L’Ombra della bomba. L’ottobre di Limes

L’ultimo numero di Limes è stato scritto nel momento più difficile dell’«operazione militare speciale» della Russia in Ucraina, con la Russia quasi con le spalle al muro. Nel frattempo c’è stata un’evoluzione nei rapporti tra la superpotenza in declino e l’Ucraina, Putin ha proclamato la legge marziale nelle repubbliche annesse con un referendum di dubbio valore legale e i bombardamenti sulle città ucraine sono aumentati in modo esponenziale. Intanto in Italia si moltiplicano le richieste di un negoziato per la pace da parte della società civile e di alcune forze politiche, gli appelli di diplomatici in pensione e di intellettuali, le critiche al sistema fallimentare delle sanzioni. E tante manifestazioni per la pace. Un appello a Biden perché tratti con Putin è venuto da alcuni esponenti del Partito democratico, tra cui Alexandria Ocasio-Cortez. Uscite estemporanee davvero filoputiniane di una delle forze politiche della coalizione che ha vinto le elezioni completano il quadro.
L’editoriale di Lucio Caracciolo, Valzer per nessuno, ha un esordio che merita di essere riportato: «L’Ucraina sta invadendo la Russia su mandato dell’”Occidente collettivo”. Potessimo radiografare la mente di Putin, vi leggeremmo questa paradossale carta del fronte bellico. Sineddoche geo­politica che dipinge russe quattro regioni ucraine di cui nessuna totalmente controllata da Mosca. E che il giorno dopo l’annessione già perdevano altri pezzi. Rappresentazione d’un fallimento che potrebbe sfociare nella liquidazione del presidente e forse dello Stato di cui si concepiva amministratore a vita. O nella guerra atomica che Putin scatenerebbe per impedirlo. Spettro che il Cremlino evoca nella speranza che la Casa Bianca accetti di negoziare un compromesso altrimenti improbabile».
La Russia ha già perso la faccia, molti combattenti sono stanchi di combattere una guerra fratricida, «concepita contro-colpo di Stato con calibrato accompagnamento militare, rivincita del blitz subìto nel 2014 a Kiev grazie al supporto angloamericano alla rivolta di Jevromajdan, l’”operazione militare speciale” volge in lotta per la sopravvivenza». «Dice molto lo sguardo assente dei dignitari che il 30 settembre si ritrovano comandati nella Sala di San Giorgio al Cremlino per la cerimonia di ammissione alla Federazione Russa delle regioni ucraine di Luhans’k, Donec’k, Zaporižžja e Kherson, autolegittimate da farseschi referendum in zona di guerra». Il tabù nucleare è scaduto. Se ne parla come di un’eventualità possibile, non solo tra gli opinionisti o gli esperti di questioni militari, anche al bar, tra cittadini e cittadine comuni. Come sempre l’analisi geopolitica degli interessi in gioco e dei conflitti merita di essere letta con attenzione e le affinità che il direttore di Limes intravede con la cosiddetta Guerra mondiale zero tra Russia e Giappone del 1904-1905 sono racchiuse in un excursus del colto editoriale che ogni mese ci offre suggestioni e sollecita la nostra curiosità per la storia. 

