Carissime lettrici e carissimi lettori,
la vita e la morte. Il gioco ineluttabile ed eterno tra Thanatos, la morte nella Grecia antica, e il respiro. Oggi la morte arriva in diretta. Viene filmata. A compiere questa dissacrazione ci sono i mezzi meccanici che fissano in eterno ciò che l’umanità da sola sa guardare unicamente nell’attimo dell’accadere. La morte ci arriva così: da un telefonino, da un video riprodotto da un quotidiano elettronico, da un telegiornale, o meccanicamente filmata da una telecamera stradale.
Nell’epoca della riproducibilità tecnica secondo la fortunata definizione di Walter Benjamin nel saggio del 1937 sulla trasformazione e fruizione dell’opera d’arte, le notizie oggi viaggiano nell’etere, alla velocità della luce. Spesso impietose, sempre immediate. L’atto si spoglia di quel pudore, di quell’intimità che è propria del mondo animale e che dovrebbe appartenere anche all’umano.
Così abbiamo visto morire, ucciso da una forza brutale quanto inutile, Alika Ogorchukwu, il venditore ambulante nigeriano, di 37 anni, che si aiutava, nel vendere le sue merci, con una stampella per una sua gamba malata. Lo ha ucciso un futile motivo, un’insistente richiesta di acquisto dei suoi fazzoletti di carta, su un marciapiedi, nel cuore cittadino di Civitanova Marche. Intorno la gente urlava, tentava di intervenire, frenata e impaurita dall’energumeno che aveva decretato e messo in atto la morte di Alika. Ma quei minuti, solo quattro, terribili, che hanno visto l’assalto, l’agonia e la morte di un uomo, sono stati anche filmati, con mano ferma, riducendoli a un atto di indifferenza che azzera la pietà, la pietas dei latini, di chi chiede aiuto e poi cede e chiude inerme il suo respirare.
Alika è morto da solo, ma è stato ucciso tra la folla. Anche quella che lo vedrà e rivedrà, nella sua lotta con la paura, nella sua ultima, velocissima e feroce partita a scacchi. Non però decisa in prima persona, come nel famoso film svedese.
Quando, infatti, il regista Ingmar Bergman descriveva, nel 1957, ne Il settimo sigillo, l’indimenticabile scena della partita a scacchi tra Antonius Block, cavaliere di ritorno dalle crociate, e la Morte, che era venuta a prenderlo, con tanto di maschera e falce, ci indica il bisogno dell’umanità intera a posticipare l’inevitabile, sapendo che nessuno e nessuna di noi ha possibilità di scelta e che lo scacco finale arriverà ineluttabile.
Ma al di là della fine violenta. Come è avvenuto per Alika Ogorchukwu, troppo giovane per morire, ingiustamente, per i bisogni che era venuto a cercare qui, lontano dalla sua terra di nascita, per i sogni che poteva avere per la sua famiglia.
Troppi hanno filmato quell’uccisione, purtroppo anche (e noi ci auguriamo non solum) per avere un mi piace in più sui social. Sfortunatamente, non è la prima volta che questo protagonismo mediatico si fa vivo e pretende attenzione. Ma è disumano e perverso.
Dacia Maraini si sofferma sull’indifferenza dei passanti e commenta in un’intervista: «Siamo precipitati dentro una cultura della virtualità. Non riusciamo più a distinguere la recita dalla realtà. Ogni azione sembra avvenire su un palcoscenico e davanti a un palcoscenico cosa fanno gli spettatori? Guardano e fotografano[…] Stiamo diventando tutti spettatori, dimenticando che non siamo davanti a uno spettacolo, ma a una realtà. Le immagini – continua Maraini – mi hanno fatto pensare a un altro fatto accaduto recentemente: l’uomo nero George Floyd ucciso dal poliziotto bianco Derek Chauvin. Nelle immagini anche confuse del caso italiano, si scorgono le ginocchia potenti dell’aggressore che tengono inchiodato a terra il collo del povero africano…Anche nel caso americano la gente non è intervenuta, ma si trattava di un poliziotto. Qui invece si trattava di un passante in calzoncini ed è gravissimo che nessuno sia intervenuto[…]Dobbiamo sinceramente interrogarci su che cosa sia successo delle parole di Cristo di cui ci riempiamo la bocca. Speriamo di vedere in Italia la stessa indignazione e la stessa rivolta etica che il caso Floyd ha suscitato in America».
