La seconda lezione del corso di eco-teologia delle donne è tenuta dalla professoressa Marinella Perroni, teologa e biblista nonché una delle fondatrici del Cti, che, prendendo in considerazione alcuni pregiudizi che abbiamo verso il racconto della Genesi, ce ne offre una nuova e interessante interpretazione. Il titolo completo della lezione è Genesi 1-3: i racconti delle origini. Assaggi per una nuova teologia della creazione, e per comprenderlo è necessario prima fare alcune premesse.
Innanzitutto, rispondere a una domanda: perché è necessaria una nuova teologia della creazione? Fino a questo momento la narrazione attorno ai primi capitoli della Genesi si è sempre basata su due premesse, due ipoteche teologiche: la prima è la retroproiezione dottrinale, ossia che la Bibbia debba essere letta a partire dalla dottrina e che le conseguenti interpretazioni debbano esserne sostegno, soprattutto sulle argomentazioni riguardanti la Creazione e il Peccato originale. Questo, tuttavia, intrappola la Bibbia in una narrazione rigida e riduttiva se non sbagliata, specie quando si considera la seconda ipoteca teologica, l’impianto storicista: l’idea che i fatti narrati siano realmente accaduti in una sequenza cronologica. La credenza che la nascita del peccato possa essere ascrivibile a un fatto storico è stata parte fondante della dottrina di molte correnti cristiane, non solo quelle più estreme come quelle evangeliche: fino a trent’anni fa, nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 il racconto della caduta di Genesi 3 è fatto passare come la vera storia dell’inizio dell’umanità.

Queste due ipoteche rendono molto ardua l’esegesi biblica e vanificano gli sforzi per guardare al racconto della Creazione come a quello di un episodio mitologico di un popolo.
La seconda premessa riguarda il clima religioso attuale: la società contemporanea ha cambiato la sua percezione del peccato e ha sentimenti molto diversi verso la religione rispetto al passato; di conseguenza, il sacramento della confessione e penitenza è entrato in una vera e propria crisi che la Chiesa non è stata ancora in grado di contrastare. Il femminismo, inoltre, ha avuto un’influenza enorme sull’esegesi dei testi sacri negli ultimi anni, evidenziando come la dottrina abbia interpretato i testi in maniera tale da giustificare l’esclusione o la sottomissione delle donne nella società e sostenendo che non ci sia alcuna neutralità nel testo biblico; la misoginia è sicuramente una sfida in più che chi si approccia all’analisi di Genesi 1-3 deve affrontare.
Per questo la professoressa Perroni si dice convinta che un ripensamento della teologia biblica sulla Creazione e il Peccato originale sia ormai indispensabile. Per fare ciò offre degli spunti di riflessione – gli “assaggi” citati nel titolo – che meriterebbero interi corsi per essere approfonditi ma che in questo caso servono come trampolino di lancio per discussioni più ampie.
Gen 1-11: i miti delle origini di Israele
Genesi 1-11 è una raccolta di racconti mitologici dell’antico popolo di Israele, un fatto troppo spesso dimenticato o tenuto in poco conto ma che è invece fondamentale per una buona esegesi. Il mito, infatti, nasce dopo un’esperienza collettiva, un modo per rielaborare la propria storia per trarne insegnamenti da tramandare alle generazioni successive. Non fatti storici raccontanti in modo cronologico, quindi, ma una riflessione su quanto avvenuto usata come monito. Chi ha redatto questi capitoli intendeva parlare di come sia nata la relazione fra Dio e il mondo, non descrivere la storia dell’umanità prima e dopo la caduta: dargli una parvenza storiografica significherebbe porre la narrazione sul Peccato originale in una centralità che non dovrebbe avere in teologia.

