Quando ero piccola fu mia madre a introdurre il concetto di ciclo mestruale: non usò termini ricercati né cercò di girare attorno all’argomento con imbarazzo, semplicemente mi disse che sarebbe arrivato il momento in cui avrei avuto la “pipì con il sangue” e quando questo sarebbe accaduto dovevo subito dirglielo.
Ricordo molto bene quando ebbi il menarca perché quel giorno, sfortunatamente, indossavo i miei pantaloni bianchi preferiti, che furono impossibili da lavare.
Ricordo la sorpresa e l’eccitazione, come corsi a dirlo a mia madre che mi spiegò come utilizzare gli assorbenti e mi preparò ai cambiamenti che il mio corpo avrebbe presto affrontato. E ricordo anche il disagio quando mia madre, a pranzo con la comitiva di colleghi e colleghe, annunciò che ero finalmente una signorina, e gli auguri e i complimenti delle signore al tavolo.
Il motivo per cui condivido con voi questo ricordo così personale è per sottolineare l’unicità della mia situazione: fra tutte le mie amiche ero l’unica a cui la mamma aveva spiegato cosa fosse il ciclo e cosa dovevo aspettarmi, e di conseguenza fui l’unica a non andare nel panico quando mi vidi sporca di sangue.
E anni dopo, confrontandomi con altre ragazze, mi sono resa conto di quanto sia stata fortunata ad avere chi mi ha preparato alla mia crescita senza imbarazzi o giri di parole. Nonostante il ciclo sia tappa obbligata per le donne continua a persistere un velo di vera e propria omertà sull’argomento, con conseguenze spesso traumatiche per le giovani che un giorno si ritrovano a sanguinare dalla loro zona più intima in preda a forti dolori e ad altri sintomi debilitanti che possono insorgere.
È inquietante osservare come varie culture si siano approcciate alle ragazze che entravano nella pubertà: subito viste come sporche, impure, esse vengono descritte come se fossero afflitte da un morbo e per questo isolate o allontanate finché dura il ciclo.
Sicuramente avrete sentito parlare di come una mestruata con il suo semplice tocco sia in grado di far appassire le piante o guastare il cibo, o come sventura sopraggiunga a coloro che incrociano il suo sguardo – addirittura provocando sterilità o aborti se i suoi occhi si soffermano sul grembo di una donna.
Nel Levitico viene raccomandato che una donna “impura” non tocchi niente o nessuno, trattando quella “impurità” come una malattia contagiosa debellabile eseguendo precisi riti purificatori, e in tutta la Bibbia la donna mestruata è vista molto negativamente; il Cristianesimo interpreta tutto questo come parte della punizione inflitta a Eva per il peccato originale, e in alcune correnti è anche vietato che essa entri nei luoghi sacri, similmente a come accade nell’Islam.
In parecchie culture la donna col mestruo è costretta a stare fuori casa o ad indossare indumenti che limitino il più possibile il contatto fisico e visivo con chi la circonda. Plinio il Vecchio affermava che avere rapporti sessuali con una donna mestruata poteva uccidere l’uomo, mentre per il Talmud babilonese se essa passa fra due uomini uno dei due è destinato a perire da lì a poco.
Per il solo fatto di essere cresciute le donne diventano agente di distruzione e una volta al mese il loro potere corruttivo diventa tale che esse devono eseguire riti particolari per tenere al sicuro la comunità.
Le credenze popolari sono così forti a riguardo che il sangue mestruale viene considerato un ingrediente fondamentale per fatture e pozioni d’amore, soprattutto se del menarca. Ma quali sono le ragioni dietro questa vera e propria ansia sociale per una semplice tappa dello sviluppo femminile?
Innanzitutto, evidenziamo l’ovvio: vedere del sangue non piace a nessuno, a noi contemporanei come a chi è venuto prima di noi; ma pensare che secoli di pratiche degradanti e umiliazioni per un fatto naturale possano essere ridotti al disgusto per la vista del sangue è evidentemente sbagliato, soprattutto perché dovremmo trovare un simile livello di ribrezzo anche per altri fluidi corporei, compreso il sangue proveniente da ferite o il liquido seminale delle polluzioni notturne dei ragazzi in via di sviluppo.
