Eroina della Resistenza, medica, ortopedica, politica impegnata prima nel Partito Socialista italiano e poi in quello Comunista, avanguardia dell’ecologia e della difesa dell’ambiente come le conosciamo oggi.

Laura Conti, nata a Udine il 31 marzo del 1921 e morta a Milano il 25 maggio del 1993, è icona di mille forme di impegno pubblico per il proprio Paese e per la collettività, tutte accomunate dal filo rosso di una forte passione e di un’ostinata speranza.
Internata al campo di transito di Bolzano riesce ad evitare la deportazione. Tornata libera conseguirà la laurea. Tra i suoi incarichi principali ricordiamo quello di segretaria della Casa della Cultura, la direzione dell’associazione Gramsci e la fondazione della Lega per l’ambiente (Legambiente come la conosciamo oggi). Nel 1987 sarà eletta come deputata e lavorerà, tra le altre cose, ad una legge sulla regolamentazione della caccia.
C’è anche una Laura Conti scrittrice di opere che le varranno fama internazionale, saggistica ma non solo in cui ripercorre disastri ambientali drammaticamente celebri della nostra storia e li denuncia in una narrazione diventata emblematica con Visto da Seveso e Una lepre con la faccia di bambina che ricordano la nube di diossina che dalla fabbrica Icmesa, a nord di Milano, travolse la popolazione di Seveso.

Un caso eclatante e paradigmatico degli errori fatti sul territorio, «della mancanza di controlli pubblici contro lo strapotere degli interessi privati ― come lei stessa diceva ― dell’impotenza della pubblica amministrazione di un paese, pur industriale e civile, come l’Italia, di fronte a un disastro ecologico imprevisto, ma non imprevedibile».
Libertà, spirito critico, autonomia e un ambientalismo dal sapore antico caratterizzano tutta la vita di Laura Conti. «In casa non si occupavano di spiegarmi le cose ― racconta lei stessa, come si legge sull’Enciclopedia delle donne ― avevo tutti i libri a mia disposizione, non avevo che da attingere agli scaffali, liberamente, prima ancora di andare a scuola».
Laura Conti vive la sua epoca pienamente, ma anticipa senz’altro i tempi con il suo incessante impegno per la promozione di una cultura dell’ambiente che fino ad allora sembrava non esistere. Il suo ambientalismo era fatto soprattutto di divulgazione: in questo solco vanno inseriti i suoi lavori, fra cui Che cos’è l’ecologia (Mazzotta, 1977): «La vita – scriveva – se fabbrica una molecola complessa, fabbrica anche la molecola di un enzima che la degrada. Ma non fabbrica enzimi per molecole sconosciute. Per ogni molecola che si costruisce c’è un enzima che la distrugge, è una legge biologica senza eccezioni, e la si ritrova all’interno di ogni singolo organismo come pure nel rapporto tra organismi diversi. Se ci fosse stata anche una sola molecola fabbricata da un organismo vivente e capace di sfuggire alla degradazione, oggi il mondo ne sarebbe colmo». E ancora Imparare la salute (Zanichelli) scritto nel 1983. Ma il debutto letterario era già avvenuto prima con La condizione sperimentale sull’esperienza di prigionia e prima ancora con Cecilia e le streghe, con cui nel 1963 aveva vinto il premio Pozzale.

