Editoriale. «Non sono nata per essere ragionevole, sono nata per amare, per essere felice» 

Carissime lettrici e carissimi lettori, 

lo si è scritto. E probabilmente è vero. Il solstizio d’estate è il giorno in cui, se si è poeta, si può nascere o morire. Il 21 giugno, quando la luce inonda di più la terra, si ispira metaforicamente di versi. É il 21 giugno che Patrizia Cavalli ci ha lasciati, quasi un anno dopo la sua grande amica Piera Degli Esposti, ambedue con quel Teatro dentro, con quel grande amore per la parola detta, oltre che letta e scritta. Con le mie poesie non cambierò il mondo (1974). Scriveva così la poeta Patrizia Cavalli, intitolando la sua prima raccolta di versi dedicata a Elsa Morante, che incontrerà a Roma dove arriva giovanissima da Todi (vi era nata nel 1947) per frequentare Filosofia. Dirà sempre che Morante l’aveva fatta Poeta, come amava definirsi, leggendo i suoi versi, guidandola, anche verso Einaudi, che sarà, in massima parte, sempre il suo editore. Scandalizzava? Forse, ma parlava e ci parlerà sempre con i suoi versi dell’amore, anche quello per la vita. «La morte vorrei affrontarla ad armi pari / anche se so che infine dovrò perdere, / voglio uno scontro essendo tutta intera, / che non mi prenda di nascosto e lentamente». Da vera guerriera, da vera teatrante. Di quei Teatri che, come la sua amica Piera (che adorava recitare i versi di Patrizia Cavalli, e non solo in teatro), sapeva riempire fino all’impossibile, come aveva fatto qualche anno fa all’Auditorium, a Roma. Con la passione per la limpida lettura dei suoi versi in teatro aveva intitolato anche una sua raccolta, Sempre aperto teatro, che era andata alle stampe nel 1999.  
Biancamaria Frabotta (anche lei poeta, docente universitaria, scomparsa da poco) l’aveva inclusa tra i nomi femminili della Poesia italiana (Donne in poesia. Antologia della poesia femminile italiana dal dopoguerra ad oggi, 1976), nomi praticamente assenti, non citati, nelle raccolte novecentesche (in quella di Francesco Mengaldo su 50 poeti, una sola è una poeta, Amalia Rosselli, seppure eccellente!).

Eppure, Cavalli è restia a questa determinazione, diciamo, di categoria di genere: «Parlando di lei – si è chiesta Giulia Mozzato, su Maremosso – si può immaginare uno spazio peculiare destinato alla poesia femminile? Esistono i versi al femminile? Per Patrizia Cavalli – spiega Mozzato – esisteva la poesia, non si era mai sentita particolarmente vicina al binomio donne poesia». E cita un intervento fatto da Cavalli nel 1986, in occasione di un mese dedicato all’altra metà della poesia: «Questo rapporto mi è sempre stato estraneo – diceva Cavalli – proprio perché io credo che la condanna peggiore che possa capitare ad un gruppo sia di occuparsi della propria differenza. La mia tendenza è di prendere in considerazione non tanto quello che viene individuato come limite, ma di rivolgermi a ciò che può aiutarmi a costruire piccole isole di significato.Anche se capisco che, forse, la mia vita è determinata da alcuni di questi problemi molto più di quanto io non creda».  Giorgio Manacorda l’avvicinava al latino Orazio: «Patrizia Cavalli è tra gli eredi di Orazio, cioè della latinità, cioè della nostra tradizione» e la legava a poeti del calibro di Gozzano, Saba, Brecht, Penna, Wystan H. Auden, Pasolini, l’ultimo Montale.  