Un aiuto per comprendere questo fenomeno viene dalla sociologia e dalla psicologia, tramite il concetto di “liminale”. Derivante dal latino limes, confine, linea, soglia, nella sua originale accezione in psicologia indica un fatto o un fenomeno che si pone sul limite della coscienza e della percezione.
La sociologia ha importato il termine e lo ha applicato allo spazio, indicando con “spazio liminale” quei luoghi o tempi che si trovano in una posizione di confine o transizione, come le stazioni dei treni o gli aeroporti: questi luoghi sono fonte di ansia per le persone perché le pongono in una posizione scoperta, sono il punto più vulnerabile mentre si raggiunge la propria meta.
L’adolescenza è un periodo liminale: l’adolescente non è adulto o adulta, ma non è più neanche un bambino o una bambina; è razionale e infantile, capace di ragionare ma impulsivo, e il suo corpo ha le forme di entrambe le età.
Chi si occupa dell’educazione di ragazzi e ragazze ha difficoltà ad approcciarsi a loro, perché non si possono trattare come infante/i ma non si può pretendere da loro la responsabilità e la coscienziosità di una persona adulta.
Il ciclo mestruale segna per le ragazze l’inizio di questo periodo liminale, assai più visibile al mondo esterno delle polluzioni notturne che marcano lo sviluppo maschile: non più bambine ma neanche adulte, possono rimanere incinte ma il loro corpo non si è ancora formato abbastanza da poter portare avanti una gravidanza senza rischi; nell’immaginario maschile la ragazza adolescente è un pericolo per la loro vita, perché può fingersi più grande e sedurli solo per poi rivelare la verità e ricattarli con la minaccia di severe punizioni per aver violato una minorenne.
La tradizione popolare vuole che nel liminale si concentri la magia: la mezzanotte, che segna il passaggio da un giorno a un altro, è l’ora preferita di maghe e streghe; il passaggio delle stagioni è celebrato con feste e riti che esorcizzano dal negativo; le spose, non più nubili ma neanche mogli, sono particolarmente soggette a sortilegi e malocchi; il sangue mestruale, che indica il periodo meno fertile della donna e l’inizio di una nuova ovulazione, è un ingrediente potente per fatture e pozioni d’amore.

Non è un caso che il mondo soprannaturale, fatto di fantasmi, vampiri, licantropi e streghe, perséguiti le adolescenti: i miti antichi sono pieni di dei che violentano o fanno loro amanti ragazze giovanissime; le principesse delle fiabe sono fanciulle con un’età fra i 13 e i 18 anni, perseguitate da donne cattive e invidiose che usano la magia per cercare di sbarazzarsi di loro, o da creature che vedono nel consumare il loro corpo una fonte di energia proibita ma potente; le streghe educano le giovani all’arte magica fin subito dopo il menarca, che segna anche le apparizioni di abilità oltre la comprensione umana.


Manco a dirlo, questa condizione liminale persiste finché la ragazza trova un marito – ossia, il suo desiderio sessuale, risvegliato dalla crescita, può essere soddisfatto all’interno della legalità del matrimonio.
Anche nel mondo di oggi le adolescenti continuano ad essere in pericolo e un pericolo nell’immaginario collettivo: Carrie, la protagonista del primo ed omonimo romanzo di Stephen King, è una ragazza che raggiunge tardi la pubertà a causa degli abusi della sua religiosissima madre, che vede nel mestruo un qualcosa di sporco che marchierà per sempre la figlia come peccatrice; il menarca avviene quando sta facendo la doccia a scuola, e non sapendo cosa le stia succedendo Carrie si convince che sta per morire e va nel panico, evento che attira le bulle che la perseguitano e che cominciano a lanciarle addosso tamponi e assorbenti.