C’è in Laura Conti un’energica tensione dialettica tra la volontà di rompere stereotipi e usi consolidati, a partire dal suo impegno politico e dalla sua stessa formazione personale, e uno sguardo rivolto all’antico che non c’è più. L’ambiente sognato e offerto a lettrici e lettori è infatti il ritratto di una natura da rispettare, da non brutalizzare con interventi violenti e irrispettosi, di un’armonia perduta.
Non si dirà mai scienziata ma studiosa di ecologia. E con questo spirito oltre a Seveso scenderà in piazza con il movimento femminista nei giorni tristi e spaventosi di Chernobyl. Nel suo impegno c’era questa componente di forte umanità, che ha appunto il sapore di un mondo antico con i suoi equilibri e la sua armonia da recuperare e preservare. In lei l’ecologia e l’ambientalismo si univano necessariamente alla virtù politica, all’impegno per il prossimo e per la società. Lo descriveva lei stessa con queste parole: «Pur trovando affascinante lo studio, penso che sia importante anche agire ed operare. Per questo motivo ho deciso di fare politica: non basta studiare, bisogna anche darsi da fare». Senza dubbio anche gli studi in medicina le avevano consegnato questa propensione all’aiuto, al soccorso dei singoli e l’esperienza politica non poteva che esservi profondamente connessa.
Come molte donne, nella prima giovinezza, Laura Conti aveva costruito la propria esistenza in una ribellione rispetto alla propria madre che da maestra aveva rinunciato al lavoro per adeguarsi al modello paterno, un uomo intellettualmente onesto che però restava «un tiranno della peggior specie». È in tale rottura interiore da quel modello familiare diffuso al tempo che questa donna coraggiosa e di forte spirito critico costruisce la sua libertà e da lì nascerà la sua visione allargata al bene comune.
Nel 1986 riceve il Premio Minerva per la ricerca scientifica dalle mani di Rita Levi Montalcini. «La scienza è stata un divertimento che mi è piaciuto, mentre penso sia più meritevole chi, cominciando come partigiana, ha poi cercato di salvare il sistema vivente – queste sono le parole della grande scienziata per Laura Conti – occupandosi di problemi così importanti come quello ecologico».
Non c’è dubbio che la sua figura, come per tante altre donne che celebri e dirompenti sono state davvero per la storia del nostro Paese, sia caduta in una sorta di damnatio memoriae. Un convegno sulla sua attività a Milano nel 2006, una rappresentazione teatrale nel 2012 e una via la ricorda a Bolzano. Due giorni di studio le sono stati dedicati a Roma, nell’ottobre 2011 dall’associazione Donne e scienza presso la Casa internazionale delle donne. Un premio giornalistico porta il suo nome e alcune università, come l’ateneo di Bari, promuovono un premio a lei intitolato. Ma non è abbastanza, da “maestra dell’ambiente” dovrebbe avere un ruolo cruciale nei percorsi di istruzione obbligatoria.
A Laura Conti la popolazione italiana deve l’aver compreso che l’ecologia non è solo fatta di piante e preservazione di specie animali, ma di lavoro, di periferie e di fabbriche. Anche quando ruppe con la Lega per l’ambiente il suo impegno continuò con saggi, convegni, conferenze nonostante una salute sempre più precaria.
Tutto era iniziato sbirciando tra i libri di casa, pescando, tra i molti che appesantivano gli scaffali, la biografia di Marie Curie. Quel giorno era nata la curiosità per la scienza e il fascino che avrebbe avuto per tutta la vita su Laura Conti. Insieme a questo c’era quel senso di giustizia che, giovanissima, l’avrebbe portata nel gennaio del 1944 a entrare a far parte del Fronte della gioventù, la più importante organizzazione giovanile partigiana. «Avevo molta paura, ma al contempo avevo la sensazione che il mondo fosse troppo piccolo per albergare i nazisti e me, che fosse persino necessario morire, perché se i nazisti avessero trionfato, il mondo non avrebbe più avuto attrattive».
Era lo stesso mondo, più giusto e pieno di bellezza, che Laura Conti ha raccontato lungo tutta la vita nel suo impegno per l’ambiente, nella sua testimonianza attiva per difenderlo e per proteggerlo. Ad ogni costo e fino all’ultimo strenuamente. La morte arrivò all’improvviso mentre era al lavoro su un nuovo libro.
Qui le traduzioni in francese, inglese e spagnolo.
Biografia scritta da Silvia Mari.
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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.