Carissime lettrici e carissimi lettori,
è ancora la cronaca a stupirci. Come il nostro presente, come l’oggi nel quale dobbiamo, concordi o no, vivere. La cronaca di questo nostro tempo ci incalza dai telegiornali, dagli innumerevoli talk televisivi, dai giornali e, soprattutto, dai social che frequentiamo, assiduamente.
La cronaca ci racconta il mondo che viviamo, vicino e più lontano. Ci dice di notizie che segnano il nostro essere. Spesso non sono positive per quella triste, ma reale, verità giornalistica che sono quelle forti, e dunque di solito brutte, le notizie più frequenti ed evidenti. Spesso ci troviamo proprio a raccontare queste, con disagio, ma anche con la necessità di evidenziare, e dunque denunciare, un male da cui dobbiamo salvarci.
La cronaca racconta, ma il linguaggio trasfigura e, in questo caso, denigra e offende. Cosa che indica, e ce lo siamo chiesti in molti e molte, una realtà impietosa, che manca di umanità.
Trattenere delle persone senza aiutarle è illegale. Se ne era parlato tanto quando al Viminale regnava l’odio per l’immigrazione, polvere negli occhi, come succede ora, per non parlare d’altro e rimanere in una perenne campagna elettorale caratteristica ormai della più becera politica nostrana.
«La Convenzione di Amburgo afferma l’obbligo di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo di vita in mare, intervenendo quanto più velocemente possibile. Le persone salvate, quindi, devono essere portate nel primo porto sicuro disponibile. Il place of safety non va individuato solamente guardando alle coordinate geografiche: alle persone soccorse deve essere anche garantito il rispetto dei diritti umani in quel luogo e deve essere loro assicurata la possibilità di fare richiesta di asilo. Anche la Convenzione Solas stabilisce che il comandante di qualsiasi nave abbia il dovere di assistere quanto più rapidamente possibile le persone in difficoltà in mare; agli Stati (quindi, concretamente, ai governi e ai centri di coordinamento del soccorso) questo documento impone invece di garantire tutti gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e le richieste di soccorso. Nella propria area di responsabilità, inoltre, gli Stati devono assumere il coordinamento delle operazioni. La delimitazione di quest’area, al di là delle acque territoriali, è sancito dalla Convenzione Sar. Entro questo perimetro i governi devono garantire assistenza alle persone che si trovano in pericolo, indipendentemente dalla loro nazionalità o dalle circostanze in cui vengono trovate, e trasferirle in un luogo sicuro. Le operazioni di soccorso non possono considerarsi concluse fino a quando tutte le persone soccorse non siano sulla terraferma. Secondo la linea del governo spetterebbe agli Stati di bandiera delle navi umanitarie che effettuano i salvataggi offrire il porto sicuro. Ad esempio la Norvegia, se si sta parlando della Geo Barents, oppure la Germania per la Sea Watch 3. Come abbiamo visto, però, le Convenzioni internazionali impongono di portare a termine i soccorsi nel più breve tempo possibile. E ovvie ragioni geografiche, quindi, vogliono che il porto sicuro di sbarco sia spesso individuato in Sicilia o lungo le coste del Sud Italia» (Annalisa Girardi, Fanpage.it).
