La Guerra Grande. L’agosto di Limes. Parte seconda

Usa contro Cina
Continuiamo l’esame dell’ultimo numero di Limes. Gli altri saggi contenuti nella seconda sezione della rivista raccontano delle manovre statunitensi e cinesi nell’Indo-Pacifico, che si sono intensificate dopo la guerra in Ucraina e dove la Russia gioca un ruolo fondamentale. La Cina vede in quello che sta succedendo nell’Europa Orientale un segno della debolezza americana, dal punto di vista domestico. Potrebbe essere proprio questo il momento utile in cui inserirsi per perseguire i propri obiettivi di potenza. Un saggio fondamentale per capire la strategia cinese diretta a sovvertire l’attuale ordine mondiale è Nell’Oceano pacifico la Repubblica popolare prova ad accerchiare gli Usa di Giorgio Cuscito. L’Oceania è uno spazio decisivo della competizione sul mare tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese, soprattutto dopo gli accordi cinesi con le Isole Salomone. Secondo il consigliere scientifico di Limes, «L’obiettivo di lungo periodo di Pechino è infrangere il contenimento attuato dagli Stati Uniti lungo la «prima catena di isole» (imperniata su Giappone, Taiwan e Filippine), chiuderla in una morsa, allontanare la linea di difesa dalla costa e quindi accedere liberamente all’Oceano Pacifico». Il piano applica le tattiche del weiqi, l’antico gioco da tavolo cinese. «Lo scopo non è affrontare l’avversario frontalmente in una battaglia decisiva, come avviene negli scacchi. Semmai è «accerchiare» tutte le pedine altrui (questo significa weiqi), anche quelle lontane dall’apparente centro di gravità della partita. Così da imbrigliare l’avversario, costringerlo a scegliere quale parte del campo di battaglia sacrificare». Papua Nuova Guinea, Indonesia, Malaysia, Vanuatu, Kiribati, Isole Salomone, Figi, Isole Cook, Tonga, Niue, Samoa e Stati Federati di Micronesia hanno aderito alla Via della Seta in cambio di investimenti cinesi nelle infrastrutture, indebitandosi così con la potenza emergente dei Brics e interrompendo i rapporti diplomatici con Taiwan. L’articolo è da leggere con grande attenzione, per capire che cosa sta succedendo in una parte di mondo da noi tanto lontana, proprio nel momento in cui i nostri media ci distraggono quotidianamente con le immagini dal fronte ucraino.
Un altro approfondimento interessante è quello dell’analista militare Nicola Cristadoro, Armi e vie della seta: cosa porta la Cina in Ucraina, in cui chi legge troverà molte sorprese e scoprirà che la stessa Italia che all’articolo 11 della sua Costituzione ripudia la guerra, dal 2017 al 2021 è stata il sesto esportatore al mondo di armi; che probabilmente l’Ucraina è uno Stato quasi fallito e che tra i ricostruttori del più grande arsenale di armi della Federazione Russa il primo a candidarsi è proprio la Cina, benché legata da un matrimonio di interesse alla Russia.

