Secondo Virginia Woolf, il fatto di uscire con uno scopo è la condizione che normalizza la presenza delle donne nelle vie delle città: «ci si mette in testa di comprare un oggetto, che in realtà è una scusa per fare quattro passi per le strade di Londra […] una matita può benissimo fungere da pretesto»: la presenza femminile, così giustificata, non si presta a equivoci e non espone a giudizi morali.
Le Italiane nel Grande Nord si trovano in una posizione diversa: sono donne moderne, abituate a vivere in città e, se da una parte sono pronte ad affrontare escursioni nella natura selvaggia e provare meraviglia per quelle terrae incognitae, dall’altra salutano gli ambienti urbani come luoghi dove è possibile esplorare con curiosità nuovi scenari ma anche riconoscere, ciascuna con la propria sensibilità, tratti comuni e rassicuranti. Come la luce, passando attraverso un prisma, si scompone in tanti colori differenti, i loro sguardi restituiscono a chi legge immagini diverse di una stessa realtà. I resoconti delle viaggiatrici italiane a Reykjavik coprono un periodo di poco più di trent’anni, in cui la città non è ancora la capitale di uno stato indipendente, ma solo il centro principale di un’isola che dipende dalla Danimarca. Nel percorso romanzato di Maria Savi Lopez, Nei Paesi del Nord del 1893, un gruppo di turisti inglesi raggiunge l’Islanda per un viaggio privato sul piroscafo Victoria; si tratta di alcuni adulti (il capitano Fowl; sir John, padre di Silvia; miss Margaret, istitutrice di Amy), un ragazzo, Rolf, e due ragazze: Amy, sua sorella; Silvia, una giovane di madre italiana. Come abbiamo già visto nell’articolo dedicato a questo romanzo, le informazioni storiche e scientifiche sono affidate prevalentemente ai personaggi maschili, mentre l’autrice e le voci femminili riportano soprattutto descrizioni e osservazioni dirette sull’ambiente e le/gli abitanti.
Giulia Kapp Salvini, che arriva in Islanda nel 1905 con la prima crociera turistica, utilizza la prima persona plurale per riferire le proprie impressioni insieme a quelle del marito, dal quale non si separa mai. Queste pagine così diverse fra loro trovano un’eco ulteriore negli articoli della giovane giornalista Ester Lombardo, che nel 1926 pubblicherà Luci del Nord. Già prima dello sbarco i viaggiatori del Victoria osservano con meraviglia il tramonto «fiammeggiante» sulla capitale dell’Islanda, impressione condivisa da Kapp quando il piroscafo attracca all’una di notte e il silenzio che avvolge la «graziosa cittadina» le appare strano, in quel crepuscolo così luminoso; Lombardo invece non registra affatto l’arrivo a Reykjavik. Una volta sbarcati, passeggeri e passeggere apprendono dal capitano, un veterano della rotta nordica, che si tratta di una città piccola e priva di attrattive; l’informazione è confermata da Kapp: «non esiste ancora un Baedeker per l’Islanda, né alcuna buona Guida per viaggiatori in quell’isola»; tuttavia, benché privi di indicazioni e nonostante l’agenzia turistica avesse organizzato una visita per i croceristi, «Carlo e io preferimmo rimanere indipendenti dal resto della società, e fare l’escursione per conto nostro». Lombardo, vent’anni dopo, si limita a definire Reykjavik «una graziosa città» dotata di un non meglio definito «fascino», con edifici «non grandiosi […] bei negozi, belle librerie».
Una volta a terra, Savi Lopez conduce i suoi personaggi nell’unico emporio,osservato con minuziosa curiosità: «eravi una stranissima confusione di cose diverse. Dal soffitto pendevano scarpe di ogni genere, pentole, cartelle per gli scolari, secchie, giocattoli, pennelli, scatole e mille altre cose. Lungo le pareti erano sospesi scialli, fazzoletti, cravatte, berretti per le donne, cappelli per gli uomini, fruste e funi; sugli scaffali eranvi medicinali e saponi, carta da lettere e profumi. Le pezze di stoffa per abiti, le pesanti flanelle erano a poca distanza dai barili di olio e dalle casse di petrolio; i pacchi di tabacco vedevansi vicino ai sacchi di zucchero e di caffè; le carte di musica ed i libri accanto ai chiodi, alle serrature, ai martelli».