Come ci si sente a vivere in un mondo in cui l’istituzione, lo Stato, nomina come oggetti, merce, delle persone che lo Stato stesso, attraverso il suo governo, ha costretto a rimanere su una nave, a non scendere a terra come si dovrebbe, come dettano le leggi del mare? Persone, non oggetti, obbligate a stare ferme, nel mare. Lo Stato che, ripetiamo, è obbligato al soccorso, le chiama carico residuale! La scrittrice e giornalista Concita De Gregorio scrive delle frasi condivisibili e molto significative: «Il livello di disumanità della formula caricoresiduale usata per indicare persone da scartare travalica la possibilità di essere declinato a parole – scrive– Leggo ogni genere di indignazione, obiezioni giuridiche, pietas. Niente mi inchioda al rifiuto istintivo, pre-razionale, della selezione operata da uomini su altri uomini quanto l’idea di esclusione arbitraria. Tu no. Essere additati come quello che non salirà a bordo della scialuppa, non prenderà quel treno, non avrà un piatto di minestra perché lo decido io, faccio due file: di qua chi vive, di là chi muore. È il mio capriccio, la mia regola inventata ora, il mio farmi dio, demone al tuo cospetto. Il senso di ingiustizia legato all’esclusione è qualcosa di cui ogni essere umano ha fatto esperienza. Quando da bambino non ti mettevano in squadra, quando nel gioco di strada non eri scelto in nessun gruppo, quando più avanti nella vita la porta della condivisione si è chiusa all’improvviso: noi andiamo avanti – tu sei fuori. È tutto sommato un’esperienza abituale, persino formativa: tempra, induce una reazione. Ma se è la vita, quello che è in gioco. Se è un plotone d’esecuzione, un essere umano che guarda negli occhi un altro essere umano e dice tu no, tu devi morire. E se non c’è una ragione per questo – in rarissimi casi ce n’è davvero una – allora lì, credo, si inverte l’ordine dei fattori. È chi decide questo, che è fuori. È chi si fa giudice che non merita di appartenere al consesso degli umani. È chi seleziona, non chi è selezionato, colui che ha perso tutto. Non ci può essere più sonno né barlume di luce per chi decide la sorte dell’altro. Non fatelo. Rifiutatevi di farlo, medici e pubblici ufficiali. Salvatevi, salvandoli». Giusto, ha ragione Concita De Gregorio, non esiste la pietas in questo guardarsi negli occhi tra umani. L’espressione carico residuale del ministero che eguaglia persone e ne decide la sorte come un carico di merce, forse anche scaduta, ha anticipato la parola del governo che nega a quell’umanità, giudicata scaduta, la definizione di naufrago/a. E cosa se non naufraghi/e sono le persone raccolte in mare, uomini, donne, bambini che dopo i pericoli non sono riusciti/e a terminare la loro traversata marina? É questione di vocabolario, di lingua. E allora andiamo a cercare la parola: «Dal latino naufrăgus, (che ha lo stesso etimo di naufragium, naufragio). Chi ha fatto naufragio, riferito (nei momenti o nei giorni immediatamente successivi al naufragio stesso, o facendone la storia, sia a chi vi è perito, sia, più frequentemente, a chi è riuscito a scamparne: soccorrere, raccogliere, trarre in salvo i naufraghi; il recupero delle salme dei naufraghi…». E soprattutto: «Per estensione, chi, passeggero o membro dell’equipaggio, caduto in acqua da una nave, è oggetto di operazioni di ricerca e di soccorso» (Treccani). La situazione è chiara, che altro dubbio si può avere?!