Giovanni Raboni nel 1981 scriveva di lei: «scuola permiana, mi sembra che II cielo (una delle sue raccolte di versi, ndr) la ponga, ormai, fra i migliori rappresentanti di quella poesia esistenziale che nasce, soprattutto a Roma, dalla confluenza della lezione di Penna con quella di Pasolini che, nelle nuove generazioni, ha da tempo un esponente di grande rilievo in Dario Bellezza». E di nuovo nasce vivo il legame con Piera. Alberto Fraccacreta avvicina i versi di Patrizia Cavalli a quelli dei russi Velimir Chlebnikov e di Osip Mandel’štam, (il poeta scomparso nelle purghe staliniane e oggetto di una notissima e dura telefonata di Boris L. Pasternak al dittatore georgiano). «L’obiettivo semantico delle poesie di Cavalli è tutto racchiuso nella sua ampiezza sonora: la parola acquista corpo e peso specifico a partire dalle concatenazioni verbali, la cui finalità precipua è quella di straniare il lettore, di narcotizzarlo, di ubriacarlo. Proviamo a leggere ad alta voce l’explicit de Le mie poesie non cambieranno il mondo: Poco di me ricordo / io che a me sempre ho pensato. / Mi scompaio come l’oggetto / troppo a lungo guardato. / Ritornerò a dire / la mia luminosa scomparsa. È chiaro che una lettura visiva non basta – continua l’autore -. L’esperienza segnalata da Cavalli, cioè il deficit di memoria e di autopensiero (di cogito, in termini cartesiani), ottiene maggiore consistenza solo nell’effettiva sillabazione della gabbia metrica creata (un mix monostrofico di settenari e novenari): come per il transmentalismo di Chlebnikov o per l’acmeismo di Mandel’štam, la poesia coincide con il suo aspetto “fisico” ed è dunque cruciale notarne le astuzie seduttorie, cioè la rima, le allitterazioni, gli enjambement, le antitesi (“poco”, “sempre”), l’utilizzo del poliptoto (“scompaio”, “scomparsa”)». Ecco qui anche la teatralità, la voglia, la necessità di recitazione, di suono. 

Le donne devono esserci e devono essere nominate. A Bologna, l’amata città di origine di Piera Degli Esposti, è iniziato da una settimana l’evento Un’estate memorabile, uno di quegli avvenimenti per passare la stagione più calda nelle città. L’idea è stata presa da un manifesto (apparso il mese scorso a Palazzo dei Notai) dedicato a dei grandi bolognesi come Pasolini, Dalla e Roversi, dei quali cadono le ricorrenze. Lo stesso sindaco della città, Matteo Lepore, si è accorto dell’assenza di nomi femminili e di un panel completamente maschile. Eccole dunque le eccellenze femminili inserite nell’estate di Bologna: Giulietta Masina, Laura Betti, Patrizia Vicinelli, Piera Degli Esposti, bolognese doc, che, amava raccontarlo, si era «portata i suoi portici a Roma» per placare la nostalgia.  

La maternità è soprattutto accadimento femminile. Purtroppo, però, è al centro di tanti preconcetti e di mielose affermazioni. La maternità è spesso considerata un peso sul sociale. Invece dovrebbe essere protetta, oggetto di cura e attenzione e anche di lucide analisi. Invece leggiamo discorsi diversi. Come, per esempio, quello della richiesta, in un concorso pubblico, per vigili urbani, del certificato di gestazione. O come la storia di quell’imprenditrice della moda che afferma, soddisfatta e convinta dei concetti che espone, che le donne sono una difficoltà per l’assunzione in azienda. Soprattutto se hanno legami, se intendono avere figli. Insomma, per l’imprenditrice Elisabetta Franchi le donne sono una garanzia di buona assunzione solo se attempate, senza legami, rivolte esclusivamente all’interesse aziendale (ma quanto, tutto il giorno? Non sarebbe un illecito anche per un maschio?!). Ci meravigliamo, d’altra parte, cosa che invece dovrebbe sembrarci normale, che un imprenditore toscano, Simone Terreni, proprietario di una fabbrica d’informatica alle porte di Firenze, assuma ugualmente una signora nonostante quest’ultima lo informi di essere incinta. Fa di più Terreni, scrive una lettera aperta alla sua corrispettiva e le spiega da uomo, da umano, come dovrebbero stare le cose, come sarebbe corretto che siano. Ma poi c’è lo stereotipo della maternità accogliente, del sacrificio e della dedizione, di un’immagine femminile presa anche da icone religiose. Non è sempre così. Lo spiega Lea Melandri, chiarendo come il materno possa essere un «tragicamente ambiguo».