Anche Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele, osserva: «Il male non è solo di chi lo commette ma anche di chi guarda e lascia fare oppure volge lo sguardo altrove. Il male – chiarisce don Ciotti – si nutre da sempre di un combinato di crudeltà e malvagità, d’indifferenza e viltà. Le prime due riguardano gli autori del male, le seconde gli spettatori. Questo ci dice l’omicidio di Alika. È certo importante che l’autore dell’omicidio venga punito nei termini di legge, ma è altrettanto importante interrogarsi sul grado d’indifferenza a cui può giungere una società individualista, dove le relazioni sono dettate solo dall’interesse e dove l’altro è riconosciuto solo in quanto complice o nemico. Ma una società senza empatia, incapace di ascoltare il grido di chi si sente in pericolo di vita o sente la sua vita andare alla deriva – l’indifferenza verso Alika è gemella dell’omissione di soccorso che ha ucciso migliaia d’immigrati africani in questi anni nel Mar Mediterraneo – non è più una società ma un assembramento di coscienze anestetizzate e di cuori inariditi. Una fucina di violenze, soprusi, razzismi, guerre…Si parla tanto di ripartenza e di ripresa economica. Ben venga la crescita del prodotto interno lordo, ma non ci sarà mai un vero cambiamento e un vero progresso finché non diventeremo persone capaci di sentire l’indifferenza come un reato di coscienza più grave degli stessi reati inclusi nel codice penale, finché non sentiremo le ferite e i bisogni dell’altro come se fossero nostri. L’egoismo uccide l’umanità, l’indifferenza è complice dell’omicidio». A meno di due mesi dalle elezioni, con un’estate che incombe sempre più calda, i toni, soprattutto quelli delle e dei sovranisti e delle/dei razzisti, sono stati costretti a mitigarsi, a farsi più cauti in modo da non spaventare l’Europa e incoraggiare gli elettori e le elettrici più moderate/i.
Ha avuto ragione il filosofo Cacciari quando afferma, su un quotidiano, «che in tempo di elezione tutti gli estremismi si acquietano, si placano perché si ha bisogno di essere accettati in Europa e un mese per farcela è davvero poco, dopo i razzismi e i sovranismi di un tempo a cui era abituata tanta politica». Allora se un tempo si gridava al «lasciateli in mare» oggi Matteo Salvini, che ci dice che sarà il popolo a decidere del suo ritorno al Viminale, da dove a suo tempo ha combattuto con forza l’immigrazione, su twitter digita a proposito del delitto di Civitanova Marche: «Non si può morire così. Una preghiera per Alika e un abbraccio alla sua famiglia, per l’assassino pena certa fino in fondo. Città allo sbando, violenze di giorno e di notte, non se ne può più: la sicurezza non ha colore, la sicurezza deve tornare ad essere un Diritto». Ben altre erano state le parole che l’ex ministro aveva speso sull’omicidio di Voghera quando era morto Youns El Boussettaoui, di 39 anni, ucciso con un colpo di pistola partito dalla mano dell’assessore leghista Massimo Adriatici.
Ingiusta e, soprattutto, sprecata, è anche la morte delle due sorelle, Giulia e Alessia, di appena 15 e 17 anni, falciate, sui binari dove erano inspiegabilmente scese, da un Frecciarossa lanciato a duecento chilometri l’ora, in transito nella stazione di Riccione. Le due sorelle erano di ritorno da una notte trascorsa in una delle discoteche della riviera. Questo fatto tragico ci deve far riflettere sulla protezione dei ragazzi e delle ragazze che vanno a passare le notti, soprattutto quelle del sabato, in locali dove succedono cose che non c’entrano nulla con il puro divertirsi e l’avere momenti di leggerezza. Abusi di alcool, uso di droghe e sostanze eccitanti, furti, di cui sembra siano state vittime le due giovanissime sorelle della provincia di Bologna.
