Esistono le regole. E se esistono le regole, ebbene, queste vanno rispettate. Perché le regole sono fatte per mantenere l’ordine e la disciplina. Per aiutare i buoni cittadini e le buone cittadine a capire. Per decidere chi sta di qua e chi di là. Chi è giusto e chi è sbagliato. Chi è creatura di Dio e chi, invece, è prova solo del suo senso dell’umorismo. Le leggi e le regole ci sono per un motivo molto preciso. E vanno seguite alla lettera, senza pietismi o eccezioni. Perché altrimenti si entra nel caos, si confonde il bene con il male, si cambia il posto alle pedine. Se non le rispetti, le regole e le leggi, saltano gli argini, crollano i confini. Nascono le rivoluzioni.
Alle ore 18:00 di giovedì 1 dicembre 1955 a Montgomery, nello stato dell’Alabama, sull’autobus della compagnia Montgomery City Bus Lines, vettura 2857, diretto a Cleveland Avenue, l’autista James Fred Blake è costretto a fermare la corsa. Una donna nera si rifiuta di cedere il proprio posto a sedere a un bianco. Non vuole alzarsi. Eppure, dovrebbe sapere com’è che funziona: i dieci posti anteriori sono per i bianchi, i dieci posteriori sono per i neri, i sedici centrali sono a uso misto, a meno che non servano ai bianchi. Semplice. Bisogna solo rispettare la legge. Nonostante questo, però, lei rimane seduta. Ferma, composta e seduta.
«Ti faccio arrestare».
«Ne ha facoltà».
Blake chiama la polizia. Due agenti arrivano e prendono in custodia la donna portandola via, prima nel municipio, e poi, quando l’autista finisce il turno e va a notificare la denuncia, nel carcere cittadino. Qui, le generalità dell’accusata vengono messe nero su bianco: Rosa Louise McCauley, di anni quarantadue, sposata Parks. Professione, sarta.

Cosa si è messa in testa questa Rosa Parks? Cosa vuole dimostrare? Non le bastano ago e filo?
No, non le bastano. Perché Rosa Parks, prima di essere sarta è tanto altro ancora. Moglie dell’attivista Raymond Parks, è, dal 1943, la segretaria della sezione di Montgomery della Naacp, la National Association for the Advancement of Colored People, una delle più antiche organizzazioni per i diritti dei neri negli Stati Uniti d’America. I suoi bisnonni hanno conosciuto la schiavitù e la sua abolizione.
Il padre di sua nonna, per festeggiare la libertà ottenuta, decide di costruire un tavolo affinché la sua famiglia avesse, finalmente, un ripiano su cui mangiare. Ma a parte questo, la loro vita, come la vita di tutti gli altri ex schiavi ed ex schiave, non cambia così radicalmente come si pensava e sperava, neanche dopo il 1865 e l’approvazione del XIII emendamento.
Le motivazioni egualitarie e umanitarie, in realtà, non hanno mai fatto parte di un movimento di massa. La maggioranza delle popolazioni degli Stati del Nord ha voluto l’abolizione della schiavitù per non competere con la manodopera nera a costo zero dei signori del Sud; e, anche dopo la fine della Guerra di Secessione, in molti di quegli stessi Stati ai neri è vietato stabilirsi, è vietato votare, sono vietati i matrimoni misti. Dunque, il sogno di una società fondata sulla fratellanza e sorellanza universali si va a scontrare con lo zoccolo duro di un’ostilità generale e profondamente diffusa.
Questo è il mondo che Rosa ha avuto in eredità. Un mondo non molto diverso da quello che lei conosce, dove gli Stati hanno promulgato leggi locali segregazioniste e discriminatorie, le cosiddette leggi Jim Crow, mascherate dal motto separate but equal, separati ma uguali. Un’ uguaglianza strana, per la quale ai neri è quasi proibito avere un cognome, per la quale possono iscriversi alle liste elettorali solo con un bianco che garantisca per loro, per la quale scuole, quartieri, teatri, fontane, tutto è diviso e confinato. Tutto. Persino i posti sugli autobus.
Il contatto, le relazioni tra bianchi e neri, deve essere minimo. E questo perché minimo contatto vuol dire minima contaminazione. E minima contaminazione significa che le persone stanno al proprio posto, non alzano la testa, non guardano oltre il perimetro delle proprie scarpe.
Però, a forza di tenere gli occhi fissi sui piedi, la voglia di scalciare, rompere, correre, cambiare le cose, cresce.
E la ragazzina che ha conosciuto il Ku Klux Klan, che ha dovuto trasferirsi per poter continuare la scuola, che si schiera in prima linea nella vicenda dei Scottsboro Boys, è stanca di stare ferma.
Rosa Parks viene arrestata e diventa il simbolo di una lotta che ribolliva da tempo sotto la pelle e nelle viscere.