Fa parte dei diritti negati, il principale: l’uguaglianza tra le persone. Di uguaglianza si deve parlare anche nella condanna delle ideologie forti. Mai, e guai a farlo, riuscire o tentare di insinuare odio, soprattutto nei e nelle giovani. Nell’anniversario della caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha mandato una lettera ai ragazzi e alle ragazze nelle scuole in cui ha sottolineato come questa ricorrenza serva per ricordare la bruttura dei totalitarismi. A nostro avviso, però, il ministro ha messo l’accento solo su una parte della Storia e invece le e gli studenti devono fare i conti e riflettere su tutta la Storia del Novecento europeo. Strana dimenticanza per il Ministro non avere ricordato che il 9 novembre è anche l’anniversario della notte dei cristalli del 1938, che l’ONU ha dichiarato Giornata mondiale contro il nazifascismo e l’antisemitismo. Questo ci offre comunque l’occasione di parlare ancora una volta della nuova nominazione (di nuovo osserviamo il valore della parola) del ministero che si chiama non solo dell’Istruzione, ma anche del Merito. Ministro del Merito. Ma quale scuola che sia egualitaria, giusta e libera può, se non classista e di privilegio, basarsi sul merito? La Scuola deve portare avanti tutti i ragazzi e tutte le ragazze e ha successo quando fa emergere in ciascuna/o studente il modo di ciascuno/a di porsi al mondo e di evidenziare le proprie capacità, anche di autonomia. Allora ha compiuto il suo dovere, ha tracciato una strada. Non ha distribuito premi che sono il fondamento, il ministro dovrebbe saperlo, proprio dei regimi totalitari, compreso quello che lui critica aspramente nella sua Lettera/lezione di Storia ai e alle ragazze. Domenica scorsa Corrado Augias, in apertura di una trasmissione a cui settimanalmente partecipa, ha osservato: «Molto si è discusso sul nuovo nome del ministero ora denominato dell’Istruzione e del Merito – ha esordito il giornalista –. Personalmente preferivo la vecchia edizione di Pubblica istruzione che ha un significato illuministico. La mia opinabile opinione è che il merito è già nel concetto stesso di Scuola come la definisce la Costituzione. Tirarlo in ballo, in questo modo, è comunque sbagliato proprio per ragioni vorrei dire di merito. Faccio mie – dice ancora Augias – le parole del senatore Mario Monti: uno Stato che non riesce a tassare in maniera equa, cioè secondo le possibilità di ciascuno, non può garantire uguaglianza di opportunità, dunque valorizzazione del merito e uguaglianza. Premessa del giusto merito significa per esempio sostenere l’interesse generale e non quello di singole corporazioni arroccate sui loro privilegi. Mai come in questo caso nomina sunt consequentia rerum, le cose vanno cambiate, non i nomi. Cambiando solo i nomi forse si guadagna qualche voto ma non si migliora l’Italia o, per gradire l’attualità, la nazione» (Rebus, puntata del 5 novembre).
Questo novembre, proprio nel giorno dedicato al ricordo di chi non è più di questo mondo, è caduto l’anniversario dell’uccisione, all’idroscalo di Ostia, a pochi chilometri da Roma, di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975), un anniversario seguito a quello del centenario della nascita, ricordato a marzo (5 marzo 1922). L’atroce morte del poeta innamorato di Casarsa, paese materno, è ancora avvolta nel mistero perché ancora non si è riusciti, pur tra le mille ipotesi, a confutare la confessione di quel ragazzino (Pelosi) che aveva detto di averlo ucciso lui, per ribellione e per offesa. Un ragazzo solo per compiere una devastazione su un corpo così martoriato eseguita con un bastone mangiato dalla salsedine.
Per ricordare Pasolini (a Roma si stanno svolgendo tre mostre tra il Palazzo delle Esposizioni, Palazzo Barberini e Maxxi, in Friuli altre due mostre fotografiche) dedichiamo a lui lo spazio poetico di questa settimana con una poesia che ci fa capire ancora meglio il suo pensiero contro un certo modo di mostrarsi del presente. Chissà poi se sarebbe piaciuta a P.P.Pasolini, a proposito della mostra del Palazzo delle Esposizioni a Roma, quella in contemporanea di fotografie da tutto il mondo allestita nella Sala Fontana dello stesso Palazzo (Vicino/Lontano, entrata libera via Milano 13, fino al 28 novembre), 140 fotografie per celebrare i cinquanta anni della Convenzione Unesco sulla protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale. A Pasolini piaceva viaggiare e ci è sembrato vederlo accompagnarci di foto in foto, di paese in paese, dall’Egitto, al Pakistan, dall’India all’Iran, dal Gambia al Bangladesh, alla Cina. Tra sacro e profano, tra foto di famiglie lontane e immagini di tavole imbandite secondo le abitudini del luogo, lui era con noi, ritrovando i luoghi che aveva abitato.