Parliamo di donne, o meglio di gender. A Roma con il nuovo anno accademico si attiva a La Sapienza, prima università della capitale, il primo corso di laurea (magistrale) italiano di Gender Studies, culture e Politiche per i Media e la comunicazione aperto alle facoltà di Scienze Politiche, Lettere e Filosofia, Sociologia, Comunicazione, Medicina e Psicologia. «Le laureate e i laureati in Gender Studies, Culture e Politiche per i Media e la Comunicazione – scrive l’Università per presentare ilcorso – possiedono una solida conoscenza dei fenomeni legati all’emergere di nuove culture e soggettività, all’affermarsi dei cambiamenti determinati dall’ingresso delle donne nella sfera pubblica, dei processi di costruzione delle identità collettive che modificano i fondamenti della cittadinanza, all’affermarsi di processi di costruzione delle identità collettive; sono inoltre in grado di riconoscere e analizzare criticamente le rappresentazioni e le narrazioni sociali, politiche e economiche contemporanee che tendono a riprodurre disparità, squilibri e disuguaglianza fondate sul genere e sulla intersezione con dimensioni socio-economiche (di età, nazionalità, etnia, classe, condizione economica, orientamento sessuale, ecc.)».Un buon passo.
Un buon passo che deve essere fatto anche nel mondo della politica. Per le prossime elezioni, praticamente estive (a soli due giorni dall’ingresso dell’autunno) dobbiamo insistere perché il numero delle donne sia equilibrato rispetto a quello dei colleghi e che ci sia eguaglianza anche nella scelta futura degli incarichi. Noi Rete Donne, che raggruppa da anni numerose associazioni che si occupano del mondo femminile e del suo rapporto con la società, ha scritto una Lettera aperta ai leader dei partiti politici per una effettiva democrazia paritaria (Noi donne 1/08/2022) «affinché nel prossimo parlamento si realizzi la rappresentanza paritaria tra donne e uomini». In modo che la voce di oltre la metà della popolazione sia effettivamente rappresentata e dunque sia compiuto un atto di vera democrazia.
Vorrei presentare con allegria la poesia di oggi, scansando questa calura persistente. É stata scritta da Grace Paley (1922-2007), definita dal critico Walter Clemons «una delle più grandi scrittrici della letteratura americana del Novecento e considerata, insieme a Carver, la madre del nuovo racconto americano – grazie alle sue raccolte di racconti diventate in pochissimo tempo veri e propri libri di successo e di culto». Grace Paley, che ora avrebbe compiuto cento anni, è stata una scrittrice, poetessa e docente universitaria newyorkese di origine ucraina, «maestra di un humour sovversivo e di uno stile letteralmente rivoluzionario e travolgente».
La raccolta Volevo scrivere una poesia, invece ho fatto una torta (che per bellezza ha dato anche il titolo a questo editoriale) è stata definita «Estrosa, pungente, caotica, puro jazz». Ecco la poesia, che dà anche il titolo al libro (Sur 2022). Grace Paley, attivista, pacifista «coraggiosa, combattiva, ironica, generosa innamorata – così come l’ha definita Paolo Cognetti nell’introduzione del libro in italiano – …come succede ai veri classici, continua anche dopo la morte a sembrarci straordinariamente attuale».
Stavo per scrivere una poesia
invece ho fatto una torta, ci è voluto
più o meno lo stesso tempo
chiaro la torta era una stesura
definitiva una poesia avrebbe avuto
un po’ di strada da fare giorni e settimane e
parecchi fogli stropicciati
la torta aveva già una sua piccola
platea ciarlante che ruzzolava tra
camioncini e un’autopompa sul
pavimento della cucina
questa torta piacerà a tutti
avrà dentro mele e mirtilli rossi
albicocche secche tanti amici
diranno ma perché diavolo
ne hai fatta una sola
questo non succede con le poesie
a causa di una inesprimibile
tristezza ho deciso di
dedicare la mattinata a un pubblico
ricettivo non voglio
aspettare una settimana un anno una
generazione che si presenti il
consumatore giusto.
