Editoriale. Trasparenza e ricostruzione. Un’indicazione per la politica

Carissime lettrici e carissimi lettori,

sotto il cielo della Vergine e della Bilancia. Inizio dell’autunno, nell’emisfero Boreale, e principio di primavera in quello Australe. Settembre, nono mese dell’anno per il calendario gregoriano, settimo del calendario romano (per questo il nome, september, in cui è riconducibile il numero sette). Caligola (nel 37 a.C.) lo nominò Germanico in onore del padre.

Nel calendario rivoluzionario francese l’anno terminava proprio a cavallo del mese di settembre. Si chiamava Fruttidoro fino al 16 o 17 di settembre, poi vi erano cinque giorni detti Sanculottidi, infine, dal 22 settembre alla fine del mese si cadeva nel primo mese del calendario rivoluzionario, chiamato Vendemmiaio.

Settembre è entrato, poi, nelle melodie di moltissime canzoni, da Lucio Battisti, alla Premiata Forneria Marconi, a Luca Carboni e, indimenticabile, a Francesco Guccini: «settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età/dopo l’estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità/ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità/come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità». Un mese, dunque di inizio, di riflessione e di preparazione al tempo a venire. Oggi è il mese dell’inizio della scuola (prima affidato ad ottobre) e, come sempre, del ritorno di massa dalle vacanze estive. Ma oggi, in questo anno domini 2022, settembre è il mese delle elezioni politiche, del rischio di un rimaneggiamento della Costituzione, fino ad ora giudicata tra le più belle del mondo. Di un annuncio della probabilità di una donna a capo del Governo. Ma non ci può bastare. Non è sufficiente. Non può bastare se non si difendono le donne già nel proprio programma. Se si mostra di usare una modalità maschilista di arrivo al potere. Non è sufficiente solo essere donna. Anzi, si possono offendere le donne, negando e tentando praticamente di cancellare leggi e diritti conquistati con anni di pensieri, di interventi e dimostrazioni per fare in modo che queste leggi e questi diritti esistano per tutte nel presente e nel futuro, per non bloccare per ora le cosiddette quote rosa, perché sono ancora necessarie e sono state utili all’avanzamento delle donne nelle professioni, soprattutto in politica, con tutti i limiti di cui si carica questo espediente.

Ci può offendere il fatto che una donna, che è nel privilegio, possa dire ad altre donne di essere capace di proseguire, una volta arrivata alla più alta carica del Governo, il suo ruolo di madre. Purtroppo non funziona così. Bisognerebbe, invece, e da una donna ce lo aspetteremmo con più vigore, pensare a riforme che portino chi sceglie, per esempio, di essere madre (genitore) a poter usufruire di infrastrutture adeguate, come i nidi, per fare in modo che si possa lavorare senza pesare sui nonni e le nonne o minare lo stipendio per l’accudimento, chiamando persone esterne. Invece di autotrionfalismi e di autodefinizioni di «donna che interpreta la parità come una sfida». Aggiungere poi frasi tipo: «le donne si organizzano sempre» è pericoloso. Lo ripetiamo: non funziona in questo modo e chi si candida allo scranno più alto del Governo dovrebbe saperlo, o almeno intuirlo. Le donne tutte, quelle che non vivono in una situazione di privilegio, è vero, «si organizzano», ma lo fanno a loro spese, cercando di arrabattarsi tra mille cose, spesso rinunciando a tante altre che le riguardano: non per scelta, ma costrette.

Purtroppo la Storia ci dà subito i riscontri. A pochi chilometri, ad est del nostro Paese, un già collaudato governo sovranista, quello dell’ungherese Viktor Orban, indica il suo pensiero triste e, aggiungerei, turpe, riguardo alle donne. Una proposta al parlamento centrale parla del fenomeno dell’istruzione rosa che favorirebbe le donne e potrebbe mettere in pericolo l’economia, abbassare il tasso di natalità e svantaggiare gli uomini.