La decomposizione dell’Urss
La terza parte della rivista analizza lo stato della guerra in Ucraina. Igor Pellicciari, diplomatico di San Marino e studioso di relazioni internazionali, scrive un articolo fondamentale per capire la Russia e l’atteggiamento del suo popolo nei confronti della guerra. Grazie a precedenti contratti come accademico il diplomatico è riuscito ad atterrare a Mosca, nonostante fosse un esponente di un Paese ostile, e ci riferisce di una situazione che i nostri media non ci raccontano: «Ancora una volta, si è pagato lo scotto di conoscere la Russia post-sovietica molto meno di quanto i russi conoscano noi. L’obiettivo della mia visita – racconta il diplomatico – è stato quello di condurre decine d’interviste e incontri, per lo più informali, con esponenti istituzionali, non governativi e dell’opposizione, per registrare – al netto delmainstream russo – la loro percezione del momento attuale e il talk of the town riguardo alle prospettive future. Ne è emerso un quadro sorprendente anche agli occhi del docente-diplomatico su aspetti della politica estera e interna russa, ben divergente da quello predominante in Occidente, che riassumerò di seguito in alcuni appunti di viaggio, deliberatamente sintetici e concisi. Essi offrono una prospettiva russa (si badi, non filorussa) per comprendere o almeno contestualizzare (si badi, non giustificare) attuali e prossime mosse di Mosca. In Ucraina e non solo». Ai lettori e alle lettrici la scoperta di una versione della guerra che non hanno l’opportunità di ascoltare dai media nazionali e che definire filo-putiniana è intellettualmente disonesto.
«Questa è la Russia, voi non capite» è chiosa che echeggia e conclude molte delle conversazioni locali con l’ospite straniero» – continua Pellicciari. E in effetti l’Occidente, di cui l’Italia con il governo Draghi è diventata una delle Nazioni più fedeli e diligenti, continua a dare, secondo il diplomatico sanmarinese, una descrizione della percezione russa della guerra non rispondente alla realtà. «Sia i favorevoli all’invasione dell’Ucraina (la maggioranza) sia i contrari-senza-opposizione (circa un terzo degli interlocutori che incontro), parlano molto di interesse nazionale della Russia e molto meno del suo presidente. L’esatto contrario di quanto avviene in Occidente, appiattito sulla facile e monocorde chiave di lettura Vladimir Putin=zar incontrastato al potere. Usata per spiegare nascita e genesi di ogni dinamica interna, anche secondaria, di un sistema politico complesso, tipico del più esteso paese al mondo, con innumerevoli etnie e quasi un centinaio di soggetti federati costitutivi». Epura et impera. Il metodo Zelen’skyj di Fulvio Scaglione documenta molto bene le numerose epurazioni del capo del governo ucraino e le loro ragioni, che la nostra stampa ha liquidato con un breve annuncio nei telegiornali. Ecco uno stralcio dal bell’approfondimento del collaboratore di Avvenire: «Si può parlare con tanta facilità di colpo di Stato soprattutto per due ragioni. La prima è che, nel clima di universale sdegno per l’aggressione russa, abbiamo smesso di chiederci che cosa stia succedendo in Ucraina. Soprattutto: abbiamo deciso di ignorare tutto ciò che poteva incrinare l’immagine del paese compatto dietro il suo presidente nell’unico desiderio di sconfiggere l’imperialismo russo. Abbiamo cioè odiato la Russia molto più di quanto ci siamo davvero interessati all’Ucraina». Analisi da leggere con attenzione, insieme a Il suicidio economico della Russia, di Gian Paolo Caselli. Uno sguardo attento agli schieramenti e alle tattiche militari è quello di Mirko Mussetti, che, nel suo saggio Lo schiacciasassi russo ricorda le parole di Lavrov, Ministro degli Esteri russo: «Fino a quando l’Occidente persisterà nell’inviare all’Ucraina «armi a raggio sempre più lungo come i missili Himars», la Russia non potrà che «spostare ancor più lontano gli obiettivi strategici». Un esercizio muscolare che non giova a nessuno, in primis alle povere persone ucraine sulla cui pelle si sperimenta questo conflitto pericolosissimo.