Con il ciclo, tuttavia, arrivano anche degli incredibili poteri che Carrie cerca prima di reprimere e poi di controllare – si scopre più avanti che sono stati ereditati dalla nonna paterna.

Il climax dell’opera è molto famoso: alla festa di fine anno, dopo essere riuscita a tenere testa alla madre e convinta di essere stata finalmente accettata dagli altri studenti, le bulle le giocano l’ennesimo scherzo crudele, versandole addosso sangue di maiale mentre lei è sul palco per essere eletta reginetta del ballo. La vendetta di Carrie è immediata e irrefrenabile: con i suoi poteri chiude tutte le entrate della palestra e appicca il fuoco, uccidendo tutti i presenti; successivamente rintraccia i suoi carnefici e li uccide uno ad uno. A casa la madre, convinta che sua figlia sia posseduta dal demonio, la accoglie con una coltellata alla schiena. Nuovamente tradita, Carrie usa la sua forza sovrumana per fermare il cuore alla madre, per poi morire dissanguata fra le braccia dell’unica ragazza che ha mai avuto pietà per lei.
Carrie alla sua uscita nel 1974 divenne un best-seller e la sua protagonista è uno dei personaggi più famosi e amati mai creati da King. Vale la pena chiedersi le ragioni di questo successo: perché il grande pubblico fu così attratto da una storia horror su una adolescente con poteri paranormali? Si può azzardare che sia stata rivista in Carrie l’incarnazione del disagio che scaturisce dallo stato liminale in cui vivono le adolescenti? Una conferma delle convinzioni popolari sul come queste ragazze attirino l’oscuro e il magico?
Del resto, Carrie è la prima di una lunga serie di ragazzine protagoniste di prodotti di consumo che attraggono verso il mistero per il solo fatto di esistere: l’anno prima di Carrie c’è Regan del film L’esorcista, che quando entra nell’adolescenza viene posseduta da un demone che usa il suo corpo per atti perversi – e sulla scia di questo successo, è interessante notare che la maggioranza dei film su possessione riguardano donne molto giovani, le più vecchie hanno 19/20 anni, il periodo finale dell’adolescenza.

Nel genere young adult attirano sventure e uomini – spesso più grandi di loro – che cercano di sfruttare i loro poteri e le loro capacità per i propri scopi nefasti, come accade ad Alina nella serie di Leight Burdugo Shadows and Bones; anche in assenza del soprannaturale non sono al sicuro, come accade a Katniss Everdeen col suo scontro con il corrotto governo nella distopica saga The Hunger Games, o alla giovane Elly della serie videoludica The Last of Us.
Lo stato liminale impedisce una posizione delle adolescenti nella società e, quando questa non è in grado di etichettare subito, deve reprimere. Il menarca è qui simbolo della corruzione e del putridume insito nel femminile, e dietro le celebrazioni per l’aver raggiunto una tappa importante dello sviluppo si nascondono opinioni crudeli fondate su secoli di superstizioni.
Ogni azione viene osservata e giudicata e la punizione è sempre pronta a calare qualora si faccia qualunque cosa si pensa possa intaccare la purezza di una vergine. La ragazza che diventa adulta cresce sentendo storie di donne corrotte dall’amore o dalla violenza di un uomo, che diventano sporche e ripugnanti per aver seguito i propri impulsi o non essersi potute difendere; e un giorno, nel menarca, trovano la prova che loro stesse stanno diventando donne: loro stesse saranno guardate con disgusto, considerate impure, costrette ad essere guardinghe verso i loro stessi sentimenti e istinti perché la rovina si può nascondere in qualunque uomo stia loro attorno.
E poco importa che oggi sappiamo molte più cose sulle mestruazioni e sugli organi riproduttivi femminili, che siamo coscienti della naturalità di quel sangue: le donne continuano a sentirsi sbagliate per il solo fatto di essere cresciute. E si sa che non c’è modo migliore per distruggere una persona che di perseguitarla per cose su cui non ha il controllo.
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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.