Di Ildegarda von Bingen, Santa Ildegarda, possiamo dare un’interpretazione storica, una intellettuale, una scientifica o una mistica; nel lavoro teatrale realizzato a Comazzo si è fatto riferimento a tutte queste possibili letture, tanto è vasta la sua figura.
Ildegarda fu molto apprezzata in vita, ebbe anche l’approvazione papale, fu accolta come una vera profeta nel nord Europa, vista sempre come una donna sicura di sé, ricca di sapienza, con i suoi differenti carismi. Ha gustato la viriditas, cioè la potenza verdeggiante e rigenerante della natura, intesa come presenza divina in ogni creatura.
Di fede ardente, perseguiva i propri interessi in tutti i campi della conoscenza, senza quella frammentazione e l’iper-specializzazione che oggi ci scollegano da una visione olistica della medicina, dell’arte e della sapienza spirituale. Ildegarda, grazie alla sua straordinaria intelligenza mistica, ha visto la luce fissando lo sguardo nel sole, riconoscendo l’essere divino nascosto in tutte le cose. Ha composto musiche, che ha chiamato Sinfonie angeliche, in cui sono condensate tutte le lodi esprimibili che sanno creare un ponte fra l’essere umano e Dio.
La musica è stata per Ildegarda terrestre e celeste al tempo stesso, fatta con mezzi umani per evocare, almeno per un momento, la consonanza celeste. Ildegarda von Bingen aveva ipotizzato l’esistenza dell’”uomo sinfonico”, la cui armonia è data dalla musica e dalla poesia, quello che per Leonardo sarà poi la perfetta geometria dell’”uomo vitruviano”.
L’anima umana per Ildegarda è composta di diversi elementi che vanno accordati, armonizzati e si fondono in una sorta di sinfonia, intesa come un tutto coerente. Questa unione si esprime sia nel rapporto armonioso tra mente e corpo, sia nello stesso atto del comporre.
La visione di Ildegarda era a tutto tondo, come capitava spesso nel medioevo, fede e poesia erano le due facce della stessa medaglia e la musica il collante necessario. Ildegarda è stata una donna eccezionale per il suo tempo, ma lo è anche per il nostro; difficile trovare un’autrice o un autore medioevale ancora di attualità con una così ampia produzione letteraria; benché non consentito alle donne, lei infatti scrisse molti testi di teologia, così come di medicina e cucina. Anche la sua forte personalità ha contribuito a renderla eccezionale; è un riferimento vivente per la medicina naturale e per il movimento di emancipazione delle donne.
Profetica è stata la sua visione dei cinque animali dove ha voluto presentare il degrado della morale e della giustizia, sia del clero che dei laici dei suoi tempi e di quelli futuri. Cosa può comunicare a noi oggi Ildegarda? Ella ci invita a superare le nostre paure per vedere la luce in noi e in chi ci sta vicino.
Prima scena. Prologo di Adelheidis
«Sono l’anziana sorella Adelheidis, figlia di Federico di Sommerschenberg, badessa di Gandersheim e scriba della mia magistra Ildegarda, che mi accolse piccina e che io seguii per tutta la sua lunga vita. Morì a 82 anni, il 17 settembre 1179, con un corpo ancora fresco, come fosse una tunica che, diceva, doveva essere resa perfetta come le era stata donata alla nascita.
Il suo più grande talento era la felicità; odiava il nero e i cilici, non volle recidere i nostri capelli, voleva tuniche bianche o verdi, abbigliate di rose e perle. Diceva che la scuola della felicità insegna cento volte meglio che del dolore.
Ricevetti l’incarico di scrivere la sua vita, così come lei me la dettava, quasi con distacco e leggerezza; annotavo ogni giorno sulla tavoletta di cera per poi riscrivere in bella grafia su pergamena. Quando morì volle salutare ciascuna, mi abbracciò e volle che si alternasse il silenzio della preghiera al canto armonioso da lei scritto.
Un profumo di rosa invadeva la camera.
Lasciai il mio libro lì a Eibingen e me andai a fare la badessa a Gandersheim, senza dimenticare i passi di danza appresi a Rupertsberg da Ildegarda. Ora sta a voi, sorelle, che siete contenute una nell’altra, come a lei piaceva dire, continuare a studiare la natura nelle cause e nelle cure, vedere oltre la vista, imparare da rituali di resistenza, accogliere, danzare, celebrare ovunque la viridità della creazione e scoprire che il più grande talento è sempre la gioia».
