Itinerario siciliano. Noto e Siracusa, città delle donne. Parte prima

Arrivare a Noto (Siracusa) nel periodo dal 23 aprile al 23 ottobre di quest’anno voleva dire imbattersi, magari casualmente, in una mostra tutta al femminile, che aveva sede nel Convitto delle arti-Noto Museum, dal titolo eloquente Miti, Eroine e Ribelli tra Caravaggio, Artemisia Gentileschi e Tamara de LempickaAnche se ora è conclusa, non è possibile non raccontarla, a favore di chi non l’ha potuta visitare, vista la sua eccezionalità. Noi toponomaste che in ogni modo e situazione cerchiamo di far conoscere donne memorabili, per quanto hanno realizzato e creato nella loro esistenza, o ancora realizzano a nostro beneficio, qui eravamo immerse in una specie di sogno, ma un sogno che ha preso vita e concretezza, da gustare sala dopo sala, passo dopo passo, dipinto dopo dipinto.

Caravaggio, Maddalena addolorata, Noto

Si iniziava con opere raffiguranti creature mitiche e dee come Giaele, Susanna, Betsabea, Proserpina, Cerere e si ammiravano capolavori seicenteschi come il bellissimo Giuditta e Oloferne di Orazio Gentileschi (1563-1639).
Si rimaneva senza parole davanti alla commovente Maddalena addolorata (1605-6) ormai definitivamente attribuita a Caravaggio: una giovane che non mostra il volto, raccolta e china su sé stessa, in abiti modesti, con i capelli intrecciati sulla nuca; il medesimo soggetto, messo a confronto, si ritrovava in un dipinto di Artemisia (1593-1652/6); qui però Maddalena ha la chioma sciolta e lo sguardo rivolto al cielo, in una posa naturale, il seno parzialmente velato da un panno chiaro, mentre della stoffa azzurra le copre le gambe, da cui emerge il dettaglio sensuale del bel piede nudo. Seguiva una serie davvero rara, quasi impensabile di opere di pittrici di varie epoche, così ampia da destare meraviglia; si poteva finalmente apprezzare la produzione di tanti di quei nomi che mancano nei musei e nei libri di storia dell’arte, da far dubitare persino che queste artiste siano esistite; invece hanno lavorato con generosità, dedizione, finezza, magari a dispetto della famiglia, dell’educazione, delle convenzioni del loro tempo. E si sono occupate dei soggetti più vari: persone, animali, paesaggi, interni, figure mitiche o sacre, vita domestica, fiori e frutti, dando il meglio di sé, del proprio gusto, della propria spiccata personalità.

Devo per forza citarle quasi tutte, anche perchè è bene incoraggiare la curiosità di conoscere, capire e approfondire; cominciamo con “la Clementina” (Maria Giovanna Battista Clementi), ritrattista ufficiale alla corte dei Savoia, per proseguire con Angelika Kaufmann, raffinata artista svizzera, e la bolognese Elisabetta Sirani, morta a soli 27 anni, nel 1665, la prima donna a fondare un’accademia del disegno riservata alle ragazze. E ancora la riscoperta suor Plautilla Nelli (1524-88), dedita per lo più a immagini sacre, la ravennate Barbara Longhi, Agnese Dolci, vissuta nella seconda metà del Seicento, Fede Galizia, “mirabile pittoressa”, autrice di straordinarie nature morte, più vere del vero, Sofonisba Anguissola, che ottenne fama internazionale nel tardo Rinascimento, suor Orsola Maddalena Caccia, dimenticata per secoli.
Un caso eccezionale è Lavinia Fontana, la prima donna ad aver dipinto una pala d’altare e un nudo femminile (la dea Minerva), attiva e tenace nel praticare la sua arte nonostante la nascita di 11 fra figlie e figli; e poi la veneta Elisabetta Marchioni che amava le fantasie floreali, ma la cui vita è poco conosciuta, la veneziana Emma Ciardi (con una bella veduta dal titolo Ponte di barche), la statunitense Mary Cassat, impagabile nel ritrarre bambine e giovani donne, Beryl Tumiati, nata nel 1890, di cui non si hanno altre notizie. Su Rosa Bonheur merita spendere qualche parola in più: celeberrima al suo tempo in Europa e negli Usa, specie per i mirabili ritratti di animali (qui è esposto Il maschio, ovvero un baldanzoso galletto), dopo un certo oblio, ora la Francia le dedica una grandiosa mostra al Musée d’Orsay, che resterà aperta fino al 23 gennaio. 

Rosa Bonheur ritratta da Georges Achille-Fould (1893)

Si celebra infatti il bicentenario della nascita, avvenuta a Bordeaux il 16 marzo 1822, ma si ricorda pure una donna così emancipata da essere divenuta una icona “ecolesbofemminista”, come scrive acutamente Natalia Aspesi sul Venerdì (21 ottobre 2022).
Artista precoce, libera, geniale, grande viaggiatrice, sicura di sé, ricca, avrà per quarant’anni una compagna, la pittrice Nathalie Micas, anche lei un personaggio fuori dal comune: inventò pure un freno per i treni. Proseguendo il percorso, si arriva vicino a noi con Tamara de Lempicka (1898-1980), la divina dell’Art Déco, Ernesta Oltremonti (1899-1982), rivalutata di recente, fino alle contemporanee: Giovanna Fra (1967), astrattista, Federica Marangoni (1940), designer, scultrice, decana delle video istallazioni e dei neon, la ben nota Yoko Ono (1933), di cui è esposto un mosaico di fotografie con dettagli del corpo nudo di una donna.

