Dal 3 novembre al 20 novembre è possibile visitare su appuntamento la mostra Il mistero negato al Lavatoio contumaciale, piazza Pierin del Vaga, 4, Roma (per info 3487110732 – 3397330022). Il Centro d’Informazione Culturale, sede della mostra, fondato, nel 1974, dall’artista Tomaso Binga, nome d’arte di Bianca Pucciarelli, con la collaborazione del marito, il critico d’arte Filiberto Menna, deve il nome al locale in cui è ospitato, in un bel palazzo di edilizia economica del 1926, un ex “lavatoio contumaciale” o “a distanza”, cioè un luogo dove venivano lavati e bolliti i panni delle malattie infettive. La mostra, curata da Katia Ricci e Andrea Tinterri, espone lavori dell’artista Clelia Mori, che abbiamo già conosciuto per una bella intervista realizzata da Danila Baldo e apparsa su Vv n. 168 (28 maggio 2022).

Clelia nasce a Boretto, un piccolo comune della pianura padana in provincia di Reggio Emilia, nel 1950. Per amore del segno, del colore e dell’immagine frequenta l’Istituto d’ Arte a Parma, dove si diploma e comincia a insegnare, ma soprattutto comincia a dipingere, che è la sua passione. Dopo aver insegnato per diversi anni, lavora come bibliotecaria e operatrice culturale a Poviglio, poco distante da Reggio Emilia, dove vive e ha il suo studio tra cucina e cavalletto.
Il corpo femminile è stato da sempre il soggetto che più l’ha interessata, non nella sua forma esteriore, piuttosto nella sua essenza interiore. Da questa indagine è scaturita in passato una serie di quaranta lavori su Le violon d’Ingres di Man Ray, nei quali Clelia riflette e ci fa riflettere sull’idea che il corpo femminile si possa suonare come un violino e poi tenerlo da parte per la prossima occasione.
Lei stessa racconta: «A Parigi, nel 2006, vedo Ingres in una sua mostra al Louvre. Mi torna in mente la foto di Man Ray di Kiki di Montparnasse con le due aperture da violino appiccicate alla schiena: mi piace da sempre la sensualità di quell’immagine… Il violino di Ingres, titolo non solo ironico, mi irrita e ripenso la sensualità. Quel violino molto invitante e musicale, una volta suonato, si può mettere in un angolo fino al prossimo uso: come un oggetto. Comincio a dipingerla togliendogli un’apertura, per vedere come suona così e continuo per quaranta tele, tutte uguali e tutte diverse. Indago la sensualità maschile e femminile su un corpo unico. Su alcune schiene scrivo la sensualissima estasi di Teresa D’Avila. Cerco di capire quale delle due donne ha avuto di più dall’amore».
Nel 2015 Clelia viene a conoscenza della ribellione delle operaie della Fca di Melfi contro il colore bianco delle nuove tute imposte dall’azienda, motivo del loro imbarazzo perché si macchiavano facilmente del loro sangue mestruale, non distinguendo il corpo dell’uomo da quello della donna; coglie l’occasione allora per formalizzare un racconto che potesse esorcizzare il trauma, il tabù, il Mistero appunto negato, che dà il titolo alla mostra.


Partendo dalle tute usate, macchiate, che uscite dalla fabbrica pulite, regalate da un’operaia, diventano opere d’arte, Clelia le dipinge e le ricama nella parte che doveva essere macchiata. Non poteva insistere sul sangue reale se le stesse operaie avevano rifiutato le tute bianche proprio per proteggere la loro libertà; una volta scartato il sangue vero, non ha usato pennellate forti e sgocciolanti, ritenute troppo maschili e false, ha cercato invece di riprodurre la macchia di sangue mestruale ricamandola con fili rossi, bianchi e oro, a punto croce, utilizzando la leggerezza del ricamo invece di energiche pennellate; dalle tute passa poi alle lenzuola mischiando al rosso l’oro per elevare, simbolicamente, quel sangue a una valenza soprannaturale.
Il mistero negato, partito da Mestre, ha attraversato Brescia sponsorizzata dalla Cgil, Reggio Emilia con il sostegno della Fondazione Tricolore, Foggia, è approdato a Matera alla Biblioteca Provinciale, dove doveva assolutamente andare, visto che riguardava le donne della Basilicata, e arriva ora nella capitale.

Carte e lenzuola sul mistero del corpo femminile sono il frutto del percorso artistico in cui Clelia Mori è impegnata da alcuni anni alla ricerca della propria identità come donna e come artista: contaminando pittura e scrittura, tessitura, parole e immagini, con ago, filo e pennello racconta in assoluta libertà la sua visione del mondo, contestando l’imposizione maschile ed esaltando la creatività femminile. Il sangue mestruale, oggetto della sua attenzione negli ultimi anni, per lei è “sangue di vita”, non è il sangue che sgorga dalle ferite, meno che mai da quelle inferte alle donne vittime di femminicidio, ma è sangue che dona la vita.

Come si evince dal suo ultimo lavoro, un lenzuolo dipinto e ricamato, dal titolo Mamma, Madre, Matria, dove Matria è alternativa alla patria, e sposta la figura della madre dall’ambito familiare del rapporto madre/figlia/figlio a quello di creatrice di civiltà.


«Nel lenzuolo candido spicca, ricamata in oro, la forma della vulva da cui esce una scia di fili rossi, le macchie del sangue di vita. Tutto intorno, in una spirale che la circonda, parole: mistero, corpo, relazione, creazione, cielo stellato, dentro e fuori di noi, in un continuo rimando tra parole, corpo, arte» (Katia Ricci).
La rivoluzione della tenerezza è ispirata dall’omelia Nato da donna che Papa Francesco recitò il primo gennaio del 2020 nella ricorrenza della 53ma Giornata Mondiale della Pace. Clelia ricopia integralmente il testo dell’omelia, associandolo alla sua solita immagine iconica.



«Nato da donna, così è venuto Gesù. Non è apparso al mondo adulto, ma come ci ha detto il Vangelo, è stato concepito nel grembo, lì ha fatto sua la nostra umanità… La rinascita dell’umanità è cominciata dalla donna. Le donne sono fonti di vita. Eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna». Solo le artiste donne possono arrivare a certe coraggiose forme espressive; esiste un modo femminile di fare arte, diverso da quello maschile, anche se le donne per affermarlo stentano a trovare spazi, soprattutto se non seguono regole consolidate.
Le artiste esprimono e narrano con la loro poetica e con il loro linguaggio la personale visione della donna che si fa portavoce di un messaggio, un esempio di vita, ponendo l’attenzione sulla cultura misogina e maschilista, e ribadendo con forza e dedizione il loro anelito a un unico e fondamentale diritto: la libertà. E Clelia è una di queste artiste coraggiose.
Bianca Pucciarelli, in arte Tomaso Binga, nella performance in cui si è esibita la sera dell’inaugurazione della mostra romana, le ha dedicato queste parole:
Se la Patria
coi ladroni
per millenni ha governato
or la Clelia ci propone
una Matria
risanata!
Una Matria che sorride
che ci abbraccia e benedice!
Una Matria sempre all’erta
che ci guida alla scoperta
per guardare
… cielo e stelle…
… luna piena… e… sole forte…
… senza orrori e senza morte…
a cui
il mondo apre
le porte!
***
Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.
Brava Livia, ci hai fatto entrare nel cuore e negli occhi dell’artista Clelia Mori, ma anche nel tuo amore per il genere femminile.
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