Melandri parte dal recente fatto di cronaca di Catania e si collega al delitto di Cogne del 2002, venti anni fa: due figlicidi. «Da Cogne (2002) a Catania, dove è appena stata uccisa la piccolaElena del Pozzo, sono passati vent’anni e la domanda è sempre la stessa: «Come può una madre uccidere il proprio figlio?». Il fatto che a uccidere siano sempre stati, sia pure in percentuale minore, anche i padri, non suscita lo stesso interesse, né da parte dei media né della gente comune. Sulla donna che uccide il figlio cade quasi sempre un giudizio impietoso. Se non si può addebitarle l’uso di droghe o velleità malcelate di carriera, amori, successi, le ragioni che spingono una donna ad abbandonare quello che resta, nonostante i cambiamenti, il naturale destino femminile, sono considerate in ogni caso imperdonabili. Sul disagio e sulla violenza che c’è dietro nulla si dice perché della maternità, dell’oscuro travaglio di vita e di morte che essa comporta fin dalla gravidanza e dal parto molto poco hanno detto le donne stesse».

Melandri riporta il brillante commento di Sibilla Aleramo nella prefazione al romanzo Teresa di Arthur Schnitzler, dove la scrittrice commenta il tentato infanticidio della protagonista: «Quella feroce brama di annientamento, quell’attimo di coscienza, non sai se disumana o sovrumana, in cui la donna si ribella alla natura, si ribella a essere strumento di vita, poi quel trapasso dall’odio all’amore, quell’accettazione sommessa, quel rapimento e, infine, unica ma formidabile rivalsa, quel sentimento assoluto per tutta l’eternità, che il figlio è suo, soltanto suo». «Una lucidità -commenta Melandri – che neppure il femminismo sembra avere conservato, Sibilla sottolinea il legame perverso tra due violenze: quello che ha fatto della donna lo strumento della conservazione della specie per secoli, senza il suo consenso, e quella che, a sua volta, per rivalsa o per un disperato rifiuto, la donna è spinta a esercitare sul figlio come suo possesso. Si può uccidere un bambino perché piange? – ci si è chiesto a proposito del delitto di Cogne. La risposta tragica e banale che si esita a dare è sì, si può, almeno finché si pensa che la sorte della madre e del figlio siano legate per sempre e in modo esclusivo, che per crescere l’individualità dell’uno sia necessario il sacrificio dell’individualità dell’altra. Di fronte al giudizio di chi ancora, di fronte a questi drammi, parla di madri snaturate, viene il dubbio che molta strada ci sia ancora da fare per ricondurre il femminile dentro la storia e la cultura patriarcale che ne ha deciso fin dall’origine il destino, che molti miti siano ancora da sfatare per quella collocazione ambigua che ha visto la donna come la caduta e insieme la elevazione morale dell’uomo. Inquietante, per venire al contesto in cui viviamo, è il sospetto che, nel sempre più difficile rapporto tra i sessi, i figli, le figlie, non siano più soltanto gli spettatori della violenza domestica, ma l’oggetto attraverso cui passano rancori e vendette tra i genitori, e su cui vanno a confondersi la possessività affettiva delle madri e il potere dei padri» (Il Riformista, giugno 2022). 

Intanto fuori imperversa la guerra e i media ce ne danno puntuale notizia. Sentiamo tutta l’ingiustizia della guerra che ci fa confondere, spesso avviene in psicologia, i termini. Bruciare tutti i libri, gli spartiti le immagini artistiche, le traduzioni provenienti dalla lingua del paese assalitore, non è, secondo noi, efficace perché il conflitto si risolva. È la Bellezza che non può più salvarci, è l’urlo che non recupera le morti ingiuste di nessuna battaglia, tanto meno di un intero conflitto, dove già è tanto l’odio che lo governa. 

Ci accompagna in chiusura di nuovo Patrizia Cavalli per farci ammirare la Bellezza dell’unicità  della sua arte, dei suoi versi e sicuramente per suggerirci così condivisione di emozioni.  

Adesso che il tempo sembra tutto mio 
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena, 
adesso che posso rimanere a guardare 
come si scioglie una nuvola e come si scolora, 
come cammina un gatto per il tetto 
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso 
che ogni giorno mi aspetta 
la sconfinata lunghezza di una notte 
dove non c’è richiamo e non c’è più ragione 
di spogliarsi in fretta per riposare dentro 
l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta, 
adesso che il mattino non ha mai principio 
e silenzioso mi lascia ai miei progetti 
a tutte le cadenze della voce, adesso 
vorrei improvvisamente la prigione. 

Quante tentazioni attraverso 
nel percorso tra la camera 
e la cucina, tra la cucina 
e il cesso. Una macchia 
sul muro, un pezzo di carta 
caduto in terra, un bicchiere d’acqua, 
un guardar dalla finestra, 
ciao alla vicina, 
una carezza alla gattina. 
Così dimentico sempre 
l’idea principale, mi perdo 
per strada, mi scompongo 
giorno per giorno ed è vano 
tentare qualsiasi ritorno. 