La segregazione degli autobus è una delle misure più odiate perché sono i neri a usare principalmente i mezzi pubblici. È da tempo, ormai, che i movimenti per i diritti civili cercano una figura che possa divenire simbolo e scintilla di lotta. Ci hanno provato mesi prima con Claudette Colvin. Ci riescono ora con Rosa Parks.
Dal momento del suo arresto, cinquanta leader della comunità afroamericana, guidati dal pastore protestante Martin Luther King, si riuniscono per decidere le azioni da intraprendere.
Jo Ann Robinson, insegnante, attivista e presidente dell’associazione femminista afroamericana Women’s Political Council stampa 52.500 volantini in ciclostile in cui si invita al boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery.
Il 5 dicembre, giorno in cui è fissata l’udienza del processo, i mezzi della Montgomery City Bus Lines rimangono senza passeggeri. Rosa viene condannata e rilasciata. Ma la protesta non si ferma, aiutata anche dai taxisti afroamericani — che abbassano le tariffe al prezzo di un biglietto di autobus — e dalla creazione di un servizio di trasporto auto per lavoratori e lavoratrici che, riunite in punti di raccolta, sono accompagnate dove serve: per questa attività sono impiegate circa trecento automobili e numerosi autisti volontari, tra cui due donne — A.W.West e la stessa Jo Ann Robinson — e persino Martin Luter King.
Per 382 giorni, la popolazione nera di Montgomery non utilizza un solo autobus pubblico.
Il 21 febbraio 1956 l’azione di boicottaggio viene proclamata illegale, in virtù di una vecchia legge del 1921.
Il 19 giugno 1956, la Corte Distrettuale degli Stati Uniti stabilisce che la segregazione forzata di passeggeri neri e bianchi sugli autobus viola la Costituzione degli Stati Uniti d’America.
Il 13 novembre dello stesso anno, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiara fuorilegge la segregazione razziale sui mezzi di trasporto pubblici. È una vittoria enorme, senza eguali.
A Montgomery, tra il 1955 e il 1956, gli uomini e le donne nere hanno scalciato così forte da rompere le barriere che li dividevano dalla civiltà e dalla giustizia.
Dopo questa vicenda, Rosa Park è però costretta a trasferirsi a Detroit per le troppe minacce e ritorsioni, e perché viene licenziata. Non smetterà mai però il suo attivismo, arrivando a fondare, nel 1987, alla morte del marito, il Rosa and Raymond Parks Institute for Self Development.
Questa donna, che è stata assunta adesso come simbolo, è prima di tutto una militante, una partigiana, una donna impegnata e stanca di subire, sempre in prima linea nella lotta.
«Liberatemi i posti davanti».
«No».
Ed è rivoluzione.
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Articolo di Sara Balzerano

Laureata in Scienze Umanistiche e laureata in Filologia Moderna, ha collaborato con articoli, racconti e recensioni a diverse pagine web. Ama i romanzi d’amore e i grandi cantautori italiani, la poesia, i gatti e la pizza. Il suo obiettivo principale è quello di continuare a chiedere Shomèr ma mi llailah (“sentinella, quanto [resta] della notte”)? Perché domandare e avere dubbi significa non fermarsi mai. Studia per sfida, legge per sopravvivenza, scrive per essere felice.