Anche il Thorwaldsen-Bazar, che Kapp visita circa dieci anni dopo, «è specialmente interessante pel forestiero»: offre prodotti tipici ed è gestito da un comitato femminile «per promuovere l’industria nazionale […] Addette alla vendita sono delle buone signore Islandesi, gentili e premurose, che parlano un po’ l’inglese, presiedute da una signora molto distinta, islandese anche lei, ma che parla l’inglese perfettamente. Facemmo molte compere, trovando gli oggetti tutti di eccellente qualità e niente cari; su ciascun oggetto è marcato il prezzo, che è inalterabile ed eguale per tutti». Mentre Kapp considera il Nord Europa conveniente, è invece Lombardo a lamentare i prezzi elevati: il «buon albergo con ristorante» di Reykjavik è «salato nei prezzi», una constatazione che l’autrice ripeterà spesso in tutto il suo viaggio.
Le osservazioni sull’architettura della città sono rare; Amy, una delle due giovani turiste del romanzo di Savi Lopez, commenta con disappunto gli edifici della città: «Com’è triste l’aspetto di queste case! […] coperte di legno o zolle, e dipinte con colori oscuri, mi sembrano poverissime, e non intendo neppure che si possa passarvi l’inverno senza morire di freddo e di noia!»; ma il capitano, che è già approdato in passato in città, può descrivere gli interni, curati ed eleganti, dove la cultura occupa un posto importante: la popolazione islandese, infatti, legge molto e conosce le lingue più diffuse in Europa.

È Savi Lopez stessa che descrive la piazza principale, «in mezzo alla quale non eranvi grandi aiuole coperte di fiori ma vedevansi solo un po’ d’erba intorno al piedistallo di una statua», quella di Thorvaldsen, i cui antenati, informa il capitano, erano islandesi, «e questi buoni isolani menano gran vanto di questa cosa». La piazza è assai silenziosa e miss Margaret, l’istitutrice, lamenta che «questa parte della città sembra disabitata, e ciò la rende ancora più triste», ma è subito rassicurata dal capitano: «i suoi abitanti non l’hanno abbandonata, ma il chiasso non piace agl’Islandesi; essi non parlano molto, i ragazzi strillano di rado, ed i cani abbaiano sotto voce; non vi sono neppure carrozze o carri che possano far rumore nelle vie». La Reykjavik monumentale praticamente non esiste: la cattedrale «non aveva nulla di notevole», come il palazzo dell’Althing, il Parlamento.

Anche Kapp percorre lo stesso itinerario e descrive, senza particolare enfasi, la piazza principale con la cattedrale, il Parlamento, il Palazzo del Governatore e, al centro, la statua di Thorvaldsen. La cattedrale è «una chiesetta di modeste dimensioni» e, con il Parlamento, «sono i soli edifizi in pietra della città». All’interno di questo si trovano la biblioteca, gli archivi di stato, il Museo con quadri «molto primitivi», un curioso telaio e i costumi nazionali. Quando Lombardo visita Reykjavik esiste invece un Museo storico e artistico, dove si trovano solo i «lavori di Tinar e Jonsson», due artisti locali che l’autrice si limita a citare. Quest’ultima è l’unica viaggiatrice attenta alle condizioni atmosferiche, a suo dire particolarmente inclementi: «Fra la nebbia e l’acqua, se non fosse stata la capitale dell’Islanda, dove nessuno di noi verrà probabilmente mai più, non ci saremmo inzuppati per vederla». È solo lo sguardo del suo accompagnatore locale che le permette di vedere l’Islanda da una prospettiva diversa: «E vedendo nei suoi occhi la fede e la gioia per la possibile trasformazione dell’arido panorama islandese, trovavo persino bella l’Isola fredda e piovosa, belle le sue donne bionde forti e scialbe, bello il loro costume goffo, bello viaggiare sui poney per mancanza di ferrovie, bello persino l’odore insopportabile del baccalà».

Tutte le viaggiatrici compiono brevi escursioni fuori città, oltre la periferia: il gruppo di inglesi del romanzo di Savi Lopez attraversa «un piccolo sobborgo, che forma la parte più antica, ed ove si alzano certe case poverissime fatte di pietre e zolle, con piccole finestre e col tetto coperto d’erba. Queste case parvero ai nostri viaggiatori misere capanne fatte con terra, ed essi non le guardarono a lungo», conclude la voce della narratrice. Impressioni simili riporta Kapp, quando si reca alle «sorgenti calde» e descrive una zona «abbastanza estesa, ma ha assolutamente l’aspetto d’un villaggio, o piuttosto rassomiglia alle nascenti città americane. Le strade sono tutte in terra, con i marciapiedi di pietra, ma non dappertutto. Le case più antiche sono come capanne, poco più alte di un uomo, con una sola porta a terreno e una finestrina a tetto. Il tetto è ricoperto di terra, e vi cresce sopra l’erba, con fiori di campo, il che fa uno strano effetto». Lamentando ancora l’inclemenza del tempo anche Lombardo affronterà un’escursione, quasi controvoglia, fino alla pianura di Þingvellir, dove si riuniva l’antico Parlamento: «poiché gli Islandesi tengono molto alla loro storia e a farci conoscere di aver posseduto il primo Parlamento del mondo ben 930 anni a.C. andiamo a vederlo come una rarità» [è evidente il refuso: il Parlamento islandese esiste dal 930 d.C].
