Il salotto casertano: alla ricerca di verità e giustizia. Donne e impegno civile

Ci sono anni che, più degli altri, hanno formato e distrutto. Anni che sono divenuti definizione per eventi ben più grandi di ciò che forse sarebbero stati in grado di sopportare. Anni, infine, che hanno significato fine e inizio, un filo di trame strette con il passato, e una soglia da attraversare per potersi permettere di guardare al futuro.

Il 1960 e il 1970, in Italia, sono stati quei decenni lì, spaventosi e ribollenti di spirito, idee e cambiamenti; terrorizzanti ma pieni comunque di obiettivi e di voglia di realizzarli. Decenni che hanno obbligato il nostro Paese ad affrontare concetti come strategia della tensione, Stato nello Stato, anni di piombo, guardando negli occhi ciò che di nero e buio si era trascinato dalle spalle.
A pochi giorni dall’anniversario delle bombe di Piazza della Loggia a Brescia, di questo si è parlato durante il consueto appuntamento di Toponomastica femminile e del Salotto casertano. Un’occasione nella quale, la ricerca di verità e giustizia ha assunto connotati di donna.

L’incontro, moderato dalla giornalista del Mattino Lidia Luberto, si è aperto con il consueto intervento della referente provinciale Fosca Pizzaroni.
Il primo, importante, contributo è stato quello di Giovanni Cerchia, ordinario di Storia Contemporanea all’Università degli Studi del Molise, che ha offerto una panoramica politica internazionale sul mondo prima e dopo la strage di Piazza Fontana.

Il 12 dicembre del 1969 ha assunto, in questa narrazione, il ruolo di termine post e ante quem da cui sviluppare una sintesi, articolata e preziosa, di cosa e come era l’Italia che ha vissuto, subito, costruito e affrontato la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Un Paese di certo contraddittorio, anelante di novità e giustizia, spaventato ma anche consapevole delle proprie capacità, della propria coscienza democratica, e che in una qualche maniera chiede di fare i conti con ciò che è accaduto.

Il secondo e altrettanto prezioso intervento è quello di Paolo Franzese, dirigente archivistico, che, proprio in veste di esperto, ha posto l’accento sul fondamentale lavoro di ricerca anche per un argomento che apparentemente e per definizione dovrebbe essere molto distante dalla possibilità di essere approfondito e sviscerato da una minuziosa analisi documentaria.

Franzese, in particolare, ha evidenziato la doppia faccia contro la quale ci si va scontrare nel momento in cui si inizia ad avere a che fare con determinati aspetti della storia nazionale: una faccia archivistico – amministrativa e una faccia politica, legate l’una all’altra. Il discorso prosegue poi con l’accenno alle direttive (Direttiva Prodi e Direttiva Renzi) che, in una qualche maniera, hanno provato ad allargare le maglie della segretezza di Stato.
Di estremo interesse, infine, la presentazione dell’Archivio Flamigni
(http://www.archivioflamigni.org/) e del portale Per non dimenticare (https://www.memoria.san.beniculturali.it/).

La verità, dunque, oltre che scoperta e approfondita va fatta: dalle istituzioni, dagli e dalle studiose, dai e dalle cittadine, che non devono accontentarsi, ma ricercare, documentare, conoscere e far conoscere.

È poi il momento di Benedetta Tobagi, storica, ricercatrice, scrittrice, studiosa che, con il suo corposo intervento, ci porta all’interno del mondo processuale delle stragi, spiegando, con estrema chiarezza, quanto sistematiche siano state le azioni di depistaggio e sabotaggio dei percorsi di indagine: il Segreto di Stato, che pure blocca l’azione della magistratura, è stato usato solo in minima parte. Per il resto, le carte sono state nascoste o distrutte.

Partendo dal processo sulla Strage di Piazza della Loggia, Tobagi ha spiegato quanto il problema sia profondamente complesso: tutta una serie di meccanismi di potere, interni o esteri, che sono stati, ormai chiaramente, messi in atto alle spalle di una Repubblica, quella Italiana, giovane e dalle strutture estremamente fragili e che, soltanto oggi, a distanza di moltissimi anni, stanno permettendo di intraprendere il percorso verso la verità.

