C’è un laboratorio, nell’École supérieure de physique et de chimie industrielles de la ville de Paris che sorge in un cortile.
Sembra un capannone abbandonato, con il tetto a vetri, fatiscente, che pare invitare la pioggia a entrare. Non c’è pavimento, ma catrame screpolato; non c’è mobilio, ma solo un tavolaccio di legno, qualche strumento, una lavagna e una vecchia stufa.
Quest’ultima, poi, non funziona, non tira, e l’inverno morde feroce. Esattamente come l’estate, che abbranca l’ambiente e non lo lascia più.
In passato, la Facoltà di Medicina utilizzava questo locale come sala di dissezione: ora, invece, non è adatto nemmeno per ospitare cadaveri.
Però, ha una caratteristica. Di notte, quando le luci sono spente e il buio avvolge ogni cosa, una strana tinta azzurro – malva, che a occhi inesperti e sognanti potrebbe sembrare qualcosa di fatato, passa attraverso le finestre sporche e il tetto a vetri fatiscenti, colora le pareti e gli oggetti, come se essi fossero esplosi di meraviglia. Eppure, la magia non c’entra nulla. C’entra la chimica: prosaica e freddissima chimica. In quel laboratorio, che al calar del sole si illumina di azzurro, Marie Skłodowska Curie e il marito Pierre sono riusciti a scoprire e isolare due nuovi elementi: il polonio e il radio. Sono soprattutto i sali di quest’ultimo che, pur essendo in natura privi di colore e annerendosi al contatto con l’aria, se messi in una provetta di vetro iniziano a emanare una luce bluastra che brilla e illumina ogni cosa.
L’essenza di questi raggi la si conosce già; il loro impatto sul mondo intorno lo si sta imparando.
È la radioattività, un fenomeno che riguarda il nucleo dell’atomo, grazie alla quale si sono scoperte forze che su questo stesso nucleo vanno ad agire. Cambiano, dunque, completamente le concezioni e dell’atomo e della fisica, perché quest’ultima, così come era conosciuta, non può più essere sufficiente. Su questo lavorano Marie e Pierre, nel capannone fatiscente e illuminato di azzurro. I due coniugi sono una squadra, efficiente e paritaria, ma alla quale viene imposta una gerarchia di genere ingiusta e odiosa. Pierre diviene professore universitario di fisica generale; Marie ne dirige il laboratorio di facoltà. Quando lui muore, investito da una carrozza, il 19 aprile del 1906, lei prende il suo posto. Tiene la sua prima lezione nel mese di novembre, prima donna docente alla Sorbonne, e nei giorni successivi un giornale scrive: «Dal momento che a una donna è permesso tenere lezioni all’università a studenti di entrambi i sessi, che ne sarà della superiorità maschile? Io vi avviso: presto le donne finiranno per diventare esseri umani».