L’unica strada carrozzabile d’Islanda è descritta dal capitano del Victoria: «Questa via della Marina, ove ora ci troviamo, è la migliore della città» afferma; secondo Kapp è «ben fatta e buona, almeno in questa stagione» e la stupisce vedere che le donne non cavalcano all’amazzone; Lombardo si limita a far sapere che la percorre in automobile.
L’abbigliamento delle Islandesi è oggetto di curiosità: «Parecchie donne del popolo erano entrate nella bottega: le vecchie portavano uno scialle sul capo, le giovani avevano i biondi capelli sparsi sulle spalle, e coperti in parte da berretti neri con un lungo fiocco, simili a quelli portati dalle donne di Heimaey, che i nostri viaggiatori avevano viste il giorno precedente. Esse avevano certe sottane scure un po’ corte; e su di esse una veste molto più corta, di colore chiaro stretta alla vita: alcune avevano uno scialle sulle spalle, ed anche le bambine portavano il berretto nero. Eranvi pure alcuni uomini nella bottega, ma i loro abiti non avevano nulla di speciale». Questa la descrizione di Savi Lopez; è il capitano a sottolineare con un certo disappunto il cambiamento già in atto: «le giovani signore vestono all’ultima moda di Parigi; ma è pur vero che, a dispetto dei loro fronzoli, fanno brutta figura vicino a quelle attempate, che non hanno voluto smettere il costume nazionale islandese». Kapp nota che le donne cavalcano «con i loro vestiti e cappelli da città. Se ne vedono già molte vestite alla moda di adesso, anche qui il pittoresco costume nazionale va disparendo colla civilizzazione»; tuttavia, durante un concerto a ballo in onore dei turisti, «tutte le signore e signorine del coro erano in costume»; l’autrice giudica l’argomento molto interessante per chi legge e vi dedica due intere pagine del libro: la descrizione, particolarmente dettagliata, si sofferma su particolari decorativi, come il corpetto e la cintura in argento, i fiocchi e le spille; alcune ragazze per l’occasione indossano l’abito da sposa, in stoffa più raffinata, con la gonna lunga ai piedi; quattro trecce sono appuntate in cima alla testa, nascoste da una «berrettina», oppure i capelli sono sciolti, coperti da un velo, con un berretto frigio fermato da un diadema d’oro «a guisa di quelli delle antiche vestali». La cultura tradizionale islandese, conclude, è ben rappresentata dall’abbigliamento femminile. Lombardo invece, ostentando un atteggiamento anticonformista, si limita a definire «scialbe» le Islandesi e «goffi» i loro costumi.
L’unica turista che partecipa a eventi culturali è Kapp: infatti il viaggio immaginato da Savi Lopez approda in Islanda in un periodo in cui non sono ancora previste visite turistiche, mentre la permanenza di Lombardo è troppo breve e il suo interesse per la cultura del luogo assai limitato. Oltre al concerto, prima della partenza l’autrice assiste alle corse dei «ponies», a cui partecipano anche diverse donne e moltissimi spettatori entusiasti; per il gruppo, trattenuto in città da un’improvvisa tempesta di vento, viene infine organizzato uno spettacolo di «lotte atletiche […] per cui quello che sarebbe stato per noi un noioso tempo d’attesa, si cambiò in divertimento. Diversi robusti giovanotti lottavano tra loro con molta forza, ma anche con molta grazia e destrezza, e fu interessante e divertente starli a vedere». Quando il vento si calma, la crociera riparte per nuove avventure.
Nel complesso, dunque, la Reykjavik delle viaggiatrici italiane presenta pochi cambiamenti nell’arco di poco più di trent’anni; le narrazioni di Savi Lopez e Kapp consentono a chi legge di immedesimarsi nell’ambiente cittadino, di visualizzare negozi e osservare le persone, di venire a contatto con la vita quotidiana e visitare i luoghi storici della città. Inoltre, viene evidenziato il «carattere islandese», che ama il silenzio e la riservatezza. Sarà Lombardo a sottolineare l’attaccamento all’isola dei suoi abitanti, attraverso le parole del giovane “cicerone” che l’accompagna.
Nei resoconti di Savi Lopez e Kapp si nota la fascinazione per la luce notturna in cui appare Reykjavik all’ arrivo; Lombardo invece lamenta costantemente il clima piovoso e ventoso dell’isola. Solo le prime due autrici, infine, sottolineano la bellezza dei costumi e delle acconciature islandesi, l’amore per la cultura, la musica, le tradizioni.
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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.