Farebbe bene a tutte e tutti leggerlo, come la sua parte finale, che contiene considerazioni amare sulla cosiddetta Unione Europea e sull’incapacità di lettura della realtà «del piccolo universo di noi privilegiati, “miliardo dorato” stanziato fra Nordamerica ed Europa, con appendice nippo-sudcoreana e oceanica», fiaccato dall’accoppiata virus-pandemia. Gli occhiali azzurrati con cui guardavamo il mondo si sono trasformati in lenti lievemente affumicate che adesso ci accecano e che ci hanno impedito di vedere i fulmini che s’avvicinavano al nostro mondo. Ancora stentiamo a capire che questa è la normalità.
Molti degli approfondimenti di questo numero della rivista, uscito il 15 ottobre scorso, sono in parte superati dalla cronaca. Per questo mi soffermerò sui saggi che fanno pensare.
Tutto da leggere e da far leggere anche a scuola, il saggio stimolante di Romano Ferrari Zumbini L’Ucraina in bianco e nero, un testo che ha il pregio di smontare la narrazione manichea dei nostri media sulla guerra in atto. Scrive il collaboratore di Limes: «la narrazione imperante raffigura uno scontro fra buoni e cattivi, come in un film in bianco e nero alla John Wayne. Ma qual è la storia che accomuna e separa i contendenti?» Con grande chiarezza l’autore riporta la storia dei rapporti tra Russia e Ucraina, che è doveroso non ignorare, soprattutto per cittadine e cittadini europei. Il richiamo a Kant da parte di Zumbini è convincente e per questo lo riporto, anche a costo di sacrificare spunti geopolitici racchiusi in altri saggi, oggi in parte superati dalla cronaca: «Sintomatico è che per Kant la garanzia della pace scaturiva, per quanto strano possa sembrare, dalla natura che alimenta (nel corso a suo dire meccanico delle cose) il filo del destino (o della provvidenza). Il concerto fra Stati inibisce l’egoismo di ogni singolo Stato e favorisce il maturare di un senso comune, di una visione comune, che non può non essere la pace. La Storia converge verso un punto finale: la creazione di una situazione in cui il bene si può e si deve realizzare. È la finalità morale dell’uomo. Il punto di passaggio obbligato è la fiducia negli Stati, quali “individui in grande”, i quali hanno l’interesse ad accordarsi fra loro per favorire lo sviluppo della ragione. Quegli Stati che sembravano sul viale del tramonto per volontà del globalismo, ma che il virus – con la “rinascita” delle frontiere – ha rivitalizzato. E chi più di vari paesi europei – dove l’illuminismo è maturato e si è declinato in una policromia di sfumature – ha l’autorevolezza storica, quindi culturale, per parlare di pace? […] In conclusione, di fronte alla guerra viene da chiedersi se i “valori europei” si esplicitano con il vigore dei film alla John Wayne, con la logica dei comics alla Walt Disney, per cui a Topolino (bello, buono, bravo e profumato) si contrappone Gambadilegno (brutto, cattivo, sporco e sgradevole). O forse con Immanuel Kant?».

Tra i contributi femminili di questo numero merita un’attenzione particolare l’appendice all’editoriale ottobrino, Coriandoli di Russia, di Agnese Rossi, che riferisce della terza edizione del Forum delle libere nazioni di Russia, che ha avuto luogo a Danzica il 24 settembre. Il Forum, sovvenzionato da polacchi e baltici, raduna i rappresentanti di minoranze etniche e realtà regionali russe «che reclamano diversi gradi di autonomia dal centro federale. I partecipanti sono accomunati dalla certezza che la guerra intrapresa da Mosca per mantenere l’impero sia la scintilla che ne innescherà la disintegrazione». Leggerlo aggiunge molti tasselli alla complessa questione della Guerra grande.

L’altro saggio fondamentale è quello che attendiamo ogni mese dall’esperta di Russia Orietta Moscatelli, che ci regala un’analisi articolata e complessa di quanto accade oggi nella terra che fu degli zar sotto l’egida dell’unificatore delle terre russe, Putin. Notevole il quadro delle posizioni dei siloviki che lo pressano e che sostengono le posizioni più radicali e l’approfondimento sulle etnie a cui appartengono i soldati della federazione che hanno combattuto gli ucraini fino a oggi. Quanto alla percezione della guerra da parte dell’opinione pubblica russa, se i giovani sono sempre stati scettici, il consenso degli altri/e sta in parte diminuendo. 

Tra gli articoli di questo numero un’attenzione particolare merita quello di Alberto Spagnulo, La prossima bomba nucleare potrebbe esplodere nel cosmo, su un tema che i nostri media generalisti ignorano allegramente e che invece l’opinione pubblica mondiale avrebbe il diritto di conoscere: come la rete di migliaia di satelliti statunitensi Starlink, di proprietà della SpaceX di Elon Musk, sta supportando le truppe di Kiev «al punto che un militare ucraino ha dichiarato che «senza Starlink avremmo già perso la guerra». Il rischio che i conflitti si svolgano nel cosmo è enorme. «Il fatto è che l’impiego delle nuove tecnologie spaziali per fare la guerra non è più esclusivo appannaggio delle Forze armate ma ora anche di società private come la SpaceX.
La domanda da porsi è: attaccare un satellite Starlink che non è di proprietà del governo americano è un diretto atto di guerra agli Stati Uniti oppure no? Difficile stabilirlo da un punto di vista giuridico. Potremmo però scoprirlo presto».