I racconti della Creazione sono modi diversi, per il popolo di Israele, di sentirsi inserito nel cosmo e nella storia, due punti di vista opposti che coesistono e assieme spiegano il destino dell’umanità. È quindi intuitivo quanto sia problematico comprendere il mito della creazione di Israele sotto il termine moderno di “ecologia”: “natura” e “creazione” non sono la stessa cosa, “creazione” è un modo teologico di intendere “natura”, oltretutto profondamente antropocentrico visto che l’umanità è la creatura prediletta da Dio ― una visione fonte anche di aspre critiche da parte dell’ecologia, che si pone l’obiettivo di abbattere l’antropocentrismo ritenendolo causa principale dei problemi ambientali in quanto ha dato il “permesso” all’uomo di abusare delle risorse del mondo.
Pertanto, il rapporto fra Dio, umanità e natura è da intendersi come circolare. Bisogna tener conto, inoltre, del fatto che per l’antico popolo ebraico il rapporto fra mito e storia era sempre mediato dalla legge: Genesi 1 avviene di sabato, il giorno del riposo e della contemplazione, e decide la forma che prende il rapporto circolare Dio-Uomo-Natura, mentre Genesi 3 spiega le regole per riscattare l’umanità dopo la Caduta.
Gen1-3: un trittico
I tre racconti della creazione non sono consequenziali ma tre diversi punti di vista con cui guardare la relazione circolare Dio-Umanità-Natura, ognuno con uno stile narrativo diverso. Insieme, vogliono spiegare l’esistenza del male a partire dalla creazione stessa, e pertanto sotto il controllo di Dio. Il movimento narrativo del primo racconto va dal caos al cosmo, non crea dal Nulla ma dal disordine si passa all’ordine, e a tutte le entità è dato un proprio ruolo; negli altri due racconti si va dal giardino al caos, e si va a superare la frammentarietà dell’esistenza per comporre un modo complessivo di comprendere la situazione degli esseri umani nel sistema circolare. È importante ancora una volta ricordare chi sono gli autori di questi racconti: Genesi 1-3 è una riflessione teologica sul male dell’antico popolo di Israele non tanto per comprenderne l’origine ma per attribuire la colpa di esso, nel momento in cui quella gente è esiliata a Babilonia.

Dio non può essere più debole del male: l’umanità vive in una creazione in cui il male è un mistero inesplicabile, in cui l’attività creatrice di Dio è costante e attesta la sua fedeltà a quanto ha creato.
La colpa va quindi ricercata nel creato stesso: l’uomo scarica la colpa del peccato sulla donna, e incolpa anche Dio perché è Lui che gliel’ha data; la donna incolpa il serpente, creato da Dio. Ma Dio non è imputabile, perché l’umanità non può portarlo a processo, non c’è alcuna illusione su una possibile usurpazione.
La vicenda umana coinvolge tutti gli esseri viventi, ognuno con un suo ruolo specifico, e tutti loro soffrono del lato buio della creazione perché ne vedono anche il lato più luminoso. Assumendosi la colpa (ovvero assumendosi la responsabilità della sconfitta contro il popolo di Babilonia) e riponendo fiducia nel Dio dei propri genitori (Dio dell’in principio, del sempre) la stirpe ebraica affronta e supera il trauma della cattività babilonese. Dio è qui non un architetto della natura, del cosmo, a cui rimane estraneo per mantenere l’equilibrio: il Dio di Israele è un Dio della storia, che ha fatto una promessa al suo popolo eletto, di cui ha legato le sorti. Se il cosmo e l’umanità si scontrano, Dio interverrà sempre a favore dell’umanità. La creazione va soggetta a un processo di de-creazione a causa del male, paradossalmente promessa di una nuova creazione. La volontà di fare della vicenda umana la trama della relazione con Dio consente di capire perché noi stiamo al mondo e come dobbiamo vivere.
La prospettiva di genere
Sarebbe un errore proiettare i nostri punti di vista su Genesi 1-3 applicando una lettura di genere: sarebbe piuttosto utile invece cercare di carpire quale sia la prospettiva di genere dei racconti in questione, cosa emerge del rapporto uomo-donna. A tal riguardo i racconti risultano essere alquanto diversi: nel primo l’ordine cosmico è un ingranaggio perfetto dove tutto ha un suo ruolo: nel secondo, con una narrazione non dissimile da quella dei moderni film, in un giardino rigoglioso ma non privo di insidie, dalla terra viene generata una creatura, Adam, che diventa viva grazie al soffio di Dio nelle narici, e successivamente le viene affiancata una compagna con cui dovrà moltiplicarsi e governare sul mondo; nel terzo, quello della Caduta, la storia assume i connotati della vicenda umana come la conosciamo: come punizione per aver disobbedito a Dio, la donna è costretta a partorire con dolore e l’uomo a faticare per poter sopravvivere; è la constatazione che il rapporto di coppia è segnato da peccato e violenza.
La differenza sessuale nel primo racconto non intacca l’uguaglianza fra uomo e donna, in quanto entrambi sono a immagine di Dio e ad entrambi è stato comandato di dominare sul creato e moltiplicarsi. Per questo la relazione fra uomo e donna è l’unica possibile, in quanto l’unica che è feconda; una visione certo funzionale dell’atto procreativo ma in linea con l’interpretazione dei Padri del cristianesimo antico, per i quali tutto il creato, in ogni sua sfaccettatura e azione, è funzionale al germogliare della vita – compresa anche la distruzione. È attraverso il moltiplicarsi che l’umanità può obbedire a Dio e comandare sul creato. Si noti che qui non è presente alcuna asimmetria.
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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.