La carrellata alla scoperta di così tanti talenti introduce l’ultima parte della mostra, riservata a uomini che però hanno fatto delle donne i loro soggetti preferiti e che si apre con la scultura preparatoria di Gian Luigi Bernini del busto di Costanza Bonarelli, la sua amante, la cui versione finale in marmo si trova al Museo del Bargello di Firenze. E ancora ammiriamo una foto di Alda Merini con l’immancabile sigaretta, un ritratto di Andy Warhol a Jackie Kennedy, un grazioso pastello di Giovanni Boldini (1842-1931) intitolato Lilette, un’opera del Guercino, per concludere in bellezza con la deliziosa Inglesina di Vittorio Matteo Corcos (1859-1933), che non per nulla fu detto “pittore di belle donne”. E non è finita: ci attendono infatti un omaggio a Frida Kahlo (1907-54) e una intera sala dedicata all’artista giapponese Yayoi Kusama (1929), tutta gialla a pois, dove immergersi come in un magico universo alternativo.

Piazza Emanuela Loi, Noto. Foto di Laura Candiani

Ma a Noto non mancano altre sorprese : intanto, appena si entra nella parte monumentale della città attraverso Porta Reale, ci si trova in una piazza che rappresenta un doveroso omaggio; è infatti intitolata a una vittima di mafia, la poliziotta Emanuela Loi (1967-92), morta nella strage di via D’Amelio a Palermo.

Dopo una piacevole passeggiata lungo il corso principale, fiancheggiato dagli splendidi esempi del barocco siciliano, si arriva al teatro comunale dedicato a Tina Di Lorenzo dal 2011.

Teatro comunale Tina Di Lorenzo, Noto. Foto di Laura Candiani

Vediamo chi era questa celebrata attrice teatrale: Tina (Concettina) era nata a Torino proprio 150 anni fa, il 4 dicembre 1872, e morì a Milano il 25 marzo 1930; di nobile famiglia da parte di madre e di padre, discendeva dai marchesi Castelluccio di Noto e fu una grande interprete, bella, brava, acclamata. Nell’America del Sud la definirono “encantadora”, in Italia fu chiamata dagli ammiratori “angelicata” per la finezza, il portamento, la voce suadente. Nel 1899 fu la prima testimonial della Fiat. Nel corso della brillante carriera, partecipò a un solo film (La scintilla) con il marito, l’attore Armando Falconi. All’apice del successo, fra il 1918 e il ’20, si ritirò per tornare solo una volta sulle scene, nel 1926. Già nell’anno della morte prematura il suo nome fu dato a una via di Livorno.

Palazzo Trigona, balcone. Foto di Laura Candiani

Perdendosi fra strade, piazzette e vicoli per il bellissimo e perfettamente conservato centro storico (patrimonio dell’Umanità-Unesco dal 2002) ci si imbatte in varie presenze femminili, talvolta assai particolari, come le sirene in pietra che reggono balconi di dimore signorili, fra cui quelli dell’elegante Palazzo Trigona, o più tradizionali e comuni, come le intitolazioni di monasteri e chiese a sante e madonne, fra cui Santa Chiara e Sant’Agata.

Significativo il caso della Chiesa di San Francesco all’Immacolata che conserva il monumento funebre alla nobildonna Maristella Crescimanno Trigona e una pregevole scultura lignea dell’Immacolata (1564). A proposito di odonomastica, si segnalano i nomi piuttosto consueti di Deledda e Montessori, mentre merita un approfondimento la figura della scrittrice locale Mariannina Coffa. Nata a Noto da una famiglia altolocata nel 1841, vi muore a soli 37 anni nel 1878 per i fibromi all’utero mal curati; talento precocissimo, ma osteggiata per le sue posizioni ribelli, la famiglia non le pagò neppure il funerale perché era stata una ragazza e una poeta scomoda, troppo avanti per l’epoca e il luogo. In città, cosa assai rara per una donna, le è stato eretto un monumento in piazza XVI Maggio. 

Via alternativa con Toponomastica femminile. Foto di Laura Candiani

Su alcuni muri abbiamo pure rintracciato la presenza tangibile di Toponomastica femminile! Si tratta di intitolazioni “alternative”, in forma cartacea, nate come iniziativa un po’ provocatoria a favore di una graduale riduzione dell’enorme divario fra uomini e donne.

Il progetto condiviso, realizzato dalle/gli studenti dell’Istituto Matteo Raeli, era incentrato su una significativa serie di donne “che hanno detto No” e si concretizzò il 29 febbraio 2020 con grande coinvolgimento della cittadinanza. Grazie alla collaborazione fra il comune, la nostra associazione e le socie attive sul territorio, nel 2018 una rotatoria periferica è stata dedicata a Gaetana Midolo; nata nel 1895 a Noto ed emigrata negli Usa, fu una delle 129 operaie morte nell’incendio della fabbrica newyorkese Triangle Waist Company il 28 marzo 1911, di cui mirabilmente ha scritto la nostra Ester Rizzo in Camicette bianche (2014). 

Nel tragitto verso Siracusa, si passa vicino ad Avola, cittadina famosa sia per l’originale pianta esagonale, sia per due prodotti d’eccellenza: il vino detto Nero d’Avola e la pregiata mandorla pizzuta. Questo delizioso seme ci porta alla memoria un mestiere tipico in Sicilia e tradizionalmente svolto dalle donne, quello della mennulara, ovvero la raccoglitrice di mandorle, come la protagonista del primo romanzo di grande successo di Simonetta Agnello Hornby, uscito nel 2002, che, a distanza di venti anni, merita senz’altro una rilettura. Curiosità e sorprese ci attendono anche nel capoluogo, città femminile per antonomasia, legata com’è a due figure di donna: la ninfa Aretusa, trasformata in fonte per sfuggire alle attenzioni del dio Alfeo, e la patrona santa Lucia, qui martirizzata il 13 dicembre 304, durante le persecuzioni di Diocleziano.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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