Alla base di tanta…paura verso le donne che studiano, si laureano e lavorano, grazie al titolo di studio, c’è una raccolta di dati che aveva coinvolto a suo tempo 700 studenti e i loro genitori. «Si tratta di uno studio – scrive su questa situazione ungherese un giornale che si rivolge a un pubblico in grande parte femminile (Vanity Fair) – che ha rilevato che, a fronte di un maggiore numero di donne iscritte all’università, nel 2022 pari al 54,5%, sono sempre di più gli studenti maschi che lasciano gli studi prima di concludere il percorso accademico».

E fin qui, solo dati. «Il problema sono le conclusioni del rapporto – continua l’articolo – che da questo dato trae scenari negativi: se la tendenza femminile dell’università venisse confermata nei prossimi anni, tra qualche anno in Ungheria le laureate supereranno i laureati, e questo le porterà a non sceglierli come loro mariti e quindi a non fare figli. Ricordiamo che l’Ungheria è al ventiseiesimo posto in Europa secondo il Gender Equity Index 2021, e il suo punteggio non è migliorato dal 2018 a oggi. Nel Paese le donne sono spinte a fare figli, perché il tema della natalità è carissimo al governo Orbán. Nel 2019 una legge ha tolto le tasse sui redditi (a vita) per chi concepisce almeno quattro figli. Non solo. Anche le finanze e il commercio sarebbero intaccati perché «sono le caratteristiche maschili a costituire la base necessaria per lo sviluppo ottimale dell’economia». Ma se le insegnanti sono soprattutto donne (secondo il rapporto oltre l’82%), promuoveranno lo studio di soggetti tipicamente femminili a svantaggio dei maschili, e saranno spinte a favorire le studentesse anziché gli studenti. La «discriminazione maschile» altererebbe i rapporti tra i sessi e porterebbe a conseguenze devastanti. L’istruzione femminile minaccia la naturale tendenza maschile ai rischi e all’imprenditorialità».  Per capire il tenore del testo del rapporto, basta leggere quanto segue: «Chiunque abbia visto un ragazzo giocare a calcio sa che gli uomini sono in grado di svolgere compiti con un livello di concentrazione molto alto», ma se le competenze maschili vengono svalutate, gli studenti perderanno la capacità di «riparare un rubinetto, aggiustare un computer o montare un mobile». Endre Tóth, il deputato all’opposizione scrive su un social: «attitudini maschili e femminili è una totale assurdità scientifica», ma per ora ci dimostra solo il pericolo di una svolta nazionalistica e sovranistica che riporta le donne (ma aggiungerei l’antico adagio non solum, sed etiam) a ideologie del focolare, a concezioni sottomesse e dipendenti dal maschio e dalla mentalità maschilista che vede nella prosecuzione della specie il principio guida della società, chiudendo e costruendo muri, più o meno ideali, contro ogni visione di largo respiro.

Alcune donne afgane si sono ribellate, invece, a suon di libri e di cultura alla chiusura dei talebani. Hanno aperto una biblioteca nel centro di Kabul, un’oasi per le donne tagliate fuori dall’istruzione e dalla vita pubblica in Afghanistan. «Abbiamo aperto la biblioteca con due scopi: primo, per quelle ragazze che non possono andare a scuola e secondo, per quelle donne che hanno perso il lavoro», spiega Zhulia Parsi, una delle fondatrici della biblioteca. La biblioteca conta oltre mille libri, romanzi e libri fotografici, oltre a titoli di saggistica, di politica, di economia e di scienza. La maggior parte è stata donata da insegnanti, poeti/e, autori e autrici alla Crystal Bayat Foundation, un’organizzazione afghana per i diritti delle donne che ha contribuito alla creazione della biblioteca. «Con l’apertura di questa biblioteca, vogliamo mostrare la resistenza delle donne ai gruppi che sono contro le donne, contro la presenza delle donne e contro le attività delle donne, che se chiudono i cancelli delle scuole, se impongono restrizioni educative o se ignorano una generazione, devono sapere che le donne afghane sono donne che si sono alfabetizzate, conoscono se stesse e hanno la capacità di definirsi nella società», dice Laila Baseem, attivista e una delle fondatrici della biblioteca delle donne: «Abbiamo alzato la voce a causa dei problemi creati alle donne dai talebani. Sfortunatamente, durante quest’anno, non abbiamo visto nessuna reazione da parte loro e non ci hanno dato alcuna risposta positiva».

