Viaggiare in crociera, come sosteneva Mark Twain, ha il vantaggio di non doversi occupare dei bagagli quando si sbarca, e questo è in parte vero anche per Giulia Salvini Kapp. Nonostante l’itinerario sia diretto verso mete esotiche, questa viaggiatrice ama ritrovarsi nelle città dove, proponendo a chi legge un ambiente riconoscibile, può però evidenziarne le peculiarità. È soprattutto qui che seguiremo il suo sguardo, più distaccato che empatico, ma sempre sensibile alla bellezza dei luoghi: qui si riconosce la società cosmopolita di chi viaggia e, attraverso una sorta di identificazione analogica, di chi legge.

Durante la prima crociera il piroscafo getta l’ancora a Stoccolma, la grande capitale del Nord europeo, dove si scende a terra per visitare i «diversi grandiosi caffè che qui abbondano. Dappertutto c’è musica, dappertutto c’è gente, e tutta gente allegra, dall’aspetto gentile e simpatico». La permanenza in città sarà una continua esplorazione di ritrovi e ristoranti, da quelli eleganti a quelli «democratici» come lo Stromparterre, dove la viaggiatrice, come sempre in compagnia del marito, può mescolarsi alla gente comune: «situato in un giardino, su un’isoletta quasi a fior d’acqua, sopra la quale passa un grandioso ponte, Norrbrö, […] Quel caffè è molto pittoresco […] ed anche qui c’è una buona orchestra. In questi locali popolari, il Caffè fornisce ai suoi avventori delle coperte di lana, proprio come le coperte da letto, che questi si mettono sulle spalle o sui ginocchi per garantirsi dal freddo o dall’umidità […] Qui davano delle coperte rosse, ed era tanto buffo di vedere tutta quella gente, anche gli uomini, con quelle coperte rosse addosso!».
Al Söndagsbuffet viene apprezzato il self-service: pane, burro e una «quantità di roba fredda appetitosa, a discrezione, e da bere birra, caffè, thè, liquori o vino, come si preferisce, per un prezzo modicissimo». L’autrice ha già sperimentato il «divertentissimo» modo di pranzare alle cascate di Trollhättan: «secondo l’uso svedese [si trovava] un buffet con sopra ogni sorta di antipasti: pile di fette di pane, piattini con burro, prosciutto, sardine e diversi tipi di insalata, caviale ed altro; poi dozzine di piattini, forchette e coltelli. Lì ognuno va a prendersi un piattino e posata, e si serve di tutto quello che vuole prendendo quanto gli piace, come antipasto, e lo mangia lì in piedi, o se lo porta sulla sua tavola, come preferisce. Su un altro tavolo lì vicino c’è un’urna d’argento con diversi rubinetti che danno differenti liquori, e lì accanto una quantità di bicchierini; anche lì ognuno prende un bicchierino e si serve da sé il liquore che preferisce, o anche più d’uno».
In una cornice del tutto diversa i coniugi Kapp cenano all’hotel Hasselbacken, una struttura elegante che godeva al tempo di gran fama e che è ancora attiva oggi; per accedervi era necessario un abbigliamento elegante, perciò la coppia deve tornare al piroscafo per cambiarsi d’abito: «L’Hasselbakken è un magnifico stabilimento […] avevamo a nostra disposizione un vero appartamentino, così elegante, ben messo e privato, che pareva essere, non un restaurant, ma una bella casa particolare. C’era prima un salottino anticamera, che serviva da spogliatoio, poi un altro salottino più elegante, per conversare prima e dopo il pranzo, e finalmente un bel salotto da pranzo». Se la tavola, «messa con molto gusto, proprio come in casa, con bellissima biancheria, porcellana, argenteria e cristalleria» sorprende per la sua eleganza, sono di ottima qualità anche il cibo e il servizio: «il pranzo eccellente, servito inappuntabilmente da una ragazza, che pareva una signorina vestita da cameriera, tanto era gentile e educata». Introdotti dagli amici svedesi «giustamente fieri di questo stabilimento che è forse unico nel suo genere», i Kapp hanno modo di pranzare nell’area particolare dove «hanno luogo i grandi banchetti parlamentari», mentre al piano inferiore si trova «il restaurant pubblico, pure molto bello, con varie sale, e il caffè, con terrazze, verande, musica, e un magnifico giardino tutt’intorno».