Io sono un uomo
Antico, che ha
letto i classici,
che ha raccolto
l’uva nella vigna,
che ha contemplato
il sorgere o il calare
del sole sui campi.
Non so quindi cosa
farmene di un Mondo
creato, con la violenza,
dalla necessità della
produzione e del
consumo.
Detesto tutto di esso:
la fretta, il frastuono,
la volgarità, l’arrivismo.
Sono un uomo che
preferisce perdere
piuttosto che vincere
con modi sleali e
spietati!!
(Pier Paolo Pasolini)
Buona lettura a tutte e a tutti.
Sfogliamo gli articoli di questo numero, cominciando da Josephine Ettel Kablik: un amore sconfinato per la natura, che ci presenta la donna di Calendaria, grande appassionata di piante e montagne, pioniera della parità e del lavoro di ricerca. Restiamo ancora nel fascino della natura con La città narrata dalle donne: Reykjavik, in cui gli sguardi di tre italiane ci restituiscono le luci e i panorami d’Islanda. Una storia olimpica. Da Barcellona 1992 a Tokyo 2020 è la quinta parte della serie che racconta le presenze femminili alle olimpiadi, mentre Educazione alla cittadinanza europea in ottica di genere. Parte terza affronta il tema delle pari opportunità e del gender mainstreaming nelle politiche dell’Unione Europea all’interno del corso organizzato dalla Società delle storiche e da Archivia. «Bisogna esserci, per cambiare le cose». Ce lo rammenta l’autrice di Tina Anselmi, nome in codice Gabriella, per la Rubrica Le storie, una donna cui tutti e tutte noi dovremmo essere grate per l’opera fondamentale di attuazione della Costituzione che ha contraddistinto le sue politiche.
Due sono le giornate che vogliamo ricordare questa settimana: il 13 novembre, la Giornata mondiale della gentilezza, istituita dal 1988, pratica che è «il vero segreto per trasformare ogni relazione sociale in un rapporto duraturo di fiducia e alleanza» e il 17 novembre, Giornata dello studente, con un articolo che lascia per una volta, finalmente, La parola a chi è studente e non a docenti pedagogisti/e o esperte/i di turno. Sempre a proposito di scuola, nella sezione Juvenilia, raccontiamo in Donne “combattenti” per il femminismo un lavoro del Liceo Scientifico “Edoardo Amaldi” di Barcellona, premiato al X Concorso Sulle vie della parità di Toponomastica femminile. Come si possono trasmettere il pensiero e la memoria femminista? Ce ne parla Dalla piuma all’algoritmo. La cura della trasmissione, che riferisce dell’interessantissimo Convegno che si è tenuto su questi temi e con questo titolo alla Casa Internazionale delle Donne di Roma.
Di linguaggio e violenza verbale, degli effetti deleteri dello sdoganamento della volgarità nel linguaggio politico e sui social e di molto altro riferisce l’autrice di Parole male-dette. Parte Prima, raccontando l’interessante convegno organizzato da Reti culturali.
«È una donna, generatrice di vita, che ha permesso a Cristo di diventare il ricominciamento dell’umanità e di contemplare la vittoria della vita sulla morte». Lo afferma la relazione sulla quinta lezione del corso del Cti sull’eco-teologia, Nuove creature in Cristo, che ci offre uno sguardo come sempre eccentrico e non allineato sulle Scritture. Di donna come fonte di vita e di sangue che dona la vita ci racconta Clelia Mori e Il Mistero Negato, la recensione della Mostra che sarà possibile vedere a Roma, presso il Lavatoio contumaciale fino al 20 novembre prossimo.
L’amore poderoso presenta, invece, la recensione di un libro che parla di quattro generazioni di donne, nell’Italia del secondo dopoguerra.
Chiudiamo con una nota di dolcezza: la ricetta dei Canestrelli liguri, da sperimentare e da gustare, augurando a tutte e tutti buon appetito.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.