Ordigni nucleari nel cosmo sono stati già fatti esplodere dalle tre superpotenze e l’articolo ne dà un resoconto dettagliato, così come della quantità enorme di detriti che circolano sopra le nostre teste, dovuti alla distruzione dei satelliti. Lettura necessaria quella del saggio di Spagnulo, che fa intravvedere che sul punto il diritto è ben poca cosa e che se uno Stato facesse esplodere nel cosmo un ordigno nucleare questo non significherebbe necessariamente l’attacco a un altro Stato. «Non è quindi un caso che il 3 ottobre Elon Musk, ritenuto fino al giorno prima un eroe dagli ucraini per aver fornito a Kiev i suoi satelliti, abbia improvvisamente proposto via Twitter un suo piano di pace, subito apprezzato dal Cremlino ma che ha fatto infuriare il presidente Zelens’kyj, che ironicamente ha lanciato tale sondaggio sui social: «Siete a favore del Musk filo-ucraino o di quello filorusso?».

L’analisi approfondita dal punto di vista militare di Mirko Mussetti si sofferma sull’attesa del Generale Inverno da parte della Russia, che potrebbe, come sembra in questi giorni, aprire la strada a una rivincita da parte russa inducendo in Ucraina una crisi energetica perché Putin non vuole essere ricordato come colui che perse l’Ucraina.
Di deucranizzazione piuttosto che di russificazione scrive in un articolo dettagliatissimo (La deucrainizzazione spiegata ai profani) sulle varie parti del Donbas Luca Steinmann, con un richiamo a Massimo D’Azeglio: «L’annessione è fatta, i russi d’Ucraina sono ancora da farsi».
Su questo saggio ho scelto di soffermarmi perché i media generalisti, che hanno sempre colpevolmente ignorato la guerra del Donbas, ne parlano pochissimo. Oltre ad avanzare militarmente Mosca deve conquistare le menti e i cuori dei suoi nuovi cittadini e cittadine, che stanno reagendo in modo piuttosto eterogeneo: nel Donbas controllato dai russi dal 2014 i consensi alla Russia e l’avversione a Kiev sono diffusi, non altrettanto nell’Ucraina del Sud.
Come ricorda Steinmann: «La deucrainizzazione di un territorio inizia nell’istante in cui le truppe russe e filorusse ne prendono il controllo. Nelle prime fasi segue più o meno la stessa procedura. Appena arrivati i soldati russi rimuovono i simboli e i colori ucraini da strade e palazzi sostituendoli con i propri, poi rimuovono i vertici dell’amministrazione locale composta generalmente da uomini leali a Kiev e nominano amministratori filorussi. Generalmente si tratta di persone del posto che dal 2014 erano passate a vivere sul lato dei russi oppure che erano rimaste nelle proprie case mantenendo un profilo basso. Alcuni erano stati imprigionati dai servizi segreti ucraini. Molti sono affiliati a Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. Successivamente vengono attuati imponenti programmi di aiuto umanitario e viene introdotto un sistema assistenziale alternativo a quello ucraino. Gli aiuti umanitari consistono soprattutto nella distribuzione di alimenti e kit igienici, di solito da parte di attivisti di Russia Unita. Al loro fianco si vedono spesso i gazebo dove la popolazione può iscriversi al nuovo welfare di Mosca o richiedere un passaporto russo, che verrà rilasciato nell’arco di qualche settimana. A questo punto inizia la fase propagandistica ed educativa, che varia in base ai diversi livelli di accettazione o ostilità verso i russi. La tappa finale è l’annessione formale attraverso referendum […] La deucrainizzazione continuerà dunque nei mesi (anni) successivi».