Prima di chiudere e celebrare la pace con i versi di una poesia non possiamo non ricordare Michajl Sergeevič Gorbačëv con quell’accento sull’ultima vocale del suo cognome che spesso in Europa non si vuole accettare, preferendo la pronuncia all’inglese. Michajl Sergeevič Gorbačëv ha legato il suo nome al disarmo, alla pace (premio Nobel nel 1990) alla trasformazione democratica della vecchia Urss, all’incontro con gli Usa e, soprattutto, alla caduta del Muro di Berlino e al dissolvimento di fatto della Cortina di ferro e del Patto di Varsavia che vedeva i paesi dell’est europeo come dei satelliti intorno al governo di Mosca. Amato oltre i suoi confini nazionali Michajl Sergeevič è stato davvero poco accettato in patria, nonostante la Glasnost’, nonostante la Perestrojka. Benché il vento di libertà che stava cercando di far conoscere ai suoi connazionali avesse prodotto risultati positivi per il mondo, i cittadini dell’ex Unione sovietica si sono sentiti come traditi da Gorbačëv, pensandolo anche un «ingenuo caduto nelle trame dell’Europa». Noi lo ricordiamo per il difficile tentativo di apertura politica, per essere stato il promotore di un sogno non realizzato, quello della Casa comune europea che ha spaventato l’occidente. Lo ricordiamo per il suo sorriso, per i suoi gesti liberi e giovanili, lui salito al Cremlino a 54 anni, dopo una serie di dirigenti ultra settantenni (si è parlato per l’Urss di gerontopolitica) e anche per il suo amore e rispetto verso Raissa, una first lady colta e capace di ricoprire il suo ruolo di prima donna di un’importante nazione. Ora Gorbačëv riposerà a fianco della sua Raissa, nel cimitero del monastero moscovita di Novodevičij, insieme ad altri grandi nomi, oltre che della politica, della cultura russa: dalla letteratura, con Anton Čechov,Nikolaj Gogol’, Michail Bulgakov, Vladimir Majakovskij, all’arte, con il pittore Isaak Levatan, alla musica, con Sergej Prokof’ev, Dmitrij Šostakovič, al teatro, al cinema e al balletto con Konstantin Stanislavskij, Serghej Ejzenstein e Ekaterina Maksimova. Poi con i politici come Nikita Chruščёv e Vjaceslav Molotov.

In onore della pace, in omaggio all’amore, all’eros, contrapposto al tanatos della guerra, vi offro due frammenti greci (uno con il testo a fronte) del poeta e lirico greco Anacreonte. Anacreonte nacque nel 570 a.C. a Teo nella Ionia. Si trasferì poi ad Abdera, in Tracia, dopo l’invasione persiana del 545 a.C. Poi si stabilì a Samo, dove fu ospite del tiranno Policrate e si occupò dell’istruzione dei suoi figli. Quando i Persiani arrivarono a Samo, si trasferì ad Atene. Infine giunse a Larissa in Tessaglia., dove morì intorno al 485 a.C.
«I frammenti sono presi dal Simposio, che si differenzia da quello antico, e in particolare da quello di Alceo, poiché diventa un momento di elaborazione delle norme etico-comportamentali proprie della classe aristocratica e così rappresenta una sorta di intrattenimento per la corte. Anacreonte esalta la vita conviviale condotta con moderatezza e civiltà, lontana da ogni sorta di eccessi e di manifestazioni di violenza».

ἄγε δή, φέρ’ ἡμίν, ὦ παῖ,
κελέβην, ὅκως ἄμυστιν
προτίω, τὰ μὲν δέκ’ ἐγχέας
ὕδατος, τὰ πέντε δ’ οἴvου
κυὰθους, ὡς ἀνυβρίστως
ἀvὰ δηὗτε βασσαρήσω.