Adelaide esce.
Entra Ildegarda, prende il rotolo del racconto della sua vita in mano:
«Questa storia che stiamo narrando è la mia, che sono Ildegarda, ma potrebbe essere la tua, oppure quella di tutte le donne che verranno, di cui noi rappresentiamo il lignaggio antico… il mio nome, Ildegarda, significa Colei che vigila nella battaglia, la mia battaglia è in nome della Legge, ma io mi pongo fuori di questa legge. La mia è quella delle donne che combattono per le cose necessarie, come fece Antigone che difese l’onore del fratello volendolo seppellire, contro il volere del sovrano che per questo la punì rinchiudendola in una grotta».
Le monache entrano accennando alcuni passi di danza, Caritas Abundat.
Seconda scena. Infanzia-ingresso in monastero-biblioteca
«Sono la decima figlia di Matilde, donna ormai stanca, e di Hildebert di Bermersheim della contea di Sponheim, uomo distante dai figli, lontano dalle figlie, specie de me, l’ultima. Fui come la dracma perduta, poi ritrovata. Dio mi ha chiamata in vita nel 1098; sono stata una bambina malaticcia, subito animata dallo Spirito, la Ruach, nome dell’energia femminile. Ho avuto 26 visioni; a 3 anni ho avuto la mia prima visione che ho rivelato solo alla balia; avevo visto il vitellino nella pancia della mucca. Sono entrata nel monastero di San Disibod, il 1 novembre 1106, a 8 anni, sine littera. Fui affidata a Jutta, la badessa, che mi insegnò a leggere e scrivere.
Avevo lasciato al palazzo i miei abiti eleganti, specie quell’abitino lilla col collo in ermellino, ma anche il cavallino di legno e le pietruzze per giocare. Le sete e i velluti erano stati poi sostituiti con stoffe grezze dai colori spenti; nel mio otium, il tempo fuori dalla preghiera e dal lavoro, amavo passeggiare nella natura, respirare in essa. All’età di 15 anni, una sera, nel giardino, ebbi una visione, vidi una luce fortissima e udii una voce che disse: “Io sono la luce vivente che illumina ogni oscurità. Quella persona che ho prescelto e scosso a mio piacimento, costei ho posto in mezzo a grandi meraviglie, ancor più degli uomini dei tempi antichi, che pure videro in me grandi prodigi. Ciò nonostante, l’ho gettata a terra, perché non si gonfiasse di superbia”. Dio non si manifesta mai nella quiete, io opponevo resistenza e mi ammalavo, tendevo ad appartarmi e non raccontavo nulla ed ero spesso accompagnata da aure emicraniche».
(Chino il capo sul tavolo)
«I libri scarseggiano per le monache, io ho il permesso di leggere in biblioteca dei monaci un’ora al giorno quando loro, nel pomeriggio, riposano; ogni disciplina, ogni libro, deve condurre all’unità del sapere, all’enciclopedia del sapere. Trovo però nei recenti libri, delle nascenti università, troppa razionalità e vi sparisce la meraviglia, ben valorizzata da Aristotele. In ogni persona e in ogni disciplina ci sono sole e luna, ossia il femminile e il maschile che non si possono separare senza crearne un danno. Come il cibo, anche il sapere si converte in energia dello spirito, gradino dopo gradino».
(Esco di scena) Quando rientro, al suono della campana, indosso i simboli della mia nuova identità: il bastone dell’autoritas e la pietra azzurra della saggezza sul capo.

«Jutta è morta e sono stata eletta badessa, ho 38 anni e lo rimarrò a vita, lo sarò per 44 anni. Impongo una biblioteca, barattando con Kuno libri con i beni materiali delle doti delle mie monache. “Vieni Volmar, monaco dotto e conoscitore della lingua latina, starai con noi monache, come guida spirituale”. La nostra regola benedettina è: ora, labora et lege».
