Le Grandi assenti. Teresa Dieç 

Comincia con questo numero un ciclo di articoli che vogliono restituire memoria ad artiste talentuose del passato, ma cancellate dalla storia, dal titolo appunto Le grandi assenti. E comincia con la prima pittrice della storia dell’arte spagnola, che fu probabilmente monaca e affrescò i muri del Real Monasterio de Santa Clara a Toro, nella provincia di Zamora, tra il 1310 e il 1320, Teresa Dieç (o Díez). I suoi affreschi rivelano una mano esperta e manifestano la conoscenza dei principi estetici più innovativi del proprio tempo, oltre a una chiara consapevolezza di sé, come dimostra il fatto che ha voluto autografare il suo lavoro. Durante il Medioevo le arti erano praticate per lo più da uomini e raramente venivano firmate. Ma Teresa Dieç è stata un’eccezione, non solo ha avuto il coraggio di lavorare in un ambiente strettamente maschile, impegnandosi in un campo, l’affresco, negato a mani femminili, a cui erano riservati invece lavori come piccole opere devozionali, miniature, arazzi, ma ha anche firmato con orgoglio il suo lavoro. Tuttavia, la maggior parte degli storici continua a trascurare quest’artista, non ricordata nemmeno nelle città che conservano le sue opere, né nelle pubblicazioni delle vicine università, per non parlare dei manuali di Storia dell’arte. E nonostante la firma, continuano a negarne la paternità, sostenendo che alluda, invece, alla committente dell’opera.

Gli affreschi di quest’artista furono scoperti solo nel 1955 in occasione del restauro del Monastero Reale delle Clarisse di Toro; nel 1962 furono passati su tela e oggi si possono ammirare nella chiesa di San Sebastian de los Caballeros nella stessa città. Alla pittrice sono attribuiti anche gli affreschi della facciata della chiesa di Hiniesta (Zamora), della Collegiata e della Chiesa di San Pedro a Toro, e di S. Maria de la Nueva a Zamora.
Negli affreschi provenienti dal Monastero delle Clarisse si individuano tre cicli pittorici: un ciclo tratta episodi del Vangelo ma rimangono visibili solo l’Epifania, il Battesimo di Cristo, l’Apparizione di Cristo alla Maddalena e il frammento con san Cristoforo e diverse figure di sante, dove si trova la firma della pittrice con lo stemma.

Epifania, Teresa Dieç – Chiesa di San Sebastián de los Caballeros, Toro (Zamora)
Battesimo di Cristo, Teresa Dieç – Chiesa di San Sebastián de los Caballeros, Toro (Zamora)

Oggi gli affreschi risultano mancanti di diverse parti a causa di alcune modifiche avvenute nei secoli successivi come l’apertura di una porta, l’installazione di un organo barocco e la collocazione di un reliquiario. Un’altra sequenza è dedicata a san Giovanni Battista ed è organizzata in dieci riquadri. Teresa dà molta importanza ai dettagli: Erode, nel Banchetto, siede proprio come un re, a gambe incrociate come segno di sovranità e con il ginocchio scoperto attributo di magnanimità; Erodiade tiene in mano dei frutti, simbolo di sensualità.

Banchetto di Erode (sinistra) – Decapitazione di S. Giovanni Battista (destra) – Teresa Dieç – Chiesa di San Sebastián de los Caballeros, Toro (Zamora)

Infine, il terzo e più significativo ciclo consta di ventuno scene ed è dedicato a Santa Caterina d’Alessandria. Protettrice dei filosofi, dei teologi, la santa è presentata come una donna saggia che fin dall’infanzia si è dedicata allo studio delle arti liberali, porta sempre sul capo una corona, in quanto è di sangue reale, ed è proposta come modello per l’operosità, l’ingegno, la sapienza e la forza d’animo. Con somma eloquenza Caterina seppe mettere in difficoltà i sapienti del suo tempo, venuti per convincerla ad abiurare e invece vennero da lei convertiti. La pittrice ci illustra anche lo scontro fra la santa e l’imperatore Massimino, che la voleva in sposa, il suo rifiuto, la volontà di vendetta che si tradusse nella serie di supplizi a cui la giovane fu sottoposta e la sua morte per decapitazione. La narrazione si sussegue in riquadri, come se fossero vignette di un fumetto, illustrate da didascalie, destinate alle monache che avrebbero letto quei dipinti e avrebbero pregato come pregavano con un libro di devozioni. L’autrice in questo modo guidava le consorelle a rivivere le vicende dei loro modelli spirituali, illustrando non solo episodi del Vangelo, ma anche la vita di alcune sante dei primi secoli del Cristianesimo. 

Martirio di S. Caterina (sinistra), Decapitazione di S. Caterina (destra), Teresa Dieç – Chiesa di San Sebastián de los Caballeros, Toro (Zamora)

La pittrice dedica molta attenzione alle figure femminili, a cui assegna sempre un ruolo determinante; nel ciclo sulla vita di Cristo, per esempio, nella scena in cui egli appare risorto a Maria Maddalena, sullo sfondo compare anche santa Marta a cavallo che trafigge il drago: ponendo una donna al centro della lotta con il drago, Teresa ribalta la tradizione iconografica che solitamente preferiva la figura maschile di san Giorgio.

Apparizione di Cristo a Maddalena, Teresa Dieç – Chiesa di San Sebastián de los Caballeros, Toro (Zamora)

La sua firma “TERESA DIEÇ ME FECIT”, visibile in un nastro dipinto alla base della scena con S. Cristoforo e alcune sante, è intesa da alcuni storici non come la firma dell’artista, ma come il ricordo dell’aristocratica committente, in quanto il nome è accompagnato da un simbolo araldico, e, secondo questi storici, nessuna aristocratica avrebbe mai lavorato come frescante. 

Dettaglio della firma TERESA DIEÇ ME FECIT

Eppure è noto che le monache provenienti da nobili famiglie all’interno dei monasteri potevano ricevere un’istruzione di alto livello che spaziava tra i più diversi ambiti, dalla medicina alla teologia, alla musica, alla danza e, appunto, alla pittura. Considerando che Teresa probabilmente proveniva da una famiglia benestante, è molto probabile che lei effettivamente avesse anche pagato il lavoro che faceva, quindi, non fosse solo l’autrice dell’opera ma anche la committente
In questa storia emerge un’altra figura femminile, la regina Maria de Molina, al cui mecenatismo si deve la ristrutturazione della cattedrale di Toro, ampliata proprio in quel periodo. Figura di particolare lungimiranza e saggezza, Maria era figlia di Alfonso di Molina, e sposò nel 1282 suo cugino Sancho, re nel 1284. Rimasta vedova nel 1295, fu reggente per il figlio Ferdinando IV e poi, morto questo (1312), per il nipote Alfonso XI.

Teresa usa un linguaggio che invita alla vita, pieno di poesia, di luce; il tratto è sicuro ma allo stesso tempo spontaneo, il disegno lineare argina i colori. La sua tecnica è quella del “fresco secco”, che consisteva nell’incidere i contorni dell’immagine nell’intonaco fresco, farlo asciugare, e una volta asciutto, bagnarlo con acqua di calce per procedere infine alla stesura del colore.
Il suo stile, appartenente a una fase di passaggio dal Romanico al Gotico, rientra nel cosiddetto stile gotico lineare o pittura franco-gotica, all’interno della scuola di Salamanca di Antón Sánchez de Segovia. Le figure sono allungate ed eleganti, le scene sono vivaci, ricche di particolari naturalistici. Non c’è ancora conoscenza della prospettiva, che arriverà solo con il Rinascimento italiano, a distanza di circa un secolo; le figure, descritte in modo ancora intuitivo, si muovono su due dimensioni, ma la resa dei volumi è poderosa e c’è attenzione al paesaggio, alla vita quotidiana e alla realtà storica del momento. Le figure, collocate quasi tutte su un piano d’appoggio, sono distribuite in profondità occupando spazi diversi, al contrario della pittura bizantina, dove sono messe su uno stesso piano e senza volume. Le scene sono bordate da scritte e da cornici a intreccio, decorate con motivi zoomorfi e vegetali, ma non sono il limite della scena, perché spesso personaggi e panneggi oltrepassano le cornici, abbandonando la staticità di tradizione bizantina. In sintonia con il gusto gotico, la resa decorativa degli alberi dimostra creatività e senso del colore.
Teresa Dieç ha espresso nella sua opera un notevole bagaglio culturale, ma soprattutto ha dimostrato di possedere grande coraggio a cimentarsi in un lavoro che non solo era con disprezzo considerato “manuale”, ma era anche riservato a mani maschili. Per questo decise di dichiarare il proprio nome per testimoniare che voleva essere conosciuta non solo come artista, ma anche come donna.

***

Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

Un commento

  1. Mi piacerebbe che qualche storica dell’arte approfondisse un problema che mi incuriosisce e cioè dove ha appreso a scolpire Propezia De Rossi (Bologna, 1490 circa – 1530). Di lei scrive Costantino d’Orazio nel suo libro” Vite di artiste eccellenti”. Altri riferimenti sono il Vasari e poi i Quaderni di via Dogana al testo Matrice edito dalla Libreria delle donne di Milano nel 2004 dove si afferma che solo a Bologna poteva crescere un talento femminile come Propezia de’ Rossi perché la città non escludeva le donne dalle pratiche artistiche. Ma in nessuno viene detto dove lei abbia appreso l’arte della scultura dato che la scultura, soprattutto del marmo, non si improvvisa e lei non risulta essere figlia di artigiani o artisti.
    Ringraziando cordiali saluti
    Sonia

    "Mi piace"

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...