ἄγε δηὖτε μηκέτ’ οὕτω
πατάγῳ τε κἀλαλητῷ
Σκυθικὴv πόσιν παρ’ οἴνῳ
μελετῶμεν, ἀλλὰ καλοῖς
ὑποπίvοvτες ἐv ὕμvοις

Portami un orcio, ragazzo,
ch’io tracanni d’un fiato,
mescimi dieci misure
d’acqua e cinque di vino,
perché di nuovo io celebri
senza violenza Dioniso

[…]

suvvia, non più di nuovo
tra gli urli e fra gli strepiti
beviamo, com’usano gli Sciti,
ma sorseggiando fra i bei canti
[trad. di Bruno Gentili, cit.]

Non mi è caro chi presso il cratere ricolmo bevendo
narra i tumulti le risse le lacrimose guerre,
ma solo chi d’Afrodite e delle Muse insieme
i bei doni associando canta l’amabile gioia.
[trad. di Bruno Gentili, cit.]

Ecco cosa leggeremo in questo numero. Quella che stiamo vivendo è stata definita da Papa Francesco «la terza guerra mondiale a pezzi». Ce ne parla La Guerra Grande. Il n.7 di Limes. Parte prima che allarga lo sguardo sul modo in cui le varie potenze la giudicano e la stanno affrontando. Le donne di Calendaria che conosceremo sono due: Margrit Kennedy, «libera pensatrice e architetta per professione, ambientalista per scelta, economista per necessità» e Jeannette Villepreux Power, la “Dama degli Argonauti” che ha inventato l’acquario. Di donne e politica si parla anche nella recensione del libro C’era una volta la Carta delle donne. Il PCI, il femminismo e la crisi della politica di Letizia Paolozzi e Alberto Leiss, da leggere per riflettere su una politica al femminile.
Tre sono gli anniversari che ricordiamo questa settimana: Omaggio a Karen Blixen è l’articolo dedicato alla grande scrittrice, più volte candidata al Nobel per la letteratura e innamorata dell’Africa, mentre I Giochi di Pace e di Gioia. Monaco e l’attacco terroristico ricorda una pagina tristissima della storia del rapporto tra israeliani e palestinesi in un’Olimpiade che avrebbe dovuto essere l’occasione della riabilitazione del popolo tedesco agli occhi del mondo. «Il 6 settembre 1522 entra nel porto di San Lúcar de Barrameda la nave Victoria con a bordo i reduci dal primo viaggio intorno al mondo». Ce lo racconta l’autrice di Ferdinando Magellano.
Continuano le nostre serie: La metà dell’arte: Bourke-White e Hassani ci fa incontrare due delle sedici artiste, una fotografa e una street-artist, molto conosciuta anche sui social per l’efficacia dei messaggi delle sue opere, della mostra permanente La metà dell’arte, al palazzo della Procura della Repubblica di Tivoli, curata da Toponomastica femminile. Per Viaggiatrici del Grande Nord leggeremo di Ester Lombardo, il lungo viaggio di una ragazza nell’estremo Nord, giornalista e viaggiatrice che si firmava con nomi diversi, mentre continueremo le nostre passeggiate toponomastiche nell’articolo Sulle vie di Prato. Nara Marconi, partigiana e politica italiana, che racconta l’impegno antifascista e femministadi una partigiana che si è battuta per i diritti delle donne.
Ed ecco i consigli di lettura di questo numero: La notte è mia sorella, di Maria Laura Berlinguerè il libro recensito dall’autrice dell’articolo La notte è mia sorella. La Gallura misteriosa va in scena, molto più di un best seller del mistero, un testo rispettoso del linguaggio di genere, con molti personaggi femminili. L’isola di Sara. Intervista a Miriam di Piazza è un modo originale di raccontare la trama e le protagoniste di un libro, attraverso l’intervista alla sua giovane autrice.

In questo mese caratterizzato dalla crisi energetica e da un conflitto che sembra non avere fine, la consolazione più bella ci è arrivata da I successi delle Azzurre nel mese di agosto nelle competizioni sportive di eccellenza. Ce ne parla l’autrice dell’articolo che ripercorre le imprese delle nostre bravissime atlete. Chiudiamo come sempre con la nostra ricetta estiva, British dall’inizio alla fine, Roast beef all’inglese, augurandovi Buon appetito.
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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