Un altro sguardo sul diventare madri

Proprio nei giorni in cui venivamo a conoscenza del terribile episodio della morte del neonato per soffocamento all’ospedale Pertini di Roma, ho partecipato a un incontro sulle rappresentazioni stereotipate nella comunicazione visiva durante il quale una critica d’arte ha mostrato questa foto della fotografa olandese Rineke Dijkstra, autrice di scatti carichi di empatia, umanità, intimità, che a volte catturano dei momenti di transizione dei soggetti fotografati, cosa che è particolarmente importante in alcuni scatti che ha dedicato alle neo mamme, subito dopo il parto.

Dijkstra, The-Great-Mother

Le opere fotografiche di Rineke Dijkstra della mostra Mothers fotografano alcune giovani mamme dopo il parto. Le donne portano i segni del loro recente calvario: i pantaloni medici e l’assorbente igienico nella foto di Julie, un rivolo di sangue che scende dalla gamba sinistra nella foto di Tecla, un taglio cesareo sul ventre della foto di Saskia. Le madri sembrano tenere i bambini lontani dalla camera, stringendoli in un abbraccio protettivo contro i loro corpi.
Quanto sono vere queste immagini, come ognuna di noi che ha partorito ben sa, e quanto sono diverse dalle immagini stereotipate che siamo abituate a vedere. Provate a fare una ricerca su Google usando come chiave di ricerca donna dopo il parto. Si tratta di uno dei tanti esempi di edulcorazione della maternità e del parto, la prova più faticosa che un corpo umano deve affrontare: un momento che richiede uno sforzo fisico enorme e che, anche quando tutto fila particolarmente liscio, ci lascia con il corpo segnato, stanche, doloranti e nel contempo con la sensazione di dover affrontare ancora la parte più difficile: l’allattamento e la cura del piccolo essere che è ancora un pezzo di noi. Spesso poi accade che il travaglio e il parto siano particolarmente impegnativi, ci lascino vere e proprie cicatrici e una spossatezza particolarmente forte da lasciar desiderare solo di poter dormire ed essere coccolate. Non è un caso che in molti dialetti dell’Italia meridionale travaggh voglia dire anche lavoro. Come nella lingua inglese, d’altra parte, in cui travaglio si dice labor.

Una volta le puerpere erano coccolate. Nelle grandi famiglie di una volta per quaranta giorni anche le contadine, le donne abituate a lavorare fin da bambine, potevano riposare, essere accudite e ricevere un aiuto straordinario nel prendersi cura del bambino o della bambina. Era forse l’unico vantaggio per le donne nelle famiglie patriarcali!
Dunque, dopo aver letto della terribile vicenda accaduta a Roma il mio pensiero è andato immediatamente alle fotografie di Rineke Dijkstra. Forse, se non ci fosse una comunicazione così edulcorata della maternità, ricorderemmo più facilmente, noi che ci siamo passate – e lo comprenderebbero coloro che non l’hanno vissuta in prima persona – la fatica, il dolore, la stanchezza che impedirebbero a qualunque persona di buon senso di pensare che una madre possa accudire da sola un neonato o una neonata nei primissimi giorni dopo il parto. Ma prevale ahimè la visione edulcorata: diventare madri è una gioia, il parto un momento meraviglioso, un neonato sano la cosa più bella che ci sia e in questo gioioso tripudio si dimenticano emorragie, dolori post parto, mancanza di sonno, contrazioni uterine accentuate dall’allattamento. Dunque sembra normale che una puerpera (usiamola questa parola perché mamme lo si è per tutta la vita ma puerpere solo in quei giorni così difficili e carichi di fatica ed emozioni… e proviamo anche a cercare puerpera su Google immagini!) venga lasciata sola in una camera d’ospedale una notte intera. Certo il rooming in è importante, certo l’attaccamento al seno precoce è importantissimo, certamente è altrettanto importante il primo contatto fra la madre e la sua bambina o bambino. Ma non da sola, non per tante ore di seguito, non senza poter chiedere che qualcuno si prenda cura del piccolo affinché lei possa riposare.

E c’è un’altra considerazione che vorrei fare, a proposito della tragedia avvenuta l’altro giorno. Un tema su cui ritorniamo spesso quando si parla di donne, di sessismo, di violenza: i titoli dei giornali. La vicenda è stata così descritta nei titoli: Mamma si addormenta allattando, il piccolo muore soffocato. Un titolo terribile perché evoca una colpa, una colpa che non esiste. Proviamo a riscriverlo: Neonato muore perché la sua mamma è stata lasciata sola per carenza di personale – Neonato muore perché il bisogno di riposo della sua mamma non è stato accolto.

