Carissime lettrici e carissimi lettori,
leggere, scrivere, e far di conto. Questo è l’adagio alla base dell’alfabetizzazione e l’avvio, l’approccio di ciascuno/a di noi al mondo delle Lettere e della Scienza. Leggiamo, scriviamo, impariamo. Da quest’atto iniziale, che normalmente comincia nella scuola cosiddetta Primaria, si evolve l’istituzione scolastica, che si diversifica di luogo in luogo nel mondo (anche come durata). Poi è nelle nostre mani, nel nostro volere, perché il lavoro sulla conoscenza dura per sempre.
In un’Italia appena risollevata dai disastri della guerra, un maestro, che diventerà il Maestroper eccellenza degli italiani e delle italiane, spezzava, o almeno incrinava la piaga profonda dell’analfabetismo. Il Maestro Alberto Manzi, classe 1924, romano, moriva venticinque anni fa (il 4 dicembre 1997), a Pitignano, nella bassa Toscana, dove era andato a vivere e dove era stato sindaco, eletto due anni prima della sua scomparsa. Manzi era diventato famoso proprio come maestro di scuola (aveva insegnato tutta la vita alla scuola elementare Fratelli Bandiera, nella zona di piazza Bologna, dove la famiglia di Manzi era stata mandata dopo lo sventramento di Borgo, all’inizio del regime). La trasmissione televisiva Non è mai troppo tardi è stata un punto di riferimento per tanti e tante italiane durante tutti gli anni sessanta del secolo scorso. Andava in onda tutte le sere, prima di cena, perché potesse vederla chi tornava dal lavoro o chi, comunque, riuscisse a trovare spazio tra le faccende quotidiane. Era iniziata il 15 novembre del 1960 ed era proseguita per otto anni consecutivi, fino al 1968. Il successo fu enorme, tanto che si stima che grazie alle lezioni televisive di Manzi forse più di un milione e mezzo tra italiane e italiani abbiano conseguito la licenza elementare. Il modello fu di tale notorietà da essere esportato all’estero, in ben 72 Paesi. Un successo che però, bisogna dirlo, Manzi ebbe anche come scrittore, tanto da avere tradotti i suoi romanzi per ragazzi anche in più di 40 lingue. In Italia tra i suoi libri più noti c’è Orzowei, pubblicato nel 1955, la storia di un ragazzino sudafricano che vive esperienze di razzismo. Orzowei, anche qui grazie alle numerosissime traduzioni, ha dato vita, negli anni settanta, a una fortunata miniserie televisiva che ha avuto lo stesso ottimale destino di essere trasmessa un po’ in tutto il mondo.
Ma la questione dell’alfabetizzazione non è certo semplice e sicuramente non appartiene solo al passato. Oggi si parla di incompetenza culturale (chi non va oltre il saper leggere e scrivere), di analfabetismo di ritorno che è il lento e inesorabile scadimento delle capacità del leggere e dello scrivere, la perdita di quelle conoscenze imparate sui banchi di scuola e poi non più usate. Secondo il Censis (Centro studi investimenti sociali) oggi in Italia questo tipo di analfabetismo riguarda ben il 37% della popolazione. In seconda battuta, ma non è di poca importanza sociale, c’è l’analfabetismo informatico e tecnologico di tutte quelle persone che non sono in grado di usare i mezzi tecnologici e rischiano di rimanere escluse da molte situazioni.
Facendo un passo indietro, per fare un po’ di storia, vediamo che nel 1881 l’analfabetismo totale riguardava l’80% degli e delle italiane. Ma oggi il 60% è analfabeta funzionale vale a dire che più della metà di noi «fatica a leggere e non sa costruire una frase corretta, non comprende il senso di un articolo e non riesce ad andare oltre la prima pagina di un romanzo». Uno sguardo al mondo e subito ci si accorge che sotto l’aspetto del leggere, scrivere e far di conto sono le ragazze (le donne in genere) ad essere le più penalizzate: 130 milioni di bambini non vanno a scuola e di questi il 77,5 % sono femmine. Un terzo dei ragazzi e ragazze iniziano gli studi, ma non li concludono. Le persone che subiscono analfabetismo oggi nel mondo sono soprattutto in Bangladesh, Brasile, Cina, Egitto, India, Indonesia, Messico, Nigeria e Pakistan. Gli Stati che investono di meno sull’istruzione sono la Somalia, lo Zaire e Haiti.