Addosso al viso mi cadono le notti 
e anche i giorni mi cadono sul viso. 
Io li vedo come si accavallano 
formando geografie disordinate: 
il loro peso non è sempre uguale, 
a volte cadono dall’alto e fanno buche, 
altre volte si appoggiano soltanto 
lasciando un ricordo un po’ in penombra. 
Geometra perito io li misuro 
li conto e li divido 
in anni e stagioni, in mesi e settimane. 
Ma veramente aspetto 
in segretezza di distrarmi 

nella confusione perdere i calcoli, 
uscire di prigione 
ricevere la grazia di una nuova faccia. 
È tutto così semplice, 
sì, era così semplice, 
è tale l’evidenza 
che quasi non ci credo. 
A questo serve il corpo: 
mi tocchi o non mi tocchi, 
mi abbracci o mi allontani. 
Il resto è per i pazzi. 

Buona lettura a tutte e a tutti 

Ecco gli articoli di questo numero. Si comincia, come ormai è abituale, dalla donna di Calendaria, Eugenija Šimkūnaitė: la “signora delle erbe” della Lituania, etnografa e farmacista, che ha dedicato la sua vita alla ricerca erboristica, alla medicina popolare, alle piante medicinali e alle tradizioni locali. Continuiamo con le nostre serie: La donna nel Settecento. Socialità, mondanità, parità è l’articolo che descrive il secolo dell’emancipazione femminile, dei salotti letterari e dell’impegno civile per la parità; per Viaggiatrici del Grande Nord accompagneremo Giulia Salvini Kapp: una crocerista in città nelle terre svedesi islandesi e norvegesi; La cortina d’acciaio. Parte seconda ci presenterà la rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo con i diversi punti di vista di ucraini/e, russi/e, americani/e ed europei/e sui cosiddetti effetti farfalla dell’invasione russa dell’Ucraina; Il salotto casertano: alla ricerca di verità e giustizia. Donne e impegno civile ci racconterà dell’incontro avvenuto il 9 giugno scorso online, organizzato con la partecipazione di Toponomastica femminile: un’occasione nella quale la ricerca di verità e giustizia ha assunto connotati di donna.
Un giardino per Giulia Rinieri de’ Rocchi, la musa di Stendhal ci presenta un interessante itinerario culturale a Monsummano Terme in provincia di Pistoia.

Le nostre camminate meditative questa settimana proseguono in Toscana con Siena. Camollia: una passeggiata nella Storia, che ricorda il coraggioso atto di difesa delle donne senesi per i valori della Repubblica e della libertà dalla tirannia. Un nuovo appuntamento della Collana Italiane è con Adriana Seroni, una vita in Parlamento con e per le donne, di cui ricorre il centenario della nascita. L’arte del travestimento è un nuovo episodio delle avventure di una docente di sostegno, che ci racconta con grande senso dell’umorismo le sfide di una professione multitasking. L’intervista di questa settimana è con Annamaria Caputo, in Salento. Camera vista mare, la storia di una donna che ha seguito le orme di famiglia per diventare un’imprenditrice illuminata che ha dedicato la stanza di uno dei suoi alberghi, per Camera d’autrice, con Toponomastica femminile, a Renata Fonte. Celebrazione delle artigiane presso Tuba Enoteca è il racconto di un evento e di un’iniziativa romane, tese a valorizzare le donne artigiane, con un approccio solidale e innovativo, tutto da scoprire. 

Il libro Eretiche di Adriana Valerio è la prima delle recensioni di questa settimana, in cui scopriremo che «nella storia della repressione dell’eresia, l’autorità che l’ha sempre definita e punita è sempre stata maschile», mentre molte delle donne eretiche sono state tra le più fedeli interpreti del messaggio di Gesù Cristo, probabilmente eretico a sua volta rispetto al potere dei sacerdoti. La seconda ci presenta il libro Francesca, storia di un amore in tempo di guerra di Felice Cavallaro, un ritratto appassionato di Francesca Morvillo, grande donna e grande magistrata, la cui storia è stata approfondita anche in un articolo della nostra rivista.

Chiudiamo, come sempre, con la ricetta della settimana, Moussaka vegetariana, una variante gustosa del piatto greco nato per recuperare gli avanzi di carne. 
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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