I social in questi giorni sono pieni di racconti di mamme di ogni età sui momenti difficili vissuti nei giorni dopo il parto, a causa della stanchezza, della solitudine, della mancanza di riposo, della fatica di gestire un neonato. Tante di noi hanno ricordato i momenti più difficili vissuti. Eppure c’è stato chi si è permesso di giudicare e condannare.
Non desidero condannare la pratica del rooming in, cioè del tenere il bambino o la bambina in camera con sé. Io stessa, che durante i pochi giorni in maternità dopo il parto dovevo recarmi al nido per allattare, fui felice quando seppi che tale pratica era stata adottata nell’ospedale della mia città. Ma è necessario un po’ di buon senso e tanto supporto: la possibilità che resti in camera con la puerpera una persona di famiglia, il forte aiuto del personale, il potervi rinunciare anche per poche ore, se si ha bisogno di riposare, e il piccolo o la piccola non lo permette. E soprattutto il sostegno alla consapevolezza che si può anche essere una buona madre nonostante si abbia bisogno di riposo. Ricordiamo alle neo mamme che non devono necessariamente assomigliare alle mamme stereotipate delle pubblicità, ma che è giusto che somiglino alle mamme di Rineke Dijkstra.

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Articolo di Donatella Caione 

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Editrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.

4 commenti

  1. Grazie per la condivisione di questa riflessione. Io, madre di tre figli, da sempre sono stata contraria al rooming in, la considero una pratica che viola il diritto della neo-madre a rimanere da sola con sé stessa e i suoi dolori. Non affermo che non sia importante il primo contatto con il proprio piccolo/a, ma averlo 24 ore su 24 dopo l’esperienza più sconvolgente per una donna sia a livello fisico che mentale, è a mio avviso controproducente. Non racconto come vengo giudicata e offesa quando faccio queste esternazioni in pubblico o sui social…

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  2. Il mio secondo figlio è nato tra le tre e le quattro di notte. Tutto bene, al tempo i bimbi non venivano lasciati con la madre e le venivano invece portati, per la poppata, ogni tre ore, per un’oretta.
    Dunque, stanca e felice, ho avuto il mio bimbo con me alle sei del mattino, poi alle nove, alle 12, alle quindici alle 18, alle 21..e davvero non ce la facevo più, il bisogno di dormire mi travolgeva, non dormivo da ventiquattro ore, anche perché a casa avevo la bambina di poco più di tre anni e la mia giornata era piena.
    Anche quel giorno era stato un continuo viavai di visite e poppate. Non avevo potuto dormire.
    Ero davvero distrutta dall’idea di dover attendere la poppata di mezzanotte: erano già le dieci di sera e non mi sarebbero bastate un paio d’ore scarse. Pensavo fosse meglio rimanere sveglia per poi dormire più a lungo: era d’uso far saltare al bimbo la poppata notturna, e avrei avuto almeno cinque o sei ore.
    Non ce l’ho fatta. Mi sono addormentata come un sasso.
    Quando mi hanno portato il bambino, svegliandomi, mi sono resa conto che era giorno, che ero riposata, che dovevo aver dormito a lungo, e ho mostrato tutto il mio sbalordimento. Erano di nuovo le sei del mattino.
    L’infermiera, con in braccio il mio piccolo, pareva preoccupata.
    Mi ha detto: Signora, spero che mi scuserà ma stanotte, quando le ho portato il piccolo, lei dormiva profondamente, non mi ha sentito; anche il bambino dormiva tranquillo e io non me la sono sentita di svegliarvi. Ho pensato che, se il piccolo avesse avuto fame, avrei potuto dargli un supplemento con il biberon nella notte. L’ho lasciata dormire.
    So che non avrei dovuto, ma lei dormiva così profondamente!
    A distanza di oltre quarant’anni ricordo ancora con grande riconoscenza quella donna saggia e buona, che avrei voluto baciare perché aveva fatto per me qualcosa di non prescritto ma di cui avevo assoluto bisogno.
    Avrebbe potuto essere ripresa.
    Lascia che dicano quello che vogliono.
    Il bimbo con la mamma va benissimo, ma a patto che la mamma non sia sola, e siano rispettati anche i suoi bisogni.

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