Terza scena. Le Visioni
«Voglio raccontare a voi solo tre delle mie numerose visioni. Quando avevo 42 anni e sette mesi, si manifestò una luce ignea abbagliante che, venendo dal cielo aperto, infiammò completamente il mio cervello come una fiamma che non brucia, ma riscalda, come il roveto ardente del Sinai che dette fuoco completamente al mio cuore e al mio petto e immediatamente diventai sapiente nell’interpretazione dei libri sacri… In me, Ildegarda, la sapienza si esprime nella modalità profetica, intendendo con profezia non divinazione del futuro, ma la trasmissione di un messaggio simbolico che proviene da una realtà più grande dell’io. Luce vivente, accompagnata da musica, ecco la Ruota con l’uomo cosmico, simbolo del macrocosmo dove il femminile e il maschile si compensano. Il divino, con circonferenza di fuoco, senza tempo e con figura umana asessuata gigante, nel centro, vittima di tentazioni, squilibri e riequilibri; l’anima, forza vitale, aiuta la carne con la sua scienza, razionalità e sapienza.

Odo il fuoco pronunciare “Io sono la suprema forza di fuoco che ho acceso tutte le scintille viventi, fiammeggio sulla bellezza dei campi, risplendo nelle acque e ardo nel sole, nella luna e nelle stelle”. Dobbiamo volgerci a Est, origine della trasformazione santa che è la creatività del nuovo giorno da dove giunge il Cristo che salva ed è simboleggiato dall’unicorno, l’animale imprendibile. Durante la visione resto a occhi aperti, non perdo coscienza. Si manifesta in me una forza creativa e una forte capacità decisionale. Poi, quando la luce scompare, resto distrutta e mi siedo. Potente arriva presto un’altra visione, quella del cammino dell’anima dal momento in cui Dio infonde nel corpo il dono di vita fino a quando l’anima esce dal corpo alla fine della vita.
Vedo un universo stellato con una forma di aquilone e un raggio di luce che entra in un uovo verde. Nell’uovo vi è distesa una donna e nel suo grembo in trasparenza si vede un bambino in formazione. L’uovo, segno di fecondità, è come l’utero della donna, ogni cosa è connessa in noi e nell’universo. Macrocosmo e microcosmo sono in stretta relazione. Viviamo il senso di appartenenza all’universo con stelle e pianeti che a volte ci fa sentire parte della sinfonia cosmica. È la visione della maternità che io valorizzo ogni giorno, quella biologica e anche quella spirituale. Vedo il valore della sessualità: è la forza della vita.
Un altro giorno, mentre faccio lavori di cucito, ho questa visione: le donne che offrono il loro ingegno e la loro vita e danno viridità alla Chiesa, che però ha pastori inetti e inutili. Vedo Sinagoga, con in braccio Abramo e Mosè ed Ecclesia che ha i piedi arrossati per il dolore e la fatica di camminare nel deserto. Riconosco la trascendenza nel femminile, il grande valore spirituale che il patriarcato ha ignorato; riconosco un principio femminile nel divino, che si manifesta nella Bellezza. Vedo la sessualità nel maschio e nella femmina che è diversa; nella donna è diffusa, non pungente».
Quarta scena. Si scrive
«Partecipo come unica donna al concilio di Treviri del 1147 e affronto a muso duro i prelati ostili, espongo al papa Eugenio III il mio metodo, proveniente dalle visioni e lui mi approva. Mentre torno al mio monastero sento la voce che mi dice: “Tu mortale devi parlare agli altri; scrivi ciò che vedi, la parola va cucita sulla carta”.
Mi sento impreparata; nessuna donna ha mai scritto un libro. Kuno non vuole che io scriva e ciò per me è un grosso colpo. Prego per chiedere aiuto: De profundi a te clamavi, Domine. In te Domine speravi, non confundari in aeterno. Scrivo una lettera su una pergamena a Bernardo per ricevere l’approvazione a divulgare i contenuti delle visioni. “A Bernardo di Clairvaux. Nello spirito dei misteri parlo a Te, padre venerabile, poiché mai fin dall’infanzia vissi tranquilla, ma vidi cose grandi e terribili che la mia lingua sarebbe impotente a pronunciare, se lo Spirito divino non mi istruisse su come devo narrare. Le visioni mi costringono alla sofferenza con gravi malattie e non riesco più a lasciare il letto. Invece vorrei alzarmi e giungere a Te, padre buono. Pongo la mia anima nella tua anima. Indaga, nella tua saggezza, ispirata dallo Spirito Santo, e rivelami se io debba parlare o se debba tacere ogni cosa nel silenzio della mia anima”.