Le organizzazioni paramilitari filoucraine
Ancora l’analista militare Cristadoro dà un quadro dettagliato e fedele delle formazioni paramilitari in I mercenari d’Ucraina. Uno degli articoli più interessanti di questa sezione ma anche di tutto il numero, proprio perché ci fa capire l’importanza di questo aspetto della guerra, è senza dubbio L’invisibile battaglia spaziale nella guerra d’Ucraina, di Marcello Spagnulo che da solo meriterebbe un commento approfondito. Mi limito, per questioni di spazio, a ricordare che i collegamenti quasi quotidiani che Zelen’skyj intrattiene in rete con il suo popolo e molte organizzazioni internazionali sono assicurati da una corporation privata, SpaceX di Elon Musk. UkraineX: How Elon Musk’s space satellites changed the war on the ground è il geniale titolo dell’articolo pubblicato lo scorso 8 giugno sul sito politico.eu. Brillante accostamento sintattico per ben spiegare come le truppe di Kiev impegnate nelle zone di prima linea nell’Est devastato dell’Ucraina siano diventate le utenze più trafficate di Starlink, il sistema di comunicazione satellitare di SpaceX, una delle aziende di proprietà di Elon Musk. È lui, l’uomo più ricco del pianeta, che gli artiglieri ucraini devono ringraziare ogni volta che colpiscono un bersaglio russo» scrive con enfasi politico.eu. […]. Queste corporation globali, le cui capitalizzazioni equivalgono a quelle di Stati sovrani, scendono su un terreno di guerra non solo ideologico ma anche sanguinoso. E tutto ciò sta succedendo perché sono dei gigacapitalisti (secondo la felice definizione di Riccardo Staglianò) che si trovano nella condizione, forse unica nella storia moderna, di poter plasmare direttamente l’ordine mondiale sulla Terra, nello spazio cibernetico e in quello eso-atmosferico, coniugando tecnologia e finanza, entrambe in loro pieno controllo».
Interessante l’articolo sulle conseguenze della guerra in Uzbekistan, ma ancor di più Il fallimento del sistema finanziario mondiale di Jacques De Larosière De Champfeu, che fa intravvedere finalmente un cambio di passo di un economista che si è formato al Fondo monetario internazionale e ha grande esperienza nelle istituzioni finanziarie mondiali. Reduce dalla lettura dell’ultimo libro di Guido Maria Brera, Dimmi cosa vedi tu da lì, un romanzo keynesiano, sono portata a credere che il cambio di passo nel mondo della finanza sarà solo apparente.
La quarta e ultima parte di Limes approfondisce l’impatto della guerra sull’Europa. Tra gli articoli di questa sezione da segnalare Vivere con meno energia. Come ci colpisce la rappresaglia russa, di Michele Soldavinida cui apprendiamo che, pur con i doverosi distinguo, «Il prezzo giornaliero dell’energia elettrica in Italia in questi primi sette mesi del 2022 è stato superiore in media del 426% allo stesso periodo degli ultimi nove anni… Il prezzo all’ingrosso del gas naturale sulla Borsa di riferimento in Europa, il TTF olandese, è schizzato del 485%. Del «mattoncino» elettrico il gas è ingrediente fondamentale…»; e La Germania teme per la tenuta del fronte interno, di Greta Cristini, che descrive il malcontento dei tedeschi nei confronti delle sanzioni alla Russia, comune sia ai tedeschi orientali che quelli occidentali e che potrebbe tra poco sfociare a breve in una protesta.

La dipendenza europea dal gas russo
Chiudo riprendendo l’editoriale di Lucio Caracciolo Il resto del mondo siamo noi. Molti sono i passaggi interessanti del ragionamento del direttore di Limes, ma tre quelli che si dimostrano più efficaci per l’analisi della situazione che stiamo vivendo. Primola causa di questa Guerra Grande risiede nella tempesta americana e nella crisi di senso che da tempo, forse proprio dal 6 gennaio 2021, sta attraversando la potenza egemoneCrisi che rende quanto mai propizia per Cina e Russia l’occasione di far vacillare l’ordine mondiale guidato dagli Usa. 

Demografie a confronto
Secondo: l’importanza della demografia in geopolitica. Oggi sulla Terra ci sono 8 miliardi di personedestinate a diventare forse 11 miliardi a fine secolo. Di questi solo un miliardo sono gli occidentali, in decrescita, intendendo per tali lo spazio Nato – Nord America più Europa atlantica a cui unire Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Se ci chiediamo che cosa pensano di questa guerra gli altri sette miliardi di persone dobbiamo convenire che «la maggioranza giovane e povera dell’umanità segue le battaglie del Donbas senza alcun entusiasmo», anzi con fastidio e preoccupazione perché le portano fame e crisi. Così come guarda il modo in cui l’Occidente ha reagito alla pandemia, considerata in Africa come una delle tante epidemie. Per non parlare del nostro ritrovato ecologismo e del nostro appello alla decarbonizzazione dei Paesi non occidentali dopo che abbiamo saccheggiato le risorse fossili. Un appello ipocrita con cui condanniamo questi Paesi al sottosviluppo. Come afferma Caracciolo, questo è l’humus ideale «per cinesi e russi, occasione unica per penetrare l’ex Terzo Mondo, che considera gli occidentali nella migliore ipotesi disinteressati alla sua sorte, nella peggiore neocolonialisti viziosi. La Guerra Grande è per noi Ucraina più Taiwan, partita del girone Est-Ovest. Per la maggioranza degli umani la vera posta corre lungo la faglia Nord-Sud. Insanabile frattura di specie? Due mondi, due umanità?». Il Resto del mondo siamo noi. Certo è che gli effetti di questa guerra sulle popolazioni più povere vedono la nostra penisola esposta sicuramente più di altre Nazioni perché si trova al limite di quella che Limesdenomina Ordolandia ed è la più vicina a Caoslandia. Come ricorda Prodi nell’articolo sopra citato pubblicato dal Messaggero «Si sta…pericolosamente preparando la spartizione, da molti studiosi paventata, fra l’Occidente e tutto il resto del pianeta. Nella ricordata mozione dell’Onu sull’Ucraina la divaricazione è stata drammatica. La maggioranza assoluta dei Paesi ha votato in favore dell’Ucraina, ma la maggioranza assoluta dei popoli rappresentati (oltre il 60% dell’umanità), ha sostanzialmente appoggiato le posizioni russe, votando contro la mozione in favore dell’Ucraina o astenendosi. Se continuiamo a camminare in questa direzione, la nuova rivoluzione che sconvolgerà il pianeta si fonderà ancora più sul motto: «Paesi proletari di tutto il mondo unitevi». Per evitare che questo si verifichi, basterebbe ascoltare Henry Kissinger che ha ripetutamente ricordato che, «quando vi sono tre potenze nucleari dominanti, non è molto intelligente spingere le altre due ad allearsi. Tanto più in questo caso, date le rivalità storiche e le differenze di interessi esistenti tra Cina e Russia.»