Grace Paley
Buona lettura a tutte e a tutti
Presentiamo gli articoli di questo numero. Cominciamo da Quel senato del paleolitico, in cui l’autrice commenta l’assurda decisione del Senato della Repubblica italiana di non rispettare la distinzione di genere nelle comunicazioni ufficiali, di cui abbiamo già parlato nell’editoriale della scorsa settimana. Contro questa misoginia linguistica continuiamo nella nostra proposta di figure e percorsi al femminile, convinte che prima o poi anche i più ostinati e retrogradi saranno costretti a ricredersi. La donna di Calendaria di cui leggeremo è Charlotte Perriand, architetta e designer rivoluzionaria, pioniera della modernità e della sostenibilità. Di una donna eccezionale, Edith Stein,filosofa dell’empatia, si racconta in un articolo che ha il grande pregio di sottolineare l’importanza della lettura dei testi di questa donna per chi svolga con passione e per scelta la professione di insegnante.
Per la serie Viaggiatrici del Grande Nord in Incontri nordici: Luisa Bruschetti Santandrea fra realtà e immaginazione, continuiamo a seguire «una donna alla ricerca di sé stessa mentre esplora un territorio sconosciuto». Proseguono le puntate del Laboratorio esperienziale di scrittura creativa con Una stanza tutta per te. Trama, in cui si affrontano la nascita e la germinazione dell’ispirazione che porta a scrivere, con molti consigli ed esercitazioni. La realtà ri-creata. Tiziana Robbiani. Sprazzi di vita è l’intervista a un’artista lombarda eclettica e fortemente impegnata nel sociale, mentre una nuova serie è al suo inizio, Virtuosa e mostro, una ricerca che parte dalle origini della vita umana indagando attraverso i miti la paura e la curiosità dei maschi verso il potere femminile di generare. La Tesi vagante di questo numero si accosta in parte al tema delle donne mostro di cui parla questo approfondimento nell’articolo Fear of Diversity: genere e identità in Frankenstein e Frankissstein, che accosta un tema spinoso, a lungo osteggiato, quello del trangenderismo, attraverso le opere di due grandi scrittrici, Mary Shelley e Jeanette Winterson.
Per gli itinerari Toponomastici consigliamo soprattutto a chi si trovi in vacanza in Toscana Prato: toponimi e figure femminili. Una ricerca per il presente e per il futuro, in cui non potendo fare a meno di constatare la disparità di genere nell’intitolazione dei luoghi, l’autrice elenca le donne di cui verranno a breve tratteggiate su Vitamine vaganti biografie più o meno ampie.
Il salotto casertano va in vacanza è il resoconto accurato e ricco di stimoli dell’ultimo incontro di questa bella serie, che ha affrontato temi interessanti e che si è concluso con il confronto sulla nuova disciplina trasversale Educazione civica. Per la Sezione Sport potremo leggere la Storia della pallavolo femminile italiana, in cui apprenderemo, se ce ne fosse ancora bisogno, con grande amarezza, le discriminazioni verso le sportive che tanto hanno dato a questa disciplina.
La metà dell’arte a Tivoli. Krasner e Fried è la prima parte della recensione della Mostra inaugurata a Tivoli, nel palazzo della Procura della Repubblica, La metà dell’arte: pittrici, scultrici, fotografe, street artist del Novecento, curata da Toponomastica femminile, nell’ambito di un progetto finalizzato alla sensibilizzazione sul tema del contrasto alla violenza.
Il Luglio di Toponomastica femminile ci accompagna tra le iniziative organizzate in tutta Italia dalla nostra associazione in questo mese torrido, questa volta con lo sguardo di Frida Kahlo.
Chiudiamo, come sempre, con la nostra ricetta antispreco, Crostini di pane raffermo, augurandovi buon appetito.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.