Quando il cavaliere porta la risposta di Bernardo, chiedo a Volmar di leggere perché provo timore a scoprire la risposta… “Alla sorella in Cristo Hildegard: rispondo alla tua lettera tralasciando ogni impegno. Mi rallegro per la grazia di Dio che è in te e ti esorto e ti supplico di raccoglierla con tutta la forza dell’amore e della dedizione. Tu sai pure che Dio schianta i superbi e solleva gli umili con la sua unzione. Se possiedi la conoscenza interiore che lo Spirito Santo ti ammaestra, in cosa posso esserti utile io? È necessario piuttosto che tu preghi e possa ricordarmi presso Dio insieme a tutti coloro che si sono uniti nella comunione spirituale. Bernardo”.
C’è dunque l’approvazione di Bernardo. Ma una novità importante mi distoglie: è l’arrivo di Richardis, figlia della contessa, ha 16 anni, è bella, intelligente, colta, subito sento di amarla come una figlia. “Sono giunta nel tuo monastero, oh Ildegarda, per nutrirmi della tua sapienza, accoglimi!” “Ti accolgo e ti omaggio con la pietra azzurra della conoscenza. E poiché sei già istruita ti terrò con me e Volmar a lavorare nello scriptorium“. È un triangolo perfetto, io, Volmar e lei. Festeggiamo e brindiamo, si scrive finalmente: oggi rompo il silenzio sulle mie visioni, ho 42 anni. Io detto a Volmar e Richardis disegna le miniature delle visioni che io le descrivo; esse sono rappresentazioni grafiche a integrazione delle attività letterarie. Volmar mi propone: “Questo testo sapienziale lo intitolerai Scivias, ossia Conosci le vie della salvezza“. Scrivo in stile asciutto, forte e diretto, perché sono l’umile tromba di Dio, la sibilla del Reno. Il testo narra un viaggio verso la montagna, verso l’Uno: parlo del rapporto uomo-donna, della mascolinità e femminilità, della diversità e complementarietà dove nessuno dei due può esistere senza l’altra/o; non c’è gerarchia, ma il femminile oggi deve essere più saldo e fermo!
Purtroppo vengo presto a sapere che Richardis è richiesta come badessa nel monastero della sua contea; faccio di tutto per impedirglielo, imploro il vescovo di Magonza e il papa, ma è tutto inutile; la sua potente famiglia ha il sopravvento.

Assisto pietrificata alla sua partenza: “Addio Ildegarda, mia dolce madre, mi hanno chiamata a essere badessa, in virtù del mio lignaggio, serberò di te il migliore dei ricordi”. La saluto con queste parole: “Ogni volta che ci è accaduto di amare qualcosa o qualcuno che non fosse il mio Dio, ho cercato la mia sofferenza. Amare significa perdere l’equilibrio. Di questo non accuso te, Richardis, ma la nostra natura terrena che decade e lascia il posto al fumo nero della malinconia. Si deve mirare in alto, così come l’aquila che fissa gli occhi nel sole, perché le creature umane, anche le più nobili, cadono come i fiori recisi. Non oscurare quella Luce che sola ci può guidare in questa buia regione sublunare. Ricorda la tua povera madre Hildegard, figlia del mio cuore, e sii felice”.
Grande è stato il dolore per la separazione da Richardis solo dopo un anno che stava con noi.
Dopo meno di un anno ricevo la notizia della sua morte prematura. Così passò Richardis… povera fanciulla sotto il peso di tanta responsabilità! Passeggio sempre tenendola per mano e, se guardo il cielo, mi figuro che le mie stelle sono le stesse che lei guarda, così come la mia neve nevica nel suo cielo. Mi punge ogni tanto un dolce dolore acuto di freccia in un punto se, all’improvviso, mi tornano in mente i suoi piedi di bambina dalle punte rosate. E cerco di liberarmi da quegli affetti gelosi e crudeli… e se parlo ancora di lei, cerco una lingua diversa, un dizionario vergine fatto di lettere intatte. La espressi allora nella mia musica».
Quinta scena. Dalla cura alla guarigione
«Presento la miniatura della visione dell’albero della Vita, una ruota con riprodotti i lavori in campagna per ogni stagione.