A seguire, partecipato e coinvolgente è stato l’intervento di Sara Marsico, insegnante ora in pensione, attivista, avvocata. Marsico ha raccontato la sua esperienza, di ragazzina prima e di docente poi che, a partire da Piazza Fontana, ha dovuto e voluto fare i conti con la realtà stragista di questo Paese. In particolare, commovente il suo racconto di volontariato nelle carceri che l’ha portata a conoscere in prima persona due dei tanti nomi legati a questa scia di sangue. L’appello che Sara Marsico ha lanciato è un impegno che tutti e tutte noi dovremmo assumere come nostro: continuare sempre a informarci, non farci mai bastare ciò che pensiamo di sapere, studiare, leggere, approfondire, fare attivismo e, così, costruire la nostra libertà.

A conclusione di questo salotto, così denso e ricco di cultura e testimonianze, è stato letto un passo di un poema in ottave romanesche tratto dall’opera di Elia Marcelli, Li romani in Russia.
Marcelli, poco conosciuto rispetto forse a Mario Rigoni Stern, ha raccontato la sua esperienza di soldato mescolando poesia, ironia e impegno politico. Questo il frammento citato:

«A ‘sto punto guardàmose ne l’occhi;
lo so cosa pensate, fiji belli:
ch’io parlo der Paese dei Balocchi
o der Paese de li Campanelli,
’ndo se fanno i discorsi pe’ l’allocchi
e se pija la gente pei fondelli;

perché la storia detta a ’sta maniera,
pare fasulla perché è troppo vera!
Oggi, però che compio sessant’anni,
fiji, fratelli e nipotini mia,
che so’ acciaccato e pieno de malanni,
ve chiedo: v’ho mai detto una bucìa?
Me so’ rimasti pochi compleanni,
poi ve saluto e me ne vado via;
siccome nun ciò sòrdi da lassà,
vorrei lassavve… un po’ de verità!
La verità, purtroppo, è come er vetro
ch’è trasparente si nun è appannato,
pe’ nascónne quello che c’è dietro
basta ch’uno apre bocca e je dà fiato!
Cristo, l’ha rinnegato pure Pietro
e Giuda pe’ du’ sòrdi, l’ha baciato;
e le parole più so’ ricercate
più t’hai domannà chi l’ha pagate!
Voi leggerete tanti libbri belli

de poeti famosi e letterati;
io invece leggo er Gioacchino Belli
ched’è er poeta de li ciorcinati,
ched’è er poeta de li poverelli
che pàrleno, perdìo, come so’ nati!
Me sbajerò, perché so’ un ignorante
ma er Belli dà le mele pure a Dante!
Perché lui te ritratta ar naturale
la vera storia de la pôra gente
sotto a l’antica nerchia clericale!

L’antri poeti, nun je frega gnente
pàrleno un itajano artificiale
e leccheno er gregorio a chi è potente!
E che dice quer loffio der Manzoni?
“Ce sta òa Providenza, state bòni!”
E a forza de stà bono e de stà zitto
er popolo diventa pecorone;
sgobba, fatica, se consuma er fritto,
e appena fa caciara cor padrone,
la Providenza je spedisce un dritto
che j’offre er monno sano da un balcone:
e prima che s’accorga der tranello
è diventato carne da macello!»

Per una visione completa del salotto, si rimanda al link:
https://www.youtube.com/watch?v=vSHMaK0IlTE&t=56s

***

Articolo di Sara Balzerano

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Laureata in Scienze Umanistiche e laureata in Filologia Moderna, ha collaborato con articoli, racconti e recensioni a diverse pagine web. Ama i romanzi d’amore e i grandi cantautori italiani, la poesia, i gatti e la pizza. Il suo obiettivo principale è quello di continuare a chiedere Shomèr ma mi llailah (“sentinella, quanto [resta] della notte”)? Perché domandare e avere dubbi significa non fermarsi mai. Studia per sfida, legge per sopravvivenza, scrive per essere felice.

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