Un anno senza bell hooks

«In un mondo in cui le parole delle scrittrici nere, e persino i nostri stessi nomi, vengono spesso dimenticati in fretta, è essenziale e più che mai necessario vivere occupandoci delle idee delle nostre immense scrittrici, e insegnandole: le loro voci non devono più essere messe a tacere, neanche dalla morte».
(bell hooks, Insegnare comunità. Una pedagogia della speranza, Meltemi, 2022)

Ci sono voci che attraversano gli oceani, le lingue, le generazioni; che si collocano tra noi e le nostre esperienze, forti, chiarendoci percorsi che ci sembrano a ostacoli e che sì, continuano pure a esserlo, ma è come se quei suoni ci accompagnassero sussurrandoci: sono con te e, come me e te, molti-e altri-e sono su questa strada.
Una di queste voci è stata ed è quella di bell hooks, nata Gloria Jean Watkins, studiosa, pensatrice, insegnante e femminista afroamericana nata nel 1952 nel Kentucky, segregazionista e venuta a mancare il 15 dicembre 2021. Un anno. Troppo, poco, abbastanza per renderci conto ancora di quanto sia stato importante il suo operato.

bell hooks, Insegnare comunità, Meltemi, 2022

Non è la prima occasione in cui scrivo e soprattutto parlo di lei e, ogni volta, mi ritrovo davanti a un bivio, a svariate domande sulle quali a risuonare più forte c’è quella insistente sulla scelta dei temi da trattare fra quelli che hanno contraddistinto la sua copiosa ed eclettica attività intellettuale e scrittoria. Non riesco quasi mai ad attuare una selezione soddisfacente ma l’approccio sì, quello mi è sempre chiaro, e a insegnarmelo è stata proprio lei.
Di solito inizio da me, da quello che bell hooks rappresenta per la mia persona come donna, come insegnante, come ricercatrice. Ebbene, l’autrice afroamericana con i suoi testi su educazione e pedagogia è stata una guida per la pratica in classe e per il mio essere un’abitante della nostra complessa società multiculturale e globalizzata.

Il fulcro del pensiero di bell hooks è rappresentato dall’intersezione tra razza, genere e capitalismo per spiegare al meglio il ruolo di domini quali quello patriarcale, razziale e di classe con un occhio di riguardo alla società americana, al privilegio bianco al suo interno e allo status della comunità nera. Le sue riflessioni e pratiche pedagogiche, declinazione delle teorie di Paulo Freire, prendono le mosse dalle intersezioni suddette e portano (tra le altre cose) a ideare un’educazione volta a trasgredire, a creare speranza e comunità – tanto per parafrasare alcuni dei titoli tradotti in italiano che ne parlano.
Tutto questo bell hooks lo fa scrivendo in prima persona, parlando delle sue esperienze di bambina e donna afroamericana, di docente universitaria, di sorella, compagna, figlia. Il suo sapere è sempre posizionato, il suo punto di vista è costantemente chiaro, bell hooks parte sempre da Gloria per arrivare di nuovo a bell hooks ricordando di nuovo Gloria.

E questo credo sia uno dei più grandi lasciti che, in modo particolare chi insegna e fa ricerca dovrebbe tenere a mente e averne cura. Scuola e università, secondo bell hooks, dovrebbero essere strutturate in modo da non dispensare un’educazione depositaria volta all’apprendimento di informazioni da archiviare e utilizzare in un secondo momento, dopo aver conseguito diplomi e lauree. La pedagogia classica siffatta, infatti, non fa che rafforzare il dominio attraverso forme gerarchiche, cercando di uniformare studenti marginalizzate/i a una presunta maggioranza standard e reiterando dunque in classe forme di discriminazione, ma anche di potere e autorità, che si trovano nella società esterna alla scuola. L’educazione come pratica della libertà dovrebbe invece soffermarsi sulla conoscenza di ognuna/o dei presenti in aula, non aver paura di decostruire schemi vecchi e consueti, di collegare lo studio alle esperienze personali e di mettere da parte una neutralità (di docenti, studenti e saperi) artificiosa e poco volta all’esercizio del pensiero critico.

bell hooks, Insegnare a trasgredire, Meltemi, 2020

Bell hooks crede, inoltre, fermamente che l’insegnamento debba essere eccitante, divertente.
Ma questo non sarà possibile fino a quando il timore persisterà e il mutamento verrà avversato dalle/dagli stessi insegnanti che continuano a considerare la proprio voce come l’unica presente in aula e a non accettare di buon grado una didattica con “riferimenti multipli” in grado di decentrare i saperi della civiltà occidentale.
Il cambiamento dei paradigmi è necessario, non pericoloso e bell hooks propone a questo proposito di formare i/le docenti non solo a elaborare e praticare nuove modalità, ma anche a condividere i propri timori sul cambiamento.
Manca una preparazione nel trattare la diversità in aula «ed è il motivo per cui così tanti fra noi si aggrappano ostinatamente ai vecchi schemi» (Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertà, Meltemi, 2020).

bell hooks, Il femminismo è per tutti, Tamu, 2021

A dover entrare in classe, ma a essere comunque alla portata e al bisogno di tutti (Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata, Tamu, 2021), per bell hooks è anche il femminismo e la sua necessità di essere divulgato, tenendo conto delle difficoltà nel farlo e degli stereotipi di cui il movimento è vittima. Per bell hooks una soluzione, se non a tutto ma a molte delle storture che vengono notate nei decenni di condivisione del suo pensare, sta nella costruzione di comunità di apprendimento, di comunità attraverso la valorizzazione di tutti i membri che ne fanno parte. Questo passa anche per l’esigenza di parlare in classe di razza e razzismo, superando la visione del “siamo tutti uguali” e del “non ha più senso parlarne”. Non affrontare la questione equivale a rafforzare supremazie e domini, perché si invisibilizza un fatto reale.

In egual misura bell hooks avverte della necessità di parlare di privilegio di classe, cosa che non si fa mai o quasi, nella fallace convinzione che a scuola siamo tutte e tutti uguali. Ma sfido chiunque a darci le prove, di questa diffusa credenza.
Ci sono voci che attraversano gli oceani, le lingue, le generazioni; che quando le senti ti sembra che siano giunte a colmare un vuoto: alcune volte perché certe espressioni ti sembrava di averle sulla punta della lingua, altre volte perché erano proprio quelle di cui avevi bisogno per un aiuto pratico, in altre occasioni ancora perché sembravano cucite proprio per te, per tracciare il tuo percorso quotidiano di vita.
Per me, donna insegnante e altro, bell hooks è e sarà quella voce.

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Articolo di Sara Rossetti

SARA ROSSETTI FOTO.jpg

Sara Rossetti ha conseguito un dottorato in Storia politica e sociale occupandosi di migrazioni femminili nel Novecento e un master in didattica dell’italiano a stranieri. È coautrice di “Kotha. Donne bangladesi nella Roma che cambia” (Ediesse, Roma, 2018). Si occupa di intercultura, migrazioni passate e presenti, didattica dell’italiano a stranieri, questioni di genere e opera come formatrice su questi temi. Lavora inoltre come insegnante.

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