Parlando dell’imparare a leggere e a scrivere o a giocare con i numeri della scienza ci occupiamo di scuola. Ancora una volta. Perché altri problemi si sono aggiunti. Come quello sulla cosiddetta carriera alias contro cui si è scagliato Pro Vita & Famiglia Onlus, movimento ultra-conservatore che si oppone, come è risaputo, a diritti civili come l’aborto, le unioni omosessuali e la transizione di genere. Proprio su questi temi il movimento ha redatto una sorta di Carta dei principi che purtroppo porta la firma dei principali leader dell’attuale coalizione governativa.
Le scuole italiane che, al 4 dicembre 2022, hanno attivato la carriera alias sono 156. Questo patto di riservatezza tra istituto, studente e famiglia (se l’alunno è minorenne) permette di inserire nel registro elettronico il nome scelto dalla persona transgender al posto di quello anagrafico. Purtroppo non esiste un vademecum che uniformi i protocolli, un tentativo fatto da organizzazioni come Agedo o Genderlens che hanno pensato alla possibilità di sostituire, sul registro elettronico e in tutti i documenti interni alla scuola, aventi valore non ufficiale, il nome anagrafico con il nome di elezione della giovane persona trans, non binaria. E di conseguenza il diritto di poter usare bagni, spogliatoi, eventuali divise scolastiche in base al genere scelto. Non è così leggera la cosa, come si potrebbe pensare. Era, e ci permettiamo di dire che è una necessità perché si eliminino, o almeno si facciano calare nelle scuole le situazioni di bullismo, a volte pericolosamente estreme, e tanto abbandono scolastico da parte di questi ragazzi e ragazze che già subiscono forti conflitti psicologici e non si riconoscono nel sesso biologico di nascita. La maggior parte delle scuole che hanno attivato la carriera alias, secondo l’unico elenco disponibile di Agedo, si trova nel Centro Italia: 78. Al Nord ve ne sono 43, al Sud e nelle isole 35. La Regione che ne ha di più è il Lazio. Oltre la maturità, anche in 39 atenei, secondo il rapporto di Infotrans, c’è la possibilità di adottare la carriera alias.
La Scuola è il luogo dove si insegna (si dovrebbe insegnare) l’inclusione e dunque l’educazione a raggiungerla per integrarla nella propria persona per sempre. Appartiene, perciò, all’educazione civica la condanna assoluta di qualsiasi minaccia, e a maggior ragione la sua attuazione, verso qualsiasi persona così come detta anche la nostra Costituzione. Orribili e ingiustificate le minacce (in tutti i casi fatte dal solito leone da tastiera). Tristissime quelle che hanno costretto la senatrice Liliana Segre a sporgere denuncia per le numerosissime arrivatele attraverso i social e che già l’avevano obbligata, alla sua età, a subire le restrizioni della scorta. Certamente e ugualmente sono da condannare le volgari minacce rivolte alla presidente del consiglio e, a maggior ragione, ai suoi familiari.
La messa in atto della violenza oggi sa anche di razzismo. É quello che è successo (e abbiamo timore che accadrà di nuovo) riguardo ai cittadini e cittadine di origine marocchina gioiosi/e per la vittoria della propria nazionale di calcio ai mondiali che si stanno svolgendo nel Qatar. La violenza ha riguardato soprattutto Verona, ma sono stati tanti gli episodi in altre città e fuori Italia come le aggressioni in Spagna, contro la cui squadra il Marocco ha vinto classificandosi per i quarti di finale. Si sono usate spranghe, catene, danneggiate macchine di tifose/i marocchini. La paura è stata davvero tanta, ingiustificata, politicizzata, come purtroppo avviene spesso, ormai, nel calcio e intorno a quello che dovrebbe essere solo uno sport di tutti e tutte.