Marie Skłodowska Curie, già vincitrice di un premio Nobel, prima donna dottorata in Francia, prima donna docente universitaria, ha la colpa innata di essere, appunto, una donna. E così, quando durante la conferenza di Solvey del 1911 conosce il collega fisico Paul Langevin e i due iniziano una relazione, la stampa e l’opinione pubblica la attaccano e umiliano. Lui è “il grande scienziato” con una solida famiglia lei “l’altra donna”; quando cammina per la strada, la gente le sputa addosso; sassi vengono lanciati contro le finestre del suo laboratorio; alcuni professori della Sorbona le chiedono di lasciare la Francia. Gustave Téry su l’Œuvre pubblica una lettera privata che Curie scrive all’amante e l’accusa di essere una straniera, un’ebrea, che si era «dedicata con i più perfidi espedienti e con i consigli più subdoli ad allontanare Paul Langevin dalla moglie e a separarlo dai figli». Nel Paese è ancora vivido l’Affaire Dreyfus e Marie Skłodowska Curie diviene una pedina nella scacchiera dello scontro tra i progressisti e i conservatori, come se lei non fosse ben altro. Tanto, tantissimo, altro.
Negli stessi mesi dello scandalo, le viene infatti comunicato da Stoccolma di essere stata insignita per la seconda volta del premio Nobel, prima e unica persona ad averlo vinto in due ambiti diversi. Contemporaneamente alla nomina, però, arrivano anche le raccomandazioni da parte di Svante Arrhenius, a nome di tutto il comitato per il Nobel, di non presentarsi in Svezia per la consegna del premio: certo, l’Accademia non crede all’autenticità delle lettere, altrimenti non le avrebbe conferito l’importante riconoscimento, però, per il bene dell’intera cerimonia, una sua defezione sarebbe di certo molto apprezzata.
Questa la risposta: «Io devo agire seguendo le mie convinzioni. Ritengo non ci sia nessun legame tra il mio lavoro scientifico e le cose riguardanti la mia vita privata di cui la stampa spazzatura mi accusa. Quando riceverete questa lettera, mi sarò organizzata per essere presente alla cerimonia di Stoccolma».
E infatti va, insieme alla figlia Irène, accolte dal re di Svezia in persona che ha organizzato in loro onore un sontuoso banchetto a cui partecipano trecento donne legate al mondo della scienza, del teatro, della medicina e della letteratura.
Di tutto questo, la stampa francese non scriverà parola alcuna.
Con la vittoria del Nobel per la chimica, si concretizza nella testa di Curie, la possibilità che il sogno di tutta una vita diventi reale: creare una struttura per lo studio degli impieghi medici del radio, in particolare per il trattamento del cancro. L’Institut du Radium è inaugurato nel 1914. Poi, però, scoppia la guerra. E se i suoi progetti subiscono una battuta di arresto, lei, no, non si ferma. Concentra tutte le proprie energie nel creare delle unità di radiografia che possano andare negli ospedali militari. Riesce a portare a venti le ambulanze dell’esercito francese dotate di apparecchio radiologico. Si occupa, dal 1916, della formazione tecnica delle operatrici ed è lei stessa a raggiungere le zone di battaglia, spesso insieme alla figlia Irène, per prestare soccorso localizzando proiettili, schegge e fratture nei corpi dei soldati.

I giornali iniziano a cambiare i toni.
Ciò che Skłodowska Curie ha fatto durante la Prima Guerra Mondiale è l’esempio concreto e sporco di ciò che ella crede possa e debba fare la scienza. Ecco perché non brevetta la tecnica da lei inventata per l’isolamento del radio; ecco perché vuole l’Institut du Radium, una realtà che ben presto diviene luogo di formazione per giovani ricercatori e soprattutto giovani ricercatrici, affinché il progresso possa continuare a camminare e a migliore la vita di ogni singolo essere umano. La scienza deve mettersi a servizio dell’umanità. Esattamente come lei si è messa a servizio della scienza.
Continuerà a lavorare incessantemente fino alla fine, distratta “solo” dal bisogno, che lei non arriverà mai a comprendere, di cercare fondi per la ricerca.

Marie Skłodowska Curie muore il 4 luglio del 1934 per un’anemia aplastica, causata dalla lunga esposizione alle radiazioni e ancora oggi, la sua tomba e i suoi taccuini sono avvolti da cappotti di piombo. Questa donna, che ha pagato il fatto stesso di esser donna, è stata un’avventuriera, una pioniera, una sognatrice che credeva nella libertà, unica e inalienabile, garantita dallo studio e dalla conoscenza.



Qui le traduzioni in francese, inglese, spagnolo e ucraino.
***
Articolo di Sara Balzerano

Laureata in Scienze Umanistiche e laureata in Filologia Moderna, ha collaborato con articoli, racconti e recensioni a diverse pagine web. Ama i romanzi d’amore e i grandi cantautori italiani, la poesia, i gatti e la pizza. Il suo obiettivo principale è quello di continuare a chiedere Shomèr ma mi llailah (“sentinella, quanto [resta] della notte”)? Perché domandare e avere dubbi significa non fermarsi mai. Studia per sfida, legge per sopravvivenza, scrive per essere felice.