Stoccolma è ricca di prodotti tipici e il sabato mattina di buon’ora l’autrice, con il marito, va a fare acquisti: innanzitutto oggetti in filigrana e spille tradizionali in un’oreficeria, poi un tappeto per il tavolo da pranzo all’Esposizione dei lavori femminili, dove si trovano «i bei lavori che fanno le paesane e anche le contadine, come ricami, stoffe tessute a mano, tappeti, tende, coperte […] con gusto artistico non comune […] una quantità di tentazioni alle quali ho eroicamente resistito, riflettendo […] che le tentazioni non mancheranno specialmente in Russia», meta finale della crociera.
Le visite culturali sono scarse e le descrizioni affrettate: il Museo Nazionale espone oggetti «rari e interessantissimi; mobili artistici, antichi e storici, porcellane, cristalli; oggetti, attrezzi e costumi antichi, sia svedesi che norvegesi, e finalmente quadri e sculture»; il Museo Biologico affascina per lo sfondo: «In forma d’un immenso panorama, con paesaggio analogo, in parte dipinto, in parte reale, contiene tutti gli animali, quadrupedi, anfibi e uccelli, che vivono sulla penisola scandinava, fino al Capo Nord». In compagnia degli amici R., incontrati per caso in un negozio, la coppia si reca al giardino zoologico, Djürgarden, paragonato al Bois de Boulogne di Parigi e al Thiergarten di Berlino. A Skansen, «museo all’aria aperta unico nel suo genere, una perfetta illustrazione in azione della Svezia e Norvegia» Giulia Salvini enumera i diversi tipi di abitazione rurale, completi di arredamento e di inquilini nei costumi tradizionali. Nota anche «un intero villaggio d’Eschimesi, colle loro curiose capanne, i loro cani», che probabilmente confonde con il popolo Sami. Il palazzo reale non la entusiasma, è «d’una semplicità sorprendente», con la sala del Parlamento «ridotta in assai cattivo stato».
Alla Ryddarholm Kyrka, la chiesa della nobiltà svedese, è impressionata dall’esposizione di bandiere e trofei strappati che si trovano presso le tombe dei condottieri. Drottingholm, la reggia fuori città, è «sul genere di Versailles» con «un magnifico scalone […] grandi e bellissime sale, che hanno pure l’aspetto molto abitabile, bene arredate con mobili antichi, e piene di oggetti artistici […] un’interessante collezione di ritratti di tutti i sovrani d’Europa» tra i quali l’autrice riconosce i regnanti italiani del passato, «Vittorio Emanuele II come re di Sardegna e Ferdinando re di Napoli (Bomba!)». La visita a Stoccolma comprende «il giro dei teatri, per averne almeno un’idea» e la coppia, più che assistere agli spettacoli, osserva le strutture: l’Opera è «grande ed elegante», il «teatro drammatico, molto carino ed elegante». L’opinione di Salvini sulla popolazione svedese è positiva, ma formulata frettolosamente: «Gli abitanti sono tanto amabili ed educati, e ci si sente una fiducia, una sicurezza nel prossimo che fa tanto bene!». Si dichiara «molto soddisfatta» della visita e riprende la navigazione per sbarcare a Helsinki il 23 agosto 1904. Anche qui la giornata passata in città è «piacevolissima»: la viaggiatrice è soprattutto interessata a scattare molte fotografie, che compariranno nel suo libro a corredo del testo.
Superati i complessi controlli doganali russi, Helsinki «come Stockholm, Cristiania e Gotenburg si presenta subito all’occhio del forestiero che arriva, dalla sua parte più bella, e in questo le città nordiche sono differenti da quelle degli altri paesi, che per lo più hanno nelle vicinanze del porto o delle stazioni, i loro quartieri più poveri e più brutti». La città ha un «carattere assolutamente svedese», a parte poche chiese e le vetture pubbliche, «russificate contro la volontà dei finlandesi». Lo svedese è parlato dalle classi «educate» e capito da tutti. Le insegne, «che non siano di carattere governativo», sono in svedese e finlandese, «e solo nei nomi delle strade e negli uffici pubblici si trova l’iscrizione russa in aggiunta alle altre due». Salvini ne è certa: «la popolazione odia i russi, non vuol saperne della lingua russa, ed esita perfino ad accettare denaro russo, mentre prende volentierissimo quello svedese».