Dobbiamo imparare dalle piante che ci insegnano come accettare lo scorrere delle stagioni; lo chiederemo alle viole come restare umili! La mia è una storia di relazione, di integrazione, soprattutto di guarigione. Non è la malattia che conta in sé, ma ciò che decidiamo di farne. I rimedi ci sono concessi da Dio: erbe, frutti, pietre preziose; essi hanno il compito di ricondurre all’integrità. L’essere umano è unità duale, anima e corpo, non separate da un dualismo che certo pensiero filosofico ci ha fatto credere, ma create insieme. Quando questa unione si spezza va ricomposta attraverso la guarigione che crea passaggi, ponti e suscita senso di gratitudine, ci si affida alla natura perché si ricomponga l’unità corpo spirito, in una visione olistica che non va persa. Il corpo non mente mai, è l’amico solidale più fedele dello spirito; quando si ribella, le malattie esplodono.
Con le sorelle amo erborizzare nei campi vicino al monastero, perché questo accresce la viriditas, che è l’opposto dell’ariditas e lì usiamo una lingua segreta, nota a noi sole. Seguo Galenica e Ippocrate con i quattro tipi, flemmatico, melanconico, sanguigno, collerico. Ognuno/a di noi è solo un punto, nessuno uguale all’altro, nel regno di Dio non c’è uguaglianza; nel giardino chiamo le sorelle: “Berta, per dolori di stomaco?” “Salvia e finocchio”. “Giselda, per piaghe sulla pelle?” “Calendula”. “Paulina, per alito cattivo?” “Foglie cotte di achillea e salvia”. “Erika, per reumatismi, problemi cardiaci?” “Galanga, la più importante, per il cuore”. “Lizabeth, cosa per la malinconia? Per la bile nera?” “Elisir di viola e vino rosso, per passare dalla sofferenza alla gioia e per entrare nei sogni. Ma al mattino sugli occhi, ricordate, petali di rosa e in cucina sempre il farro.”».
Sesta scena. La musica
«La bellezza della musica è il rimedio per eccellenza. La sinfonia rende morbidi i cuori duri, l’anima è sinfonica e c’è armonia tra macrocosmo e microcosmo. Ricordo quando Paulina dirigeva il coro, io piangevo di gioia per le Musiche di guarigione che scrivevo, pur non conoscendo la musica: canto sacro e danza perché Dio ama la bellezza. Ho composto un’opera danzata: Ordo Virtutum, le virtù, le combattenti viste come una forza creativa, (fede, speranza, carità, giustizia, prudenza, fortezza, temperanza), sono il volto femminile di Dio, vincono, dopo il duello, sui vizi (furore, libidine, paura, instabilità, gola, ira, superbia). Abbiamo danzato in chiesa la domenica mattina con gioia perché la musica manifesta lo Spirito, ma ho ricevuto le critiche della badessa del monastero qui vicino. Ogni giorno, terminati i lavori della giornata, mi dedicavo alla ruminatio, il ruminare interiore, il contemplare, mentre sentivo attorno a me il linguaggio degli angeli.
Fondo un nuovo monastero a Rupertsberg, e lascio a Kuno, avido di denaro, i beni delle mie monache. Incontro Federico Barbarossa e con i suoi scienziati e astrologi di corte; a lungo durerà il tuo impero, gli prevedo, ma gli faccio raccomandazioni di non perdere mai la fede. Lui mi assicurò protezione per il monastero. Volli fare predicazioni sui pulpiti in Germania e molto più lontano, fino in Svezia, cosa molto rara per una donna avanti negli anni come me; mi recai a cavallo, gustando il viaggiare che è per me anche leggerezza. Dai pulpiti vedevo la stanchezza della gente e cercavo di infondere in loro soavità; alla Chiesa dicevo che doveva volere la giustizia, non doveva solo simularla. In sogno seppi la data della mia morte a 82 anni, il 17 settembre; così salutai a una a una le sorelle, cantai il Salmo 30: “Tu hai mutato il mio dolore in danza; hai sciolto il mio cilicio e mi hai rivestito di gioia, perché io possa salmeggiare a te, senza mai tacere”. Nella stanza dove morii entrava il profumo delle rose del roseto vicino.

Danza finale. Cum Erubuerint
Teatro filosofico: Ildegarda, realizzata nel palazzo Pertusati, sede del comune di Comazzo (LO) sala consiliare, la sera del 10 settembre 2022.
Ildegarda: Maria Grazia Borla. Richardis: Camelia Ardelean. Volmar: Matteo Tognini. Adelheidis (prologo): Giulia Riboli. Danze in cerchio a cura di Regina Riva con Sabina Abbinante, Lina Rossini, Tania Cristiani Carli, Carla Tinelli, Loredana Iavello.
Foto di Ettore Magistrani. Video di Riccardo Magistrani.
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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente