opera non c’era speranza e che poteva essere sgradevole, ma era proprio questo l’effetto che voleva ottenere, lasciando indeterminati luogo e tempo.
«Il romanzo non risolve il problema, non corregge situazioni gravi, non porta soluzioni, ma problematizza, perché ci induce a farci nuove domande e a sviscerare le contraddizioni». E in quest’opera continua a scavare nella violenza, nell’abbrutimento, nella miseria perché il fine della narrazione è far pensare, far conoscere realtà che spesso ci sfuggono, o vogliamo farci sfuggire. Penso ad esempio alla pagina in cui viene descritta la tortura a una povera iguana capitata fra le mani di ragazzini crudeli. Oppure a ciò che accade a Críspulo che ha avuto la pessima idea di ammazzare il miglior asino del suo padrone.
Non si deve pensare però che la lettura risulti faticosa, tutt’altro: il coraggio e la forza delle donne in generale, e delle due protagoniste, sono talmente commoventi e appassionanti che, nonostante tutto, ci fanno sperare in uno spiraglio di luce, in tante tenebre. Visitación, infatti, non si occupa solo di sistemare con cura i corpi delle persone defunte e consolarne i parenti, ma si occupa anche dei vivi: organizza annualmente una bella festa a cui partecipa tutta la comunità, ma soprattutto bambini e bambine che mangiano in abbondanza, fanno giochi e gare; si occupa delle detenute, abbandonate dalle famiglie, cercando di insegnare loro un mestiere e dando loro un minimo di conoscenze sulle sacre scritture; protegge, procura cibo, conforta.
La vicenda ha una svolta quando le forze maligne prendono ulteriormente potere e decidono di sbarazzarsi definitivamente di quella donna ingombrante e della sua attività; violenza e compassione, giustizia e vendetta, vita e morte si affrontano implacabili, mentre dallo sfondo emerge in tutta la sua pena la sorte della ragazzina Consuelo, divenuta madre dopo ripetute violenze, e assistiamo al degno riscatto dell’ex sindaco.

Non va anticipato altro, ma certo queste pagine scritte con maestria sono opera di una grande narratrice, una voce coraggiosa che colpisce al cuore, sa coinvolgere e fa pensare a quel mondo lontano, eppure così vicino.

In copertina: Karina Sainz Borgo.

Karina Sainz Borgo
La custode
Einaudi, Torino, 2022
pp. 264

***

Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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