Su una carrozza che ricorda gli iswostick russi i coniugi visitano il centro; dopo il giardino zoologico e le vie principali, una sosta presso i monumenti storici: la piazza di San Nicola con la cattedrale luterana, «di grandi dimensioni e di bella architettura; e ai lati l’Università, l’Ateneo, il palazzo del Senato e quello del Parlamento, tutti begli edifici, con bei colonnati». Dall’Osservatorio sulla collina si domina la baia con le innumerevoli isolette; il parco consiste di «veri tappeti d’erba, che paiono di velluto, tanto l’erba è fine, fresca ed eguale; non ne avevo mai visti di così belli». Il Brunnsparken, «con magnifici alberi, tutto pieno di ville e di case particolari, il quartiere più elegante d’abitazione», il verde, i giardini, la pulizia rendono la città «molto simpatica». Nel poco tempo rimanente la coppia visita Högholmen/Korkeasaari, isola «di diporto» per gli abitanti della capitale, con caffè, giardini e «diverse attrazioni». Nel caffè incontrano «una renna addomesticata, che veniva a domandare lo zucchero e il pane agli avventori, e lo prendeva dalla mano senza paura. Abbiamo fatto la sua fotografia in diverse pose».

Anche durante la seconda crociera l’autrice sbarca in diverse città; la prima impressione a Reykjavik, raggiunta di notte, è il contrasto fra il silenzio delle strade e la sfolgorante luce del sole: «c’era ancora all’orizzonte il rosso acceso del crepuscolo […] Si distingueva benissimo tutta la graziosa cittadina immersa in un silenzio che pareva strano con quella luce del giorno». Tutto è già organizzato dall’agenzia turistica, ma i due non partecipano alla visita collettiva: «non esiste ancora un Baedeker per l’Islanda, né alcuna buona Guida per viaggiatori in quell’isola; malgrado questo, Carlo e io preferimmo ancora rimanere indipendenti dal resto della società, e fare l’escursione per conto nostro». «Non c’è che un piccolo tratto di strada carrozzabile intorno a Reykjavick; tutte le altre strade, o meglio sentieri, sono impraticabili pei veicoli»; la città «è abbastanza estesa, ma ha assolutamente l’aspetto d’un villaggio, o piuttosto rassomiglia alle nascenti città americane.
Le strade sono tutte in terra, con i marciapiedi di pietra, ma non dappertutto. Le case più antiche sono come capanne, poco più alte di un uomo, con una sola porta a terreno e una finestrina a tetto. Il tetto è ricoperto di terra, e vi cresce sopra l’erba, con fiori di campo, il che fa uno strano effetto. Queste casupole però vanno disparendo – anzi ora sono rare, almeno in città, e fanno posto a case di uno o due piani, ben costruite come le case svedesi». La piazza principale ospita gli edifici più importanti: al centro la statua di Bertel Thorvaldsen, il famoso scultore che la leggenda vuole sia nato a bordo di una nave nei pressi di Reykjavik; la cattedrale, «una chiesetta di modeste dimensioni», e il Thingaus, il Parlamento, «sono i soli edifici in pietra della città»; nel Thingaus si trovano la biblioteca, gli archivi, il museo. Più che ammirata, Salvini Kapp è sorpresa per i quadri «molto primitivi» e per l’esposizione dei costumi nazionali, di attrezzi agricoli e di un telaio, che non si aspetta di trovare in una struttura museale.
Durante la visita coglie l’occasione per riflettere sul Paese, al tempo ancora sotto il governo danese: pur godendo di ampia autonomia, afferma, «è ora l’ambizione e il lavoro continuo degli islandesi […] di liberarsi di questa servitù e potere eleggere il proprio Governatore». Si tratta di un popolo di «innata rettitudine e onestà» tant’è vero che «l’edifizio più inutile di Reykjawick è la prigione, che è sempre vuota […] l’unico rappresentante della polizia e dell’ordine pubblico di Reykjawick vivrebbe una vita d’ozio, se non si occupasse di lavori letterari!». Come d’abitudine, la coppia si dedica quindi agli acquisti: «ci recammo al Thorwaldsen-Bazar: è questa un’istituzione organizzata da un comitato di signore di Reykjawick, per promuovere l’industria nazionale, e a benefizio di questa. Vi si trova in vendita tutto ciò che produce il paese e che è di sua specialità, ed è specialmente interessante pel forestiero. Addette alla vendita sono delle buone signore islandesi, sorridenti, gentili e premurose, che capiscono e parlano un po’ d’inglese […] Facemmo molte compere trovando gli oggetti tutti di eccellente qualità e niente cari; su ciascun oggetto è marcato il prezzo, che è inalterabile ed eguale per tutti». Con queste osservazioni l’autrice si dimostra piacevolmente stupita, non solo per il tipo di organizzazione ma anche per lo spirito di iniziativa delle donne che gestiscono il bazar.