Nell’oblast’ di Luhans’k l’impronta russa e sovietica è tangibile nei monumenti a Lenin e nei simboli, mentre la cittadina di Stakhanov, dove dimorò a lungo l’eroe russo del lavoro, il minatore Stakhanov, è diventata uno snodo militare strategico. «Altro elemento di continuità tra passato sovietico e presente russo – continua Steinmann – è un anonimo prato nella steppa non lontano da Lysyčans’k. Qui soldati e civili russi e filorussi si recano in pellegrinaggio, inginocchiandosi di fronte a una piccola targa che onora un ignoto combattente che durante la seconda guerra mondiale morì combattendo contro la Wehrmacht. Si racconta che puntando una pistola verso il cielo incitò i suoi compagni d’armi ad attaccare il nemico. Pochi secondi dopo fu colpito da un proiettile e ucciso. Il fotografo Maks Al’pert lo immortalò subito prima della morte e la sua immagine divenne un simbolo della resistenza sovietica al nazismo, oggi di nuovo al centro della propaganda russa. Questi personaggi spiegano l’importanza di Luhans’k per Mosca: non è un mero territorio, ma scrigno di luoghi e simboli storici, quasi sacri. Gran parte della regione si era già staccata dall’Ucraina nei primi mesi del 2014, quando molti dipartimenti locali della polizia, dell’intelligence e in misura minore dell’esercito ucraino rifiutarono il cambio di potere avvenuto a Kiev».

Sul tema delle sanzioni alla Russia notevole è l’approfondimento di Heribert Dieter Perché la Germania deve abbandonare la nave delle sanzioni, che evidenzia l’arma spuntata rappresentata da questo strumento. Riporterò i passaggi più salienti: «L’Occidente ha sottovalutato o trascurato almeno tre dimensioni dello strumento sanzionatorio. Primo, la capacità della società russa di far fronte alle sanzioni perché le conosce e sa come conviverci. Secondo, le conseguenze sul sistema finanziario internazionale possono condurre all’emersione di sistemi concorrenti. Terzo, le conseguenze sul commercio mondiale probabilmente accelereranno la tendenza già visibile verso l’arretramento delle relazioni economiche internazionali».

Anche l’articolo di Nicola Costadoro racconta come la Russia, con il gioco delle tre carte, cioè con un sistema di triangolazioni, riesca a rifornirsi di materie prime dai vari Paesi del mondo, amici e no.
Interessantissimo per i dati che riporta l’articolo d Fabrizio Maronta La Guerra affama Caoslandia, mentre la descrizione del soft power cinese senza scrupoli e dei suoi risultati nei confronti dell’Africa sono ben descritti da Albanese in La Cina punta sull’Africa gialla. Più a lungo dura la guerra nel centro dell’Europa, più pesanti saranno gli effetti negativi sulle relazioni fra paesi.

Ce ne parla con una notevole quantità di dati Gian Paolo Caselli in Quanto ci costa la guerra, che ricorda la chiusura dei mercati russo, bielorusso, il rincaro di energia e materie prime, dall’argilla ai metalli, la sofferenza del made in Italy (ma per fortuna adesso avremo un Ministero con tale nome…) e l’inflazione, che colpisce famiglie e piccole imprese, ipotizzando che la soluzione sia il friendshoring, la strategia di sopravvivenza per la quale alcune fasi dell’attività economica vengono delocalizzate in paesi amici che condividono lo stesso sistema di valori.

Di India nei rapporti con Mosca e con gli Usa, dell’insofferenza degli ‘stan e degli appetiti cinesi che li riguardano, della politica del doppio forno di Ankara, dei rapporti tra Cina e Russia trattano altri articoli che allargano il nostro sguardo al mondo.
Un approfondimento sul nuovo governo nello scenario di guerra è scritto da Germano Dottori, Se la guerra ci bussa alla porta. Vedremo se i suoi consigli saranno seguiti da quella che noi di Vitamine vaganti continuiamo, in direzione ostinata e contraria, ormai, ma nel rispetto delle regole della grammatica italiana, a chiamare “la” Presidente del Consiglio, diversamente da molti media nostrani subito allineati al nuovo corso. E soprattutto staremo a vedere se il primo governo della Repubblica guidato da una donna avrà il coraggio di dire in Parlamento quante e quali armi abbiamo inviato in Ucraina, dato che il precedente governo, forse per paura di cadere, non lo ha mai detto.

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Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

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