Caoslandia versus Ordolandia
Il terzo passaggio dell’editoriale riguarda la Russia e Putin e interpreta l’aggressione all’Ucraina come la volontà di Putin e della Russia di ottenere il riconoscimento di grande potenza nel mondo, soprattutto dagli Usa. Partendo dal divieto imposto da Putin a Francis Fukuyama di entrare in Russia, in quanto «russofobo», per quello che lo scrittore ha sostenuto nel suo libro La fine della storia, in cui decretava, con il crollo dell’Urss, la vittoria della liberaldemocrazia nel mondo e attingendo al pensiero di Kojeve, Caracciolo sostiene, con un’interpretazione suggestiva, poco condivisa sui media italiani, che la campagna d’Ucraina sarebbe guerra per lo status. «Il presunto rifondatore dell’impero (Putin ndr) pretende il riconoscimento americano quindi universale della Russia quale grande potenza, ammessa nell’orchestra degli eletti che suppongono dirigere il mondo […] L’aggressione al «fratello» ucraino è per Putin, come a oggi per la maggioranza dei russi, lotta per la sopravvivenza […] Vincere o sparire. […] Sono vent’anni che l’aspirante ricostruttore della potenza russa dalle macerie dell’Urss pretende dall’America il crisma di sovrano paritario. Per riceverne in cambio, al massimo, la qualifica di monarca periferico, sibilata nel 2014 da Obama bollando la Russia «potenza regionale che minaccia i suoi vicini immediati non perché è forte ma perché è debole». Veramente intrigante la riflessione sul “riconoscimento” come condizione per affermare la propria esistenza, sia come persone che come Stati, che invito a leggere, perché la geopolitica può sorprenderci.
Il volume agostano di Limes è stato una lettura impegnativa, densa di approfondimenti e spunti di riflessione. Si è dato spazio ad analisti militari, diplomatici, studiosi e studiose. Alla luce di tutte le analisi qui riportate, a chi, come me, si occupa di geopolitica per una rivista paritaria, viene da chiedersi perché ancora manchi, sia su questa rivista, che nel discorso sulla guerra, anche da chi propone pace, una riflessione su chi nella storia ha sempre fatto la guerra, questione che nel diritto processuale si definirebbe pregiudiziale. Mi piace quindi riportare, parlando di Guerra Grande, un post di una Maestra di pensiero, Lea Melandri, che pone una domanda cruciale: «Se invece… Se invece di piangere lacrime di retorica sulle foto dei bambini colpiti dalle bombe, se invece di deprecare ogni volta la ferocia della guerra, dei fondamentalismi, dei razzismi, se invece di portare ossessivamente l’attenzione sul corpo delle donne… gli uomini cominciassero a porsi domande scomode ma necessarie sull’origine della violenza (in tutte le sue forme) praticata dai loro simili nel corso della storia conosciuta finora?». Questione non ideologica, ma dirimente, che spero prima o poi qualcuna o qualcuno porti all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e mondiale.

***

Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

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