Alla periferia, presso le «sorgenti calde, avviene un incontro fortuito con le lavandaie: «quando arrivammo là, i lavatoi erano pieni di donne e ragazze che lavavano biancheria chiacchierando allegramente fra loro; era un grazioso quadretto, che feci appena a tempo a fotografare, perché non appena quelle si accorsero del nostro avvicinarsi, sia che fossero intimidite, o spaventate dalla vista delle nostre macchine fotografiche, scapparono tutte! Andarono tutte a rannicchiarsi dentro una tenda da campo che era lì presso, e un giovanotto che era con loro ne chiuse l’apertura energicamente con degli spaghi e restò a far la guardia, guardandoci un po’ in cagnesco. Non uscirono più di lì finché noi rimanemmo sul posto, e le sentivamo cinguettare tra loro là dentro come uno sciame di passerotti spaventati!». L’autrice paragona bonariamente le lavoratrici a graziosi animali, sorridendo della loro ingenuità, ma anche in questa occasione, come in altri incontri con le persone locali, l’atteggiamento rimane di benevola, condiscendente superiorità. Sottolinea più volte il carattere mite e dignitoso degli abitanti: «anche [nei luoghi] più modesti e meschini […] non si vede traccia di miseria e sconforto. La gente ha aspetto sano e contento dappertutto, e non si vede un mendicante, né gente che aspetti mance o regali. La popolazione è educata e gentile, premurosa pel forestiero, ma senza interesse, non per la speranza di vedersi pagare con mance la sua premura, come da noi». Manifesta un atteggiamento positivo, pur se combinato con una certa sorpresa, verso le personalità che accolgono i visitatori e le visitatrici: il console della Germania è islandese ma «parla benissimo il tedesco, ed è un perfetto gentiluomo, molto simpatico e intelligente. È il primo negoziante di Reykjavick, una vera personalità del paese»; è lui che organizza un concerto per loro, «che fu proprio bello, una vera rivelazione per noi che vi eravamo andati con alquanto scetticismo», basato su musiche «indigene, antiche e moderne, e fui sorpresa dalla ricchezza di quella musica, melodica, bene istrumentata e benissimo eseguita».
Le manifestazioni della cultura locale, in un primo momento sottostimate e presentate sotto una luce riduttiva, costringono la donna a ricredersi; inoltre, non solo la musica è gradevole e ben eseguita, ma l’alfabetizzazione è diffusa capillarmente e «le famiglie più facoltose mandano i loro figli all’estero, specialmente in Danimarca, alle scuole o all’università; ma quelli poi tornano in patria e cercano in ogni modo di migliorare le sorti del loro paese e di far profittare le classi meno agiate dell’istruzione e dell’educazione da loro acquistate. Questo spiega quella coltura e quel progresso che si notano a Reykjavick, e che ci hanno tanto meravigliati». Un popolo che ama la sua patria, dunque, per quanto povera e lontana dal mondo moderno. L’autrice accenna anche alle attività economiche islandesi, limitate alla pastorizia e alla pesca; nota però con fastidio il forte odore del pesce messo ad essiccare, un disagio che lamenterà pure durante il soggiorno alle isole Lofoten e lungo le coste norvegesi, dove farà scalo in diverse città. Ribadisce più volte che qui il turismo è ideale, perché «l’onestà è una virtù innata in questa gente. Forse anche questo cambierà col tempo, coll’aumentare della frequenza dei viaggiatori forestieri, e della civilizzazione, ma per ora è così, ed è molto piacevole»; in particolare, afferma che «[i prezzi] tanto degli alberghi, come dei mezzi di trasporto, e anche degli oggetti da vendere, o dei servizi resi, sono molto, molto moderati, e anche per questi si è sempre gentilmente ringraziati, senza recriminazioni, e senza che nessuno pensi a domandare più di quello che gli è dovuto».
