È proprio il caso di esclamare: finalmente! La fondazione POMAliberatutti, situata in un nuovo spazio espositivo nella bella piazza San Francesco, ospita dallo scorso 15 settembre fino al 4 dicembre una pregevole mostra a cura di Marta Convalle (visitabile gratuitamente) dal titolo Bice guarda Manzù che raccoglie 35 opere della scultrice pesciatina Bice Bisordi in quella che era l’abitazione della sua famiglia, al piano nobile, e laboratorio al pianterreno. Della grande artista ci siamo occupate in varie occasioni, in particolare nella guida di Toponomastica femminile dedicata alla Valdinievole (2018), di cui il comune di Pescia fa parte, e su questa rivista (n. 52), ma è il caso di rinfrescare un po’ la memoria per mettere in luce l’eccezionalità dell’evento. Dal momento che la parte principale dell’attività artistica era stata indirizzata verso i ritratti, soprattutto dal vero, è evidente che molti lavori di Bisordi sono custoditi gelosamente in abitazioni private, mentre l’importante lascito di ben 27 opere alla sua amata città purtroppo era stato nel tempo disperso fra vari ambienti (come l’ingresso del Municipio e un corridoio laterale della gipsoteca Libero Andreotti) e per lo più risultava non valorizzato né fruibile. Nel Duomo si trovano invece i ritratti dei vescovi Simonetti e Romoli e nell’ospedale si ammira un bassorilievo in omaggio a due benefattori, i coniugi Alcide e Matilde Nucci. Sulla tomba dei genitori un tondo in bronzo ne raffigura i volti e in un angolo compare in stampatello la firma.

A proposito di riconoscimenti a livello locale, una piccola cerimonia riguardò la pubblicazione della sua autobiografia: La mia carriera di scultrice. Brevi memorie, presentata nella Sala consiliare nell’ottobre del 1993, mentre nel ventesimo dalla scomparsa avvenuta il 5 maggio 1998 una mostra al Palagio le restituì brevemente la visibilità, tuttavia nessuna via le è stata dedicata né una targa la ricorda.
Bice era nata a Pescia l’11 marzo 1905, la mamma si chiamava Mercede Maraviglia, il padre Raffaello Domenico aveva un laboratorio dove scolpiva il marmo e lavorava la creta; i tre fratelli presto entrarono nell’azienda di famiglia, mentre la sorella Nella si occupava della casa e faceva la sarta; le due maggiori (Norina e Teresa) si erano diplomate maestre. Quest’ultima, sposandosi, andò a vivere a Montecatini dove la giovanissima Bice la seguì e aprì un piccolo studio in cui seguiva le orme paterne, facendo ritratti a matita e utilizzando la creta. La sua abilità non passò inosservata, fu così che riuscì ad essere ammessa nel 1928 alla prestigiosa Accademia d’arte di Firenze, che raggiungeva ogni giorno con il treno. Si diplomò nel 1932 e tre anni dopo poté esporre nella sua cittadina, in una saletta presso il centralissimo Caffè Pult. Il giornalista Vittorio Taddei fu il primo a comprendere il talento della scultrice e ne scrisse sul quotidianotoscano Il Telegrafo. Ma già aveva esposto con successo in una mostra in via Margutta a Roma le due sculture Maternità e Il poema che ricevettero la medaglia d’oro.

Bice iniziò la brillante carriera e trasferì il suo studio-laboratorio all’interno dello stabilimento termale Torretta, sempre a Montecatini, aperto solo nella stagione estiva. Qui giungeva tutto il bel mondo, non solo italiano, che veniva a “passare le acque” e personaggi famosi sostavano ad apprezzare il lavoro dell’artista, ad acquistare e a farsi fare un ritratto. Altri amava farne, “a memoria”, come quelli assai celebrati di J. F. Kennedy e dei papi Giovanni XXIII e Paolo VI. In seguito Bisordi trovò uno spazio più accogliente sotto i portici dell’ora scomparso cinema-teatro Kursaal dove la si poteva ammirare mentre era al lavoro, davanti a un/a modello/a in posa; personalmente ne ho un vivo ricordo ed ero colpita dal contatto visivo con chi passeggiava e dal suo modo di rendere esplicita a chiunque la sua arte, mentre era in piena attività creativa.
Amava indossare un copriabito per proteggersi e in testa portava spesso un largo basco un po’ in sbieco, detto “alla Raffaello”; ai miei occhi di bambina curiosa sembrava quasi una fata dalle mani operose e rimanevo incantata davanti alla vetrina. Nel dicembre 1981 vendette quel laboratorio e si ritirò a vivere nella sua città natale.