Prima di chiudere dobbiamo, è doveroso, ricordare la sorellanza sofferente. Oggi è ancora l’Iran con le sue donne coraggiose a raccontarci storie, storie di rivolta e di forza. Innanzitutto, però, il nostro è un grido di dolore è rivolto ad un ragazzo iraniano appena ventitreenne impiccato dopo un processo-farsa, come da più parti è stato detto. Mohsen Shekari aveva solo 23 anni, era stato condannato a morte ed è stato impiccato lo scorso giovedì mattina, mentre qui in Italia vivevamo un giorno di festa, apertura, per tanti e tante di noi, di un lungo ponte di vacanza. E sempre in Iran, nelle stesse ore, altre due persone condannate per le proteste – Saman Seydi e Mohammad Boroghani – sono state messe in isolamento nel braccio della morte, in vista dell’esecuzione. E poi le storie delle donne, delle giovanissime ragazze iraniane contro le quali, secondo una terribile ricostruzione sul campo fatta da The Guardian, la polizia si accanisce con la pratica ricorrente di colpirle quando protestano con spari mirati a volto, seno e genitali. Ecco le storie che vogliamo raccontare. La prima è quella di Badri Hossein Khamenei, la sorella della Guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei. Su un social del figlio Badri ha pubblicato una lettera in cui si augura «presto la vittoria del popolo e il rovesciamento di questa tirannia al potere». A luglio era stata arrestata la figlia (nipote di Khamenei) e anche per questo, per la sua sofferenza provata direttamente, Badri Hossein afferma: «il regime della Repubblica islamica non ha portato altro che sofferenza e oppressione per l’Iran e gli iraniani. Il popolo dell’Iran merita libertà e prosperità e la loro insurrezione è legittima e necessaria per ottenere i loro diritti». La seconda storia, invece, parte dall’Italia, dalla raccolta di firme (già più di 27.000) che sta portando avanti il quotidiano La Stampa per la liberazione di Fahimeh
Karimi, allenatrice di palla a volo, madre di tre bambini, arrestata a Pakdasht, nella provincia di Teheran, oltre un mese e mezzo fa e condannata a morte. L’accusa sarebbe quella di aver sferrato dei calci a un paramilitare in una delle manifestazioni che hanno fatto seguito alla morte di Mahsa Amini, la giovane di 22 anni presa in custodia e poi uccisa a botte dalla polizia morale iraniana, il 16 settembre scorso, per via di una ciocca di capelli che sfuggiva al suo hijab. Imprigionata ad Evin, Fahimeh Karimi è la prima donna ad essere stata trasferita nel carcere di Khorin. Tutto questo accade, ma «in nome di quale Dio?»! Ce lo domandiamo in tante e tanti, da troppo tempo. Questo tempo deve finire.
A metà novembre (il 13 novembre) è stato il compleanno di Dacia Maraini, femminista, tra le fondatrici della più famosa Casa delle donne, allora in via del Governo Vecchio, a Roma, nella strada di Piera Degli Esposti (Piera abitava in una casa splendidamente bianca al n.12). Con Piera, legata a lei da vera sorellanza, Maraini ha portato avanti tante battaglie a favore del femminile. Per l’occasione scegliamo una sua poesia, per ripetere, seppure in ritardo, gli auguri a questa grande scrittrice, per riprendere il discorso sullo scrivere che è anche sul leggere e il far di conto, così importanti perché il mondo si evolva e le persone sappiano difendersi e vedere “a tutt’occhi” come Verne voleva per il suo Michele Strogoff. Farlo con sguardo più intenso, con i mezzi dati cominciando, se non dalla famiglia, proprio dalla Scuola. Maraini in uno splendido libro, intitolato non a caso La scuola ci salverà, ne descrive il suo compito d’apertura, come detta la frase riportata nella quarta di copertina: «Gli insegnanti lavorano con il futuro e il futuro è misterioso, a volte buio come le notti senza luna. Ma chi crede nel futuro è capace di attendere che dietro quelle nuvole rispunti la luce, ed è quello di cui ha bisogno la scuola in questo momento».
Di Dacia Maraini ho pensato, in consonanza con tutto il nostro discorso sulla Scuola, di dedicarvi una sua particolare poesia intitolata Scrivo perché, contenuta nel libro Amata scrittura. Laboratorio di analisi, letture, proposte, conversazioni. È l’amore, la confessione di una passione, per il mestiere di scrivere.
Scrivo perché
Scrivo per non perdere il vizio
di dire le cose.
Scrivo nel tentativo di lasciare
una traccia.
Scrivo per paura che i pensieri
mi passino di mente.
Passeggio con la penna su questo
foglio bianco e lo lordo di idee.
Ci gioco, lo uso, mi faccio sedurre,
usare, tentare.
Con la penna dico tutto, non mento,
non ho pudore.
Dove la lingua esita e si ferma,
la mano scorre fluida e leggera.
Scrivo per guardarmi dentro.
Scrivo per fermare il tempo.
Scrivo per suscitare sentimenti e per
esprimere i miei.
Scrivo per dare un senso al silenzio.
Il cielo blu
il mare blu
l’inchiostro blu.
(Dacia Maraini da Amata scrittura)
«Ci sono voci che attraversano gli oceani, le lingue, le generazioni; che si collocano tra noi e le nostre esperienze, forti, chiarendoci percorsi che ci sembrano a ostacoli e che sì, continuano pure a esserlo, ma è come se quei suoni ci accompagnassero sussurrandoci: sono con te e, come me e te, molti-e altri-e sono su questa strada». La nostra rassegna degli articoli di questo numero si apre ricordando un anniversario, il primo dalla scomparsa di bell hooks, a cui l’autrice di Un anno senza bell hooks dedica queste parole. Continua poi con la serie di Calendaria che ci presenta Barbora Rezlerová-Švarcová, una donna cecoslovacca poco conosciuta, descritta come «una lavoratrice attenta ai bisogni della comunità, che ha dedicato la sua vita a parlare di donne, emancipazione e diritti, e a operare di conseguenza» e la presentazione delle tante iniziative realizzate da Topomastica femminile nel mese di novembre.
Credito alle donne: una nuova rubrica di Vitamine vaganti è l’introduzione a una nuova serie che ci accompagnerà la seconda settimana di ogni mese e che si arricchirà delle testimonianze delle donne impegnate nel credito, racconterà come le donne nella storia hanno avvicinato questo mondo, con alcuni approfondimenti anche su figure di economiste poco conosciute. Di credito, nelle sue diverse accezioni, le prime donne che viaggiarono devono averne avuto parecchio. Continuiamo a seguirle in Viaggiatrici del Grande Nord con Copenaghen: flâneuses nella gaia capitale del Nord, alla scoperta della capitale di una nazione che ha fama di essere pacifica, progredita e moderna. Spostiamoci in Trinacria con Itinerario siciliano: Noto e Siracusa, città delle donne, un tributo alle vie e ai luoghi delle intitolazioni femminili, con un approfondimento su una Mostra in cui sono protagoniste le artiste, cui è finalmente data la meritata importanza.
Un articolo illustra le importanti motivazioni della Giornata mondiale della solidarietà: Scelte di vita. I care. Non dimentichiamo in questo numero di parlare di una delle tante guerre che stanno devastando il mondo, quella a noi più vicina e allarghiamo il nostro sguardo con Tutto un altro mondo. Il novembre di Limes, che, partendo dalla considerazione che, dopo il crollo delle ideologie del passato, oggi regna l’identità che disgrega, ci invita a togliere le lenti occidentali nell’analizzare le più rilevanti vicende di geopolitica. Se tra geopolitica e diritto i rapporti non sono mai stati idilliaci, tra teologia e diritto qualche legame sicuramente c’è. Ce ne riferisce La settima lezione del corso di eco-teologia del Cti La questione della Legge naturale.
Avviciniamoci al mondo dell’Università e della scuola. Per la Rubrica Tesi vaganti “Il Fenomeno Diana”: il ruolo svolto dai media ci riporta a un’icona, entrata nella coscienza collettiva e amata soprattutto dalle donne, Lady Diana Spencer. Tre donne per il futuro ci racconta il percorso che ha portato una classe del Liceo “Leon Battista Alberti” di Cagliari, con la guida esperta di un Consiglio di classe coeso, a ricevere il primo premio della Sezione A-Calendaria della X edizione del Concorso Sulle vie della parità, indetto da Toponomastica femminile.
È il momento dei nostri consigli di lettura, che questa settimana presentano il libro di Sara Lucaroni Sempre lui recensito nell’articolo Il fascismo non muore mai. Perché? in cui l’autrice sottolinea che il fascismo è una questione di cultura. «Non è morto, in modo particolare, il retaggio fascista su cui si basano corruzione, familismo, prevaricazione della legalità, feticismo legato a simboli e retorica nera».
Facciamo precedere la ricetta della settimana da una nuova puntata della serie Da cuoche a chef, Le pioniere della cucina di qualità. Parte seconda che si sofferma in modo dettagliato su libri di ricette e figure femminili impegnate nella gastronomia. Chiudiamo, come sempre, in bellezza, con la Torta di pane raffermo e cioccolato, profumata all’arancia, un piatto della tradizione lombarda che si presta alle varianti suggerite dalla nostra creatività, un altro prezioso suggerimento della cucina antispreco.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.