Elenca ancora buoni alberghi e caffè con bella vista panoramica; a Hammerfest «nei tanti negozi lungo il porto comperammo una magnifica pelle d’orso bianco, una di volpe blu e una di volpe bianca, a prezzi minimi, in confronto a quel che si paga da noi. Poi anche un bel dente di cavallo marino, e una piccola foca imbalsamata. Ogni passeggiero tornava a bordo carico di compere fatte». Fuori città visitano la «gran colonna di granito, sormontata da un globo di bronzo» eretta nel 1854: è il Cippo del Meridiano (Meridianstøtten) che congiunge idealmente la città norvegese con Izmail, nelle vicinanze di Odessa. Pure Tromsø ospita grandi negozi di pellicce e souvenir; essendo domenica dovrebbero restare chiusi, come accade in tutto il Nord, ma «in riguardo ai numerosi forestieri che volevano comprare» aprono le porte al termine della funzione religiosa. Tutti loro acquistano ancora pelli e «oggetti d’ogni sorta; era una vera processione di pacchi che erano portati a bordo». Qui l’autrice visita incuriosita il cimitero, così diverso da quelli italiani, «romantico e ben ideato: una parte del bosco, lasciato in tutta la sua natura, è chiusa da uno steccato, e là dentro, sotto gli alberi, senza speciale disegno, sono sparse le tombe, e dei banchi dove i visitatori possono sedere in compagnia dei loro cari dipartiti». Infine, avviene l’incontro con il popolo Sami, descritto secondo lo stereotipo del tempo.
Allontanandosi dalla città, dove aleggia l’odore del pesce e dell’olio di balena, «un altro puzzo, indefinibile, ma caratteristico, ci annunziò l’avvicinarsi dell’accampamento dei Lapponi […] brutti generalmente, ma fra le donne giovani si vede qualche visetto grazioso, e anche fra i bambini. Sono tutti molto sudici ed emanano un odore loro proprio e ributtante, ma sono gentili, astuti soprattutto, e interessanti». I Sami cercano di vendere oggetti artigianali, «corna di renne, pelli, coltelli, borse e scarpe ricamate, cucchiai d’osso e d’argento e bambole vestite con i loro costumi, ciangottando un po’ di norvegese e anche qualche parola d’inglese». Merci di bassa qualità, ma offerte «a un prezzo assolutamente derisorio!». All’arrivo delle renne «tutta quella piccola gente cominciò a saltare, a correre, a spingerci fuori dal recinto centrale, gridando e facendoci segno verso la collina con grande agitazione», confermandosi incapace di articolare parole comprensibili.
La crociera si conclude a Bergen, un importante approdo per i viaggi turistici, oltreché centro nevralgico dell’industria ittica norvegese. La sosta è un’occasione per riflettere ancora sulle conseguenze del turismo rispetto allo sviluppo economico di questa parte del Paese: anche qui, come nelle altre città costiere, molti negozi sono privi di merci a causa dell’affluenza turistica; tuttavia, grazie alle attività commerciali, la popolazione è divenuta benestante e l’autrice ribadisce che nessuno chiede mance e i prezzi sono molto moderati. Dopo una visita in carrozza della città e dei punti panoramici, la coppia si reca al Museo che ospita «una collezione ricchissima di orsi, bianchi e quelli neri d’ogni razza […] pesci imbalsamati, balene immense, foche, cavalli marini, e altri mostri di questi mari». Da qui i Kapp proseguono autonomamente verso Cristiania, non prima di aver visitato i fiordi circostanti. L’avventura attraverso le montagne del Telemark permette loro di alloggiare in alberghi semplici, puliti e sempre forniti di un emporio in cui fare acquisti: «[l’albergo] è in legno, ma elegantemente costruito con tutti i comodi moderni: bagno, telegrafo e telefono, belle camere ben arredate, e molte verande, vestiboli, recessi […] vi è anche un bazar con quantità di oggetti, specialità del paese, specialmente ricami e tappeti tessuti a mano». Talvolta la quiete è turbata da folti gruppi di stranieri, tanto che la coppia cambia albergo all’arrivo di «una comitiva di ottanta persone», a ribadire quanto fosse già diffuso il turismo nell’area all’inizio del XX secolo.