I riconoscimenti, i premi, le mostre, i concorsi, gli articoli di elogio della critica si sono susseguiti per tutta la lunga, significativa carriera in cui si è distinta nella lavorazione di creta, terracotta, bronzo, talvolta realizzando lo stesso soggetto con due diversi materiali (Scugnizzo, ad esempio) e lasciando un segno nella scultura del XX secolo, soprattutto nella ritrattistica. Commoventi le sue maternità, le sue dolci bambine, i bambini dall’aria ribelle, espressivi e parlanti i suoi volti, grazie alla sapiente fusione fra analisi psicologica e tratti somatici, al realismo non disgiunto dalla poesia.


Segnalata nel catalogo Bolaffi e iscritta all’Albo Europeo dei professionisti e degli artisti, fu ammessa a importanti accademie internazionali, mentre la notorietà in Francia le arrivò grazie alla medaglia d’oro attribuita a un ritratto di padre Pio (1973) e negli Usa la celebrò addirittura il congresso (1974). Nonostante il successo, era rimasta una donna semplice, come ha raccontato nella biografia che fu convinta a scrivere quasi novantenne; donna di profonda fede, era grata al destino che le aveva dato il dono speciale dell’arte, di cui si sentiva un umile strumento.
Il percorso espositivo in questione si articola in vari ambienti, al primo piano dell’edificio, ma già sulla scala vediamo un Autoritratto di Bisordi realizzato in terracotta nel 1945; una stanza accogliente , arredata con tavolo, libri e vinili, si affaccia davanti alla chiesa di San Francesco: è proprio da lì che muoveva lo sguardo l’artista che in questo locale aveva la camera da letto, dove ora sono esposti i ritratti dei due papi e altre sculture a tematica religiosa.


Una grande sala che guarda verso il fiume attraverso le ampie finestre ospita la maggior parte delle opere, suddivise per temi: alcuni ritratti di personaggi famosi, fra cui quelli a Eduardo de Filippo e a J. F. Kennedy, altri a bambine e a bambini dall’aria ribelle, che richiamano le sculture di Vincenzo Gemito. E poi le bellissime maternità, lei che madre non fu mai, ma seppe cogliere con immensa finezza nell’abbraccio, nelle mani, in un semplice gesto di donna l’amore indissolubile che lega una mamma al figlioletto o alla figlia neonata.

Una rarità nella produzione di Bisordi sono i nudi femminili presenti, realizzati alla maniera classica, secondo i canoni accademici. Al centro, fa bella mostra di sé il ritratto giovanile che le fece il pittore Italiano Franchi (1860-1926), di cui Bice frequentava lo studio, forse prendendo consapevolezza dei propri mezzi e della futura professione. Si sa per certo che nel testamento l’artista suo compaesano le assegnò quel dipinto in eredità.

Il titolo della mostra di cui stiamo parlando, Bice guarda Manzù, merita una spiegazione: qui sono infatti esposte due statue di Giacomo Manzù (1908-1991), insigne scultore bergamasco, ma anche poeta, scenografo e costumista, contemporaneo di Bisordi. Una collezione privata custodiva due dei suoi famosi Cardinali, di cui altri esemplari in bronzo, legno, alabastro sono nei più importanti musei del mondo (Los Angeles,Venezia, Roma, ecc…) e li troviamo insieme, in un suggestivo locale quasi buio, faccia a faccia con una Madonna con bambino di Bisordi, accomunati dalla medesima verticalità e dalla struttura piramidale, ma diversi nello stile: il maestro predilige le linee essenziali e geometriche, mentre Bisordi tratteggia nel dettaglio i volti, le espressioni, i panneggi. A chi visita la mostra viene spiegato il singolare legame fra i due artisti perché è stato ritrovato un libretto dedicato alle sculture di Manzù che Bice aveva ripetutamente letto, sottolineato, studiato, manifestando esplicitamente il suo interesse, forse anche per il richiamo alla fede e alla comune spiritualità. Un’opportunità, quella del confronto, veramente preziosa e rara.

Quando la mostra sarà conclusa, mentre il bello spazio, ristrutturato finemente, rimarrà fruibile per la cittadinanza come bar, ristorante, luogo di incontro, di laboratori, di molteplici attività culturali, speriamo che questa volta le sculture di Bisordi, ritornate ai legittimi proprietari, pubblici e privati, ottengano un riconoscimento più duraturo e trovino una degna collocazione in un ambiente idoneo e definitivo, capace di valorizzarle come meritano.
In copertina: Autoritratto di Bisordi. Foto di Laura Candiani.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.