Nel 1905, quando Salvini Kapp arriva a Cristiania, la città non è che un importante centro del regno di Svezia. Sta però per verificarsi un evento eccezionale: il plebiscito che stabilirà la costituzione del regno di Norvegia, il 13 agosto. I coniugi trovano le vie attraversate da «un movimento, un’animazione straordinari […] Tutto era pieno: le strade, gli alberghi, i caffè, le birrerie, tutto rigurgitava gente allegra […] Ognuno, donne, uomini e bambini portavano sventolanti sul petto i nastri dei tre colori nazionali […] Innumerevoli le bandiere sventolavano da ogni edificio, da ogni bastimento e barchetta nel porto. I tram erano imbandierati e inghirlandati; numerosi ragazzi vendevano bandierole, coccarde, cartoline». L’autrice sottolinea che «l’entusiasmo del popolo però era nordico, tranquillo e ordinato, senza canti, senza grida e senza chiasso; pareva che il popolo fosse compreso della gravità del fatto che stava per compiere», finché a sera, per seguire i risultati, «delle folle immense cominciarono a stazionare davanti alle redazione dei diversi giornali, dove mano a mano che giungevano i dispacci dall’interno, venivano pubblicati su grandi trasparenti illuminati a luce elettrica. All’apparire di ognuna di queste notizie, specialmente se portava un numero di Sì con zero No, la folla scoppiava in fragorosi applausi e urrà!, e allora era un correre di qua e di là per comunicarsi il nuovo risultato, uno spingersi per avanzare e vederlo bene con i propri occhi; ma tutto col massimo ordine e riguardo reciproco.
L’animazione nelle strade, e specialmente nella Karl Johanns Gade, che è la strada principale, durò fino alle due del mattino, e con essa l’entusiasmo che andò sempre aumentando. Poi le notizie cessarono, e ognuno andò a casa contento, soddisfatto e in buon ordine. All’indomani la città aveva ripreso il suo aspetto normale; non si vedevano più bandiere né affollamenti, ognuno lavorava e aspettava tranquillamente il risultato finale del plebiscito, che doveva decidere delle sorti del paese». Anche a Cristiania vengono frequentati locali eleganti, come il Caffè del Grand Hotel che offre «un Buffet molto appetitoso […] abbiamo domandato una bottiglia di Oel (così si chiama la birra norvegese) e siamo stati benone». Durante l’abituale visita in carrozza si verifica uno dei rari tentativi di autonomia, quando la scrittrice dialoga con il cocchiere in norvegese: «avevo messo in tasca il piccolo vocabolario del Baedeker, e senza che gli altri mi vedessero, studiavo delle frasi che poi con il maggior sussiego dicevo al cocchiere, il quale con gran sorpresa di tutti mi capiva, e mi rispondeva sorridendo, tutto contento che uno almeno parlasse la sua lingua. Ma il mio trionfo durò poco! La mia manovra venne scoperta, ed ebbi a soffrire una pericolosa concorrenza specialmente da parte di Carlo che mi sorpassò ben presto!». Anche in questo caso, nel discorso narrativo è assente qualsiasi rivendicazione di autonomia dal marito, del quale anzi viene riconosciuta la superiorità, insieme con il compiacimento nell’avere sempre a fianco un consorte amorevole e protettivo.
Su iniziativa di lui il viaggio prosegue, per terminare a Gefle [oggi Gävle]per visitare gli amici R., incontrati a Stoccolma durante il viaggio precedente. La cittadina svedese è l’ultima tappa del secondo viaggio e qui l’autrice sottolinea il ruolo importante che la famiglia ha rivestito nella piccola comunità: «per generazioni, di padre in figlio sono stati sindaci della città, al cui progresso e benessere si sono sempre interessati». La coppia trascorre una settimana «piacevolissima», tra gite nella campagna e incontri con conoscenti; Salvini Kapp descrive ancora una volta lo stile gradevole degli interni svedesi, il «buon gusto» e la razionalità dell’abitazione: «La casa è un vero museo di bei mobili antichi, di collezioni raccolte nei differenti viaggi, di oggetti antichi del paese; tutto è messo con tanto gusto, e tanto giudiziosamente adattato ai bisogni moderni, che anche il forestiero che entra in quella casa per la prima volta, prova subito un senso di conforto come se fosse a casa propria» e il soggiorno si conclude con una nota di partecipata nostalgia, che rimarrà a lungo nei ricordi dell’autrice.
